Biopolitica. Il nuovo paradigma


- Vai alla Home Page
- Vai alla pagina con l'indice per accedere al testo completo online, (testo principale in un'unica pagina, singoli capitoli ed appendice)
- Vai al prossimo capitolo: Sovrumanismo e "terzo uomo" (II)


A Simona

«Im Amfang war die Tat» (1)
Johann Wolfgang Goethe, Faust


Bioetica, ambientalismo, biopolitica

L'insieme di tematiche che possiamo riassumere con il termine di "biopolitica" rappresenta uno spartiacque fondamentale in termini di visione del mondo. Non solo. È la questione cruciale della nostra epoca, riguardando l'identità stessa della nostra specie, il suo futuro ed il senso della sua presenza nel mondo.

Il rapporto tra l'uomo e il suo ambiente, l'origine della vita e delle varie specie, l'ereditarietà, l'antropologia, la riproduzione, la selezione, la sanità, la demografia, rappresentano altrettanti argomenti "sensibili", che dopo la rimozione freudiana (2) di buona parte della fine del secolo scorso ritornano oggi prepotentemente alla ribalta. Riempiono così le pagine dei giornali ad ogni occasione le catastrofi ambientali vere o annunciate, la questione della brevettabilità di nuove specie, una pecora australiana clonata o l'annuncio di un'analoga clonazione di una bambina (3) da parte di una piccola setta, gli scontri sulla procreazione assistita o sull'aborto o sui cibi geneticamente modificati.

Per lo più, il dibattito su questi temi è oggi dominato dai cosiddetti studiosi di bioetica, personaggi normalmente caratterizzati da una forte ipoteca confessionale, in Italia di regola post-marxista o cattolica. D'altronde, se l'establishment scientifico, agroalimentare e chimico-farmaceutico si cura soltanto dei propri interessi a breve termine, le posizioni "bioetiche" non vanno in genere al di là della maledizione biblica contro la tentazione di "giocare alla divinità", e contro ogni nuova forma di dominio dell'uomo sull'uomo e sul mondo.

Anzi, chi ha davvero preoccupazioni ideologiche al riguardo è oggi quasi per definizione schierato nel campo "bioetico", dato che, come nel caso dell'ambientalismo, i suoi avversari semplicemente non percepiscono o si rifiutano di percepire il problema e si muovono in un logica di puro lobbyismo, che non tenta neppure di andare al di là della polemica politica spicciola («i cibi transgenici costano meno, e comunque vietarne l'importazione è contrario alla libertà dei traffici»).

Se per ecologia si intendeva un tempo semplicemente la scienza degli equilibri e delle interazioni tra le varie specie e tra queste e il loro ambiente chimico-fisico ed oggi il termine è passato ad indicare la sensibilità ed ideologia che passano anche sotto il nome di "ambientalismo", similmente il termine bioetica, come ricorda Leon R. Kass, era stato in realtà coniato dal biologo Van Rensselaer Potter, «per designare una nuova etica da basarsi non su fondazioni filosofiche o religiose ma sul terreno che veniva ritenuto più solido della moderna biologia, ed era poi passato ad indicare lo studio di tutte le intersezioni tra l'avanzamento delle scienze biologiche e le dimensioni morali della vita umana» (4). In effetti, il medesