Biopolitica. Il nuovo paradigma


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Il secolo biotech

Il secolo che Jeremy Rifkin definisce "il secolo della biotecnologia" è quello cominciato pochi anni fa, ma in realtà i suoi primi passi li muove attorno la metà del Novecento. Per la verità già dal 1914 Hermann Müller aveva provocato le prime mutazioni artificiali in un animale sottoponendo mosche della frutta ai raggi X. «Per la prima volta, una forza artificiale, una macchina ai raggi X, aveva cambiato la struttura fondamentale di un animale. Questo era un impatto pratico, tangibile, non un trucco, non un cambiamento provocato da un incrocio vecchio stile. I media riportarono l'esperimento e dissero che un giorno, forse presto, gli scienziati avrebbero creato individui progettati» (281). Ma all'epoca nessuno aveva idea di quale fosse esattamente la base biologica dei geni.

All'origine potremmo invece porre forse la scoperta del ruolo degli acidi nucleici con riguardo all'ereditarietà da parte di Oswald Avery. Avery pubblicò la sua scoperta nel febbraio 1944, in un articolo nel Journal of Experimental Medicine. «Non fu, come un profano potrebbe aspettarsi, intitolato "Eureka! Rivelato il segreto della vita sulla Terra! I geni sono fatti di DNA!". Il codice tribale della scienza, specie negli anni quaranta, richiedeva ai ricercatori di attenersi strettamente ai fatti, e sperare che i loro colleghi potessero vedere attraverso il gergo anodino e rendersi conto, cosicché all'articolo di Avery fu dato il titolo impenetrabile di "Studi sulla natura chimica della sostanza che induce trasformazioni nei tipi di pneumococco. Induzione di una trasformazione da parte di una frazione di acido desossiribonucleico isolato da uno pneumococco di tipo III"» (282).

Tale scoperta costituisce anche una prima premonizione del matrimonio annunciato tra genetica ed informatica. Certo, la genetica di Mendel era "digitale" nel suo essere particolata rispetto agli assortimenti indipendenti di geni attraverso i pedigree. Ma la base fisica dei geni era sconosciuta, ed essi avrebbero ancora potuto essere elementi con qualità, varietà, incidenza, variabili in modo continuo ed inestrecabilmente connessi alla loro manifestazione fenotipica. Quello che diventerà la genetica di Crick [alias, alias] e Watson è intrinsecamente digitale e discontinua, sino al suo cuore stesso, la famosa doppia elica. La dimensione di un genoma può essere esattamente misurata in gigabasi con la stessa precisione con cui la capienza di un disco per computer può essere misurata in gigabytes. «Oggi la genetica è pura tecnologia dell'informazione. E' esattamente per questo che un gene antigelo può essere copiato da un pesce artico ed incollato in un pomodoro» (283).

La prima base per ricadute pratiche venne comunque alla luce verso metà degli anni cinquanta, quando i citologi riuscirono a trovare dei metodi per la costruzione del "carotino", ovvero per la separazione dei cromosomi dal resto della cellula, così da consentirne lo studio al microscopio elettronico. Per la prima volta, fu così possibile correlare le anomalie dei cromosomi con le malattie genetiche, facendo nascere «la genetica medica, ovvero quel ramo della genetica che abbraccia lo studio delle malattie genetiche sia a livello cromosomico sia a livello del paziente» (284).

Nel 1968, due ricercatori svedesi, Torbjörn O. Caspersson e Lore Zech, scoprirono poi che ogni gene ha una diversa quantità delle quattro basi azotate che formano i nucleotidi, e cioè guanina, adenina, timina, e citosina, nonché individuarono un composto, la mostarda di acridina e chinarcina, che ha affinità con la guanina, e consente perciò di colorare i cromosomi evidenziando le quantità di guanina, rendendo per la prima volta possibile l'identificazione di singoli cromosomi umani. Con l'aggiunta di altre simili tecniche di colorazione, verso la fine degli anni settanta i genetisti si trovarono già in grado di collegare tratti genetici specifici a malattie note, tanto che al primo convegno nel 1972 sulla mappatura genica venne annunciata la mappatura di circa cinquanta geni supplementari, portando il numero a centocinquanta, destinati ad arrivare a circa millecinquecento nel 1986.

Nel 1988 venne quindi lanciato il Progetto Genoma [alias], promosso da Watson e Crick [alias, alias] (285) e che vide coordinati tutti gli enti pubblici di ricerca statunitensi in uno sforzo miliardario e pluriennale volto alla mappatura dell'intero DNA umano (286). Poco dopo altri governi lanciano progetti analoghi, ma sarà una società commerciale, la Celera Genomics, a completare il progetto nell'aprile del 2000, circa un decennio in anticipo sul previsto, lavorando a partire dai dati già resi pubblici e sviluppandoli sulla base dell'impiego massiccio di risorse di calcolo computerizzato, e richiedendo alcune migliaia di brevetti in relazione ai risultati conseguiti (287). Naturalmente, la mappatura del codice genetico è solo l'inizio per identificare il ruolo e la funzione di ciascun singolo gene, ma costituisce il presupposto per giungere a capire il funzionamento dell'intero corredo genetico di un dato organismo. A questo punto sono del resto da tempo in corso analoghi "Progetti Genoma" per piante, microorganismi ed altre specie animali, per un investimento mondiale complessivo di miliardi di dollari (288).

Richard Dawkins ha d'altronde recentemente provveduto ad estrapolare nel futuro l'andamento di tempi e costi per la mappatura genetica, notando come nel 1965 è costato circa mille sterline per "lettera", o coppia di basi, sequenziare l'RNA di alcuni batteri, che nel 1975 sequenziare il DNA del virus .X174 è costato circa dieci sterline per coppia; e che nel 1995 eravamo già a una sterlina nel caso del nematoda Caenorhabditis elegans. Quando è stato completato il progetto Genoma Umano nel 2000, eravamo già a 10 pence. Ora, anche ammettendo che tale evoluzione si assesti su una progressione simile a quella dettata dalla legge di Moore (289), la previsione più prudente parrebbe indicare che al più tardi nel 2050 saremo in grado di sequenziare l'intero genoma di un singolo individuo umano (o, se per questo, animale o vegetale) con tempi e prezzi simili a quelli oggi applicabili ad un banale esame del sangue (290).

Craig Venter ritiene invece che entro il 2008 il suo Center for Advancement of Genomics (oggi J. Craig Venter Institute) sarà in grado di sequenziare l'intero genoma individuale di un uomo per circa mille dollari, ed altri fanno previsioni ancora più aggressive (291).

Naturalmente, conoscere il codice genetico di un organismo non significa ancora capire tutto di quell'organismo, e come nota Dawkins ci sono tre passi ulteriori da fare. Il primo, difficile ma ormai completamente risolto, è calcolare la sequenza di aminoacidi nella proteina prodotta dal gene dalla sequenza di nucleotidi di quest'ultimo. Il secondo, è calcolare la forma tridimensionale della proteina dalla sequenza degli aminoacidi che la compongono. Il terzo, è calcolare che embrione il gene è destinato a produrre tenuto conto del suo "ambiente" (costitutuito in primo luogo dagli altri geni compresenti, ma anche dalla cosiddetta informazione perigenetica) (292). L'idea è che sempre nel 2050 sia possibile imputare in un computer il codice genetico di un mammifero, ed ottenere il calcolo del tipo di embrione che tale codice è destinato a produrre. E' possibile d'altronde che stante l'irriducibilità dei calcoli necessari, il programma e l'hardware più efficienti per effettuare tale calcolo restino, come vedremo,... il gene stesso ed un utero (293).

A sua volta, il calcolo delle differenze tra il genoma di specie diverse, per esempio gli esseri umani e gli scimpanzé, consente di individuarne i tratti distintivi, e magari ricostruire specie diverse ed estinte imparentate con entrambi (294). Altra questione non irrilevante è la prospettiva dell'introduzione di alterazioni importanti negli animali superiori: «I bioetici discutono frequentemente le possibili sfide di un'intelligenza umana incrementata», nota Gregory Stock [alias], «senza rendersi conto che tali possibilità saranno necessariamente precedute da incrementi su animali, dato che non esistono altri modi per sviluppare e testare interventi di questo tipo. Raddoppiare come è stato fatto l'arco di vita di un verme o di un topo può non minacciare le nostre nozioni di identità umana, ma incrementare sostanzialmente l'intelligenza di un topo è un'altra questione. Qualsiasi sostanziale modifica o miglioramento dell'intelligenza di una scimmia superiore o di un cane solleverebbe ulteriori questioni, specialmente se la loro intelligenza venisse ad avvicinarsi alla nostra» (295).

Scriveva Faye già nel 1998: «Una delle tesi centrali della nozione di archeofuturismo che cerco di promuovere è la seguente: in modo paradossale la tecnoscienza del XXI secolo sta mettendo alle corde la modernità. Essa rischia di riabilitare concezioni inegualitarie e arcaiche. Un semplice esempio in materia di genetica: la mappatura del genoma umano, lo studio delle malattie ereditarie, la messa a punto delle terapie genetiche, le ricerche sulla chimica del cervello, sull'AIDS e sulle malattie virali, etc., cominciano già a far apparire concretamente, nei suoi fattori determinanti, l'ineguaglianza dell'uomo. La comunità scientifica è presa tra l'incudine e il martello: come al tempo stesso obbedire alla censura del politically correct, cedere al terrorismo intellettuale dell'egualitarismo, e proclamare verità scientifiche che potrebbero rivelarsi terapeuticamente utili (296)? Ci sarà conflitto, e conflitto grave. Già ora i genetisti, i sessuologi, i virologi, hanno sempre più difficoltà a nascondere che uno dei mitemi canonici della religione dei Diritti dell'Uomo, cioè il postulato della "sostanziale" uguaglianza genetica dei diversi gruppi umani e quello dell'individualizzazione genetica degli uomini è scientificamente insostenibile» (297).

E aggiunge: «D'altra parte, è chiaro che le biotecnologie (procreazione assistita, impianti biotronici, organi artificiali ed addizionali, clonazione, terapie geniche, manipolazione del genoma, tutte tecnologie che senza osare pronunciare la parola rispondono ad una logica eugenetica), non saranno accessibili a tutti né rimborsabili dal sistema sanitario nazionale, né applicabili altrove che nei grandi paesi industrializzati. Un eugenismo di fatto, proposto ad una minoranza la cui aspettativa di vita ne uscirà in più rafforzata: il colmo dell'ineguaglianza sta per scivolare come un virus nel cuore della civiltà egualitaria e moderna. Altro problema seccante: come reagiranno i nostri umanisti quando saranno prodotte chimere (ibridi uomo-animale) e cloni per creare banche d'organi e del sangue, migliorare lo sperma, testare medicine? Tenteranno di vietarlo? Non ci riusciranno. Per sopportare lo choc globale della genetica del futuro, occorrerà una mentalità arcaica». Una mentalità non-umanista, che sia in grado di orientare, legittimare e integrare il nuovo potere dell'uomo su se stesso nel quadro della costruzione di un destino collettivo di razza e di specie, e che appare oggi alternativa necessaria alla disumanizzazione che la paralisi e la resa dell'ideologia dominante finiscono per comportare.

Infatti, nel corso del periodo esaminato e sino ad oggi, l'accumulo con velocità crescente di nuovi dati e lo sviluppo di nuovi metodi per isolare ed identificare i geni si sono costantemente affiancati alla scoperta di una complessa serie di tecniche di manipolazione e trasformazione dei geni stessi. Uno dei più notevoli di questi metodi è quello del DNA ricombinante. Nel 1973 venne realizzata da due biologi di Stanford, Paul Berg e Maxine Singer, un'impresa che, come nota Rifkin, «secondo alcuni esperti di biotecnologia, nel mondo della materia vivente, è paragonabile per importanza alla scoperta del fuoco» (298). I due ricercatori spiegarono di aver preso due organismi non correlati tra loro, ossia che non si accoppiano in natura, di aver isolato un frammento di DNA da ciascuno, e quindi di aver ricombinato i due frammenti di materiale genetico (299).

Se per più di diecimila anni gli uomini hanno manipolato la biologia del mondo vegetale ed animale, e più o meno indirettamente la propria, le tecnologie in questione rappresentano un salto di qualità evidente. L'austera e conservatrice Enciclopedia Britannica, già nel 1976 scriveva al riguardo: «come in passato abbiamo manipolato la plastica e i metalli, adesso stiamo costruendo materiali viventi» (300). In effetti, le tecniche tradizionali di ibridazione possibili tra specie diverse incontrano limiti severi in campo vegetale, ed ancor più in campo animale, dove tali limiti sono stati indeboliti solo in modo minimo dalla fecondazione artificiale. L'ingegneria genetica supera invece radicalmente le costrizioni imposte dai confini di specie.

Lo stesso concetto di specie come entità riconoscibile, unica, e stabile per sua natura, diventa un anacronismo quando cominciamo a ricombinare i tratti genetici superando i confini dell'interfecondità "naturale o quasi". Rifkin cita al riguardo tre dei primissimi esempi pratici dei risultati raggiungibili.

«Nel 1983, Ralph Brinster dell'Università della Pennsylvania inserì in embrioni di topo i geni umani che regolano l'ormone della crescita. I topi espressero i geni umani, si svilupparono con una rapidità più che doppia del normale e raggiunsero una taglia più che doppia di qualsiasi altro membro della stessa specie, trasmettendo la relativa caratteristica alla propria discendenza. A tutt'oggi esistono discendenti di questo esperimento, in cui geni umani sono stati permanentemente incorporati nel corredo cromosomico di questi animali. Agli inizi del 1984, alcuni scienziati lavorarono su cellule embrionali di capra e pecora, trasferendo l'embrione che ne risultò in un animale che diede alla luce una chimera capra-pecora, che costituisce il primo esempio di fusione di due animali assolutamente non correlati. Nel 1986 altri scienziati presero il gene che codifica l'emissione della luce nella lucciola e lo inserirono nel codice genetico di una pianta di tabacco. Risultato: le foglie di tabacco brillavano al buio!» (301).

Questi primi risultati, sia pure inutili o vagamente orrendi, naturalmente non sarebbero stati realizzabili utilizzando le tecniche di riproduzione o ibridazione tradizionale. Nei moderni laboratori biotecnologici le possibilità di ricombinazione sono al contrario virtualmente illimitate. Le nuove tecnologie consentono di combinare materiale genetico di qualsiasi provenienza, in vista di qualsiasi possibile scopo. Le caratteristiche genetiche degli organismi viventi si avviano perciò a divenire frutto unicamente di scelte e preferenze esplicite.

Giova sottolineare anche che tale radicale trasformazione del nostro rapporto con la natura non è data dall'applicazione delle tecniche in questione, ma dall'esistenza stessa della possibilità di applicarle. È perfettamente possibile sparare con una mano davanti agli occhi, e lasciare che "il destino segua il suo corso", ma nel momento in cui ci vedo, o posso vederci se lo desidero, la responsabilità di dove vada la pallottola resta comunque mia, così come resta mia quella di piantare varietà vegetali meno produttive, o non rimediare ad un difetto genetico in un embrione. Mentre conservare immutate specie antiche, o addirittura resuscitare specie estinte (302), rientra tra le opzioni possibili, tutto questo non è più frutto ormai che di un (possibile) gusto o interesse o scelta in tale senso, esattamente come lo sarà il permettere la nascita di un bambino con malformazioni di origine genetica.

La declinazione dei primi impieghi delle acquisizioni suddette, nel clima culturale contemporaneo e in mancanza di qualsiasi ispirazione storico-politica, è ovviamente mercantilista, nel quadro di una dialettica limitata alla contraddizione tra moralismo impaurito e "mercato". Gli equilibri di forze, nel panorama finanziario mondiale e nei rapporti tra i singoli paesi, ne sono comunque già significativamente toccati.

Centinaia di aziende di bioingegneria si contendono posizioni di mercato, cervelli, brevetti e capitale di rischio (in particolare nelle borse note come "Nuovi Mercati" e dopo l'esplosione della bolla speculativa della New Economy della fine anni novanta), con nomi come Amgen, Organogenesis, Genzyme, Calgene, Mycogen; ma guerre di posizione rilevanti coinvolgono pressoché tutte le multinazionali farmaceutiche, della chimica e del comparto agricolo-alimentare, tra cui Novartis, DuPont, Monsanto, Pfizer, Eli Lilly, Dow Chemical, Ciba-Geigy, Bayer, Pharmacia, etc. (303)

Le applicazioni sono praticamente illimitate, e verranno ad incidere progressivamentesulle risorse e sull'indipendenza e potere economico dei paesi coinvolti.

Nell'industria mineraria, i ricercatori stanno sviluppando nuovi microorganismi capaci di rimpiazzare i minatori e le loro macchine nell'estrazione dei metalli. Già dall'inizio degli anni ottanta sono stati testati microorganismi che consumano metalli come cobalto, ferro, nickel e manganese. Una società ha riferito di aver introdotto con successo un batterio «in composti a bassa concentrazione di rame, nei quali ha prodotto un enzima che ne elimina i sali, lasciando una forma di rame quasi pura» (304). Per i metalli a bassa concentrazione, difficili da estrarre con metodi tradizionali, saranno i microorganismi a fornire lo strumento utile a renderne possibile l'estrazione e la lavorazione. Simili applicazioni sono già in atto per degradare i minerali nei quali è presente oro metallico, prima della sua estrazione chimica, così da incrementare la resa di quest'ultima. Rileva Rifkin: «Si pensa che in futuro l'industria mineraria incrementerà notevolmente l'uso di microorganismi, come la via più economica per utilizzare rocce metallifere a bassa concentrazione e quei minerali che normalmente verrebbero scartati» (305).

Tra le applicazioni utili a minimizzare l'impatto dannoso dell'uomo sull'ambiente e i pericoli insiti in alcune lavorazioni viene citata altresì la progettazione di microorganismi che consumino il gas metano presente nelle miniere, una delle maggiori cause di incidenti, a seguito della sua tendenza ad esplodere (306). Le biotecnologie vengono considerate effettivamente uno strumento promettente per la bonifica ambientale, e in particolare per la sostituzione delle sostanze tossiche con sostanze utili o quanto meno innocue da parte di funghi, alghe e batteri appositamente modificati (307). L'Institute for Genomic Research ha d'altronde sequenziato il genoma di un microbo caratterizzato da una elevata capacità di assorbire radiazioni, e conta di utilizzare le conoscenze acquisite per creare nuovi metodi atti alla gestione delle scorie radioattive.

In realtà, a seconda dei casi, risulta interessante tanto la capacità di aumentare quanto quella di ridurre l'assorbimento di scorie chimiche o radioattive da parte di una data specie vegetale, così come di qualsiasi altro elemento. Mentre una specie coltivata a scopo di bonifica è immaginabile debba immagazzinare quanto più possibile degli elementi indesiderabili, il contrario è vero per una specie allevata a fini alimentari, magari sul medesimo territorio inquinato, in cui al più andrà incrementato l'assorbimento di oligoelementi che ne migliorino le caratteristiche nutrizionali, e in particolare la loro collocazione nella parte edibile della pianta (ad esempio, il frutto, o le foglie). Ma il concetto può essere spinto ancora un po' più in là. Per esempio, la Purdue University in Indiana sta studiando l'alterazione dell'assorbimento vegetale di metalli pesanti non solo a scopo di bonifica, ma di addirittura di riciclaggio dei metalli stessi (308). Alcune specie di alberi, in particolare pioppi geneticamente modificati, sono in grado da soli di pompare tramite il loro sistema radicale, concentrare e biodegradare pericolosi composti organici, rimpiazzando un'intera filiera di bonifica industriale (309). Le società di silvicoltura stanno inoltre esaminando la possibilità di isolare geni che possano essere inseriti negli alberi per farli crescere più velocemente, in tal caso non solo a fini di rimboschimento, ma produttivi. La Calgen ha già negli anni novanta isolato il gene dell'enzima che controlla la produzione della cellulosa nelle piante, in vista di un'utilizzo per ottenere piante maggiormente efficienti per le industrie della pasta di cellulosa e per le cartiere.

Altri esperimenti, industrialmente ancora più rilevanti, sono in corso per quello che riguarda il settore energetico, con particolare riguardo alla ricorrente proposta di sostituire i combustibili fossili con l'etanolo, il normale alcool presente nelle bevande e nei disinfettanti, ad esempio come carburante per i veicoli, o per la produzione di energia elettrica. A tale fine sono in corso esperimenti volti ad aumentare la produttività specifica delle risorse vegetali, come la canna da zucchero. Un batterio del ceppo Escherichia coli è stato reso capace di consumare i residui agricoli, gli scarti di produzione alimentare, i rifiuti solidi urbani, convertendoli direttamente in etanolo. Sempre in vista della sostituzione del petrolio, una ditta britannica chiamata ICI pare abbia sviluppato batteri in grado di produrre plastica con varie caratteristiche, mentre nel 1993 Carlo Sommerville, del centro di botanica del Carnegie Institute di Washington ha inserito un gene in una pianta di senape che la rende ugualmente capace di produrre sostanze plastiche, che la Monsanto si ripromette di utilizzare industrialmente.

La suddetta Monsanto, una delle maggiori multinazionali attive nel settore chimico, ha liquidato integralmente nel 1997 la sua divisione attiva nel campo della chimica tradizionale, ed ha integralmente ancorato i propri programmi di ricerca, sviluppo e marketing alle biotecnologie. Ricorda ancora Rifkin: «Nel campo dell'agricoltura, la bioingegneria viene considerata una parziale alternativa all'industria chimica e ai suoi prodotti. Gli scienziati sono impegnati a creare nuove coltivazioni che possano prendere l'azoto direttamente dall'aria, piuttosto che essere obbligati a fare affidamento sui costosi fertilizzanti petrolchimici attualmente in uso. Inoltre si fanno esperimenti per trasferire le caratteristiche genetiche da una specie all'altra al fine di migliorare il valore nutrizionale delle piante e aumentarne il raccolto e il rendimento. [...] Le prime varietà alimentari geneticamente trattate furono piantate nel 1996. Più di tre quarti dei campi di cotone dell'Alabama sono stati modificati geneticamente al fine di combattere gli insetti nocivi. Già nel 1997 negli Stati Uniti soia geneticamente modificata veniva piantata in più di otto milioni di acri e grano dal genoma ugualmente modificato in più di tre milioni e mezzo di acri; nel 1998, siamo ai 28 milioni di ettari su scala mondiale» (310).

Batteri e vegetali non sono certo gli unici organismi coinvolti. «In Florida, nel 1996, è stato realizzato il primo insetto geneticamente modificato, un acaro predatore. I ricercatori dell'Università della Florida sperano che possa mangiare gli altri acari che danneggiano le fragole e gli altri raccolti. Gli scienziati dell'Università della California a Riverside hanno svolto invece la sperimentazione per inserire un gene letale nel corredo cromosomico dell'antonoma rosa del cotone, un parassita che causa ogni anno nei campi danni per milioni di dollari. Il gene killer si attiva in primavera, uccidendo i giovani parassiti prima che essi possano danneggiare il cotone, accoppiarsi e riprodursi. L'idea dei ricercatori Thomas Miller e John Peloquin è quella di allevare fino a maturità milioni di questi antonomi geneticamente modificati, in modo da rilasciarli pronti ad accoppiarsi con quelli del ceppo selvatico. La progenie conterrà il gene letale e di conseguenza morirà in massa per effetto di questa nuova forma di peste volutamente creata» (311).

Se la rivoluzione del secondo uomo presto o tardi vede sempre nell'avvento dell'agricoltura un elemento caratterizzante, non è detto che tale situazione sia destinata a restare immutata, a meno che non sia la politica a decidere che l'agricoltura stessa vada conservata per ragioni sociali o di altro genere. Se la fantascienza ha da tempo preconizzato l'avvento delle colture idroponiche, vi è chi ritiene che a breve termine la maggior parte dei prodotti agricoli potranno effettivamente essere fabbricati indoor e industrialmente.

Già alla fine degli anni ottanta, la Escagenics annunciava di essere riuscita a produrre vaniglia in laboratorio. La vaniglia è l'essenza più diffusa in America, ed è contenuta in un terzo dei gelati venduti, senza contare gli altri utilizzi in pasticceria, profumeria e cosmetica, ma ha un costo di produzione elevato, richiedendo un'impollinazione manuale e delicati processi di raccolta. La tecnologia proposta dalla Escagenics, basata sullo splicing genetico, dovrebbe consentire di ottenere la vaniglia da colture batteriche modificate con il gene della pianta relativa, in grandi serbatoi, eliminando d'un colpo la necessità del seme, della pianta, del terreno di coltura, della sua concimazione, della coltivazione, del raccolto e del contadino. Analogamente, vescicole di aranci e limoni sono stati fatti crescere da colture di tessuti, anticipando il momento in cui la spremuta verrà fatta "crescere" in grandi vasche, senza alcuna necessità di piantare agrumeti (312). Similmente, secondo un articolo del Washington Post (313), il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha persuaso cellule di cotone a riprodursi in serbatoi pieni di sostanze nutritive; essendo tale ambiente privo di microbi, l'idea sarebbe di utilizzare tale procedura inizialmente per la produzione di garze sterili, per poi generare le economie di scala utili a stabilire un'offerta competitiva per il settore tessile in genere.

Due biologi dello stesso dipartimento, che all'epoca avevano l'amministrazione dell'attività di ricerca, nel 1994 hanno rilasciato un'intervista (314) in cui prevedono che ai campi verrà lasciata unicamente la coltivazione di biomasse perenni, senza altro scopo che quello di intercettare l'energia solare mediante fotosintesi. Il prodotto potrebbe poi essere convertito mediante enzimi in una soluzione zuccherina, da sfruttare come sostanza nutritiva per la produzione industriale di pasta di cellulosa ricavata da colture di tessuti, che potrebbe a sua volta venire ricostituita ed elaborata in forme e consistenze diverse per imitare quelle associate alle coltivazioni "cresciute sul terreno", in ambienti altamente automatizzati, e con minimo impiego di manodopera.

L'impatto sociale esplosivo di tutto ciò è facilmente immaginabile.


Stefano Vaj

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(281) Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, op. cit., pag. 25.
(282) Ibidem, pag. 33.
(283) Richard Dawkins, "Son of Moore's Law", in John Brockman, The Next Fifty Years, Science in the First Half of the Twenty-First Century, Vintage Books, New York 2002, pag. 146.
(284) Bishop , Waldholz, Genome. The Story of the Most Astonishing Scientific Adventure of Our Time: the Attempt to Map All the Genes in the Human Body, Simon & Schuster, New York, 1990, pag. 203.
(285) È interessante constatare che Francis Crick [alias, alias], che ottenne nel 1962 il Nobel per le sue ricerche sul DNA, era un eugenista risoluto, al punto da dichiarare: «Nuove definizioni legali della vita e della morte sono necessarie, se non si vuole che l'esplosione demografica ponga problemi di qualità oltre che di quantità. Per esempio, si potrebbe immaginare una nuova definizione di nascita, posticipandone la data a due giorni dopo il parto. Ciò permetterebbe di esaminare i neonati, che non sarebbero ancora considerati esseri umani nel pieno senso del termine, e di amministrare l'eutanasia a quelli che siano nati con una tara o una malformazione. [...] Le mie idee così espresse implicherebbero una rivalutazione completa della vita umana stessa. Io non credo a una parola del punto di vista tradizionale secondo cui tutti gli uomini
nascono uguali e sono sacri» (in Tribune médicale, 21/11/1970).
(286) McKusick, "Mapping and Sequencing the Human Genome", in New England Journal of Medicine, vol. 320, 1989, pag. 912.
(287) Cfr. Claudia Di Giorgio, "Completata la sequenza del genoma umano" in La Repubblica, 06/04/2000.
(288) Abbiamo d'altronde scoperto nel frattempo che sequenziare interamente il DNA di un organismo non ci dà ancora l'intera mappa genetica di un organismo. Per la recente scoperta dell'importanza del codice "epigenetico" e la famosa storia dell'agnello "callipigio" chiamato Solid Gold per i suoi abbondanti quarti posteriori, che pure i genetisti non riuscivano a riprodurre, cfr. W. Wayt Gibbs, "Il genoma invisibile. Oltre il DNA", in Le Scienze, Gennaio 2004, n. 425, pag. 82 [versione originale Web], nonché Beck e Alexander, The Epigenome. Molecular Hide and Seek, Wiley, New York 2003.
(289) Secondo la legge di Moore, sempre rispettata dal 1965 quando fu per la prima volta formulata, la potenza di calcolo degli elaboratori è destinata a raddoppiare (o, a parità di potenza, il suo prezzo di mercato a dimezzare) ogni diciotto mesi. Le profezie rispetto a vari "tetti" che la fisica dei materiali avrebbe ad un certo punto imposto sono state finora aggirate con vari accorgimenti.
(290) Richard Dawkins, "Son of Moore's Law", , in John Brockman, The Next Fifty Years, Science in the First Half of the Twenty-First Century, op. cit. In realtà, come già notato con riguardo alla tesi della "stretta parentela" genetica tra le razze umane, una simile parentela esiste al 98% con le scimmie superiori, all'85% con i topi, e al 50% con il moscerino della frutta caro ai genetisti sperimentali (cfr. Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 16). Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(291) Cfr. la Solexa Inc. Citati in Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. IX. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(292) In effetti, una grande sorpresa apportata dal completamento del Progetto Genoma è che i geni umani non sono cento o centocinquantamila come previamente ipotizzato, ma circa trentamila. Ciò rende le cose più complicate, non più semplici., perché indica che una parte rilevante parte dell'informazione è immagazzinata non nel singolo gene, ma nell'astronomico numero di interazioni tra di essi, nonché nei meccanismi epigenetici già ricordati.
(293) Sul tema della possibile irriducibilità computazionale dei sistemi fisici e biologici, cfr. Stephen Wolfram, A New Kind of Science, op. cit. [versione Web], in particolare lla sezione "Computational Irreducibility".
(294) Cfr. il "Lucy Genome Project", discusso in Richard Dawkins, "Son of Moore's Law", in , in John Brockman, The Next Fifty Years, Science in the First Half of the Twenty-First Century, op. cit., concernente la ricostruzione del genoma degli australopitechi. Come nota Dawkins, un componente essenziale dell'antropocentrismo umanista è l'avvenuta estinzione delle altre specie della famiglia Homo. Come distinguere lo "specieismo" dal "razzismo", una volta che un australopiteco camminasse in mezzo a noi?
(295) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. X. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(296) Riecheggia recentemente i termini del problema di una medicina "razzialmente consapevole" l'articolo recentemente apparso in italiano di Bamshad e Olson, con il titolo demenziale di "Esistono le razze?" su Le Scienze n. 425, Gennaio 2004, pag. 48 [versione originale Web].
(297) Guillaume Faye, Archeofuturismo, op. cit., pag. 99 [edizione Web]
(298) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, op. cit., pag. 39.
(299) In particolare, viene prima utilizzato un "enzima di restrizione" per estrapolare le molecole di DNA da un organismo. Dopo che il DNA è stato diviso, si separa un piccolo segmento di materiale genetico, un singolo gene o una sequenza di geni ravvicinati. Successivamente, si taglia un segmento dal corpo di un plasmide, che è un corto frammento di DNA batterico. Sia il segmento originario che il segmento del plasmide presentano la capacità di "attaccarsi" all'estremità, e il plasmide così modificato viene utilizzato come vettore per trasportare il DNA in una cellula ospite, che comincia a duplicarlo, producendo cellule con lo stesso DNA modificato.
(300) Ritchie-Calder, "Retailing the Tailor", in Encyclopaedia Britannica, Londra 1976.
(301) In effetti, uno degli aspetti più affascinanti e curiosi dei trapianti genetici è il come lo stesso gene possa conservare un'espressività simile non solo al di fuori della specie, della famiglia o del genere di appartenenza, ma addirittura attraverso i phyla, o dal regno animale al regno vegetale e viceversa.
(302) La tecnica ipotizzata in un film come Jurassic Park (USA, 1993) – rimarchevole per gli effetti speciali quanto intriso della maledizione che la religione del regista leva da sempre contro simili tentazioni (cfr. la leggenda del Golem) – è quella dell'estrazione di segmenti di DNA dal sangue di dinosauro rimasto nel pungiglione o nel tratto digestivo di insetti preistoriche che si sono ritrovati incapsulati nell'ambra vegetale, e il loro innesto nelle blastule di uova di struzzo.
(303) Come vedremo, d'altronde, questa "esplosione" è tutt'altro che diffusa e simmetrica, e la sua geografia riflette preoccupanti trend di carattere generali, tali per cui, ad esempio, mentre le aziende farmaceutiche europee hanno a malapena raddoppiato il proprio budget nell'area "ricerca e sviluppo" dal 1990 al 2000, le aziende americane l'hanno quintuplicato, così da raggiungere, già all'inizio di questo secolo, 24 miliardi di dollari, così che oggi dei dieci farmaci più venduti otto sono americani. Non solo. Nel 1990 i gruppi europei del settore spendevano il 73% dei loro stanziamenti per la ricerca in Europa, dieci anni dopo tale percentuale era già ridotta al 59%, di nuovo con gli Stati Uniti quali primi beneficiari di tale trasferimento degli investimenti (vedi al riguardo David W. Versailles, Valérie Merindol, Patrice Cardot, La Recherche et la Technologie, Enjeux de Puissance, Economica, Parigi 2003). Tale situazione crea a maggior ragione un ritardo specifico nelle "tecnologie di rottura", come le biotecnologie, rispetto alla ricerca nel campo delle "me-too drugs", basata su varianti di molecole note.
(304) Vedi O' Toole, "In the Lab: Bugs to Grow Wheat, Eat Metal", in Washington Post, 18/01/1980, pag. A1.
(305) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, op. cit., pag. 44. Molti degli esempi che seguono sono ricordati nel libro citato.
(306) Robert J Frederick, Margaret Egan, "Environmentally Compatible Applications of Biotechnology. Using Living Organisms to Minimize Harmful Human Impact on the Environment", in Bioscience, primavera 1994, pag. 531.
(307) E' stato calcolato che nel 1996 solo negli USA venivano già prodotte 200 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi, e venivano spesi a livello mondiale 1700 miliardi di dollari per lo smaltimento di sostanze tossiche. Ciò dà un'idea dell'importanza strategica della questione, esaminata ad esempio da Parkin, "Bioremediation. A Promising Technology", in Frederick B. Rudolph, Larry V. McIntyre, Biotechnology, Science, Engineering and Ethical Challenges for the Twenty-First Century, Joseph Henry Press, Washington D.C. 1996.
(308) Cfr. Gabriele Marcotti, "A Harvest of Heavy Metal", in Financial Times, 08/05/1998, pag. 16.
(309) Michael Fumento, Bioevolution. How Biotechnology Is Changing the World, op. cit., pag. 313.
(310) Dato citato in Enzo Caprioli, "Cibo geneticamente modificato o scontro tra civiltà?", art. cit.
(311) Di nuovo da Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, op. cit.
(312) Lawrence Busch et al., Plants, Power and Profit. Social, Economical and Ethical Consequences of the New Biotechnologies, Basil Blackwell, Cambridge, MA, 1991, pag. 173.
(313) "Tricking Cotton to Think Lab is Home, Sweet Home", Washington Post, 29/05/1988, pag. A3.
(314) Martin H. Rogof, Stephen I. Rawlins, "Food Security. A Technological Alternative", in Bioscience, Maggio 1994, pag. 800-807.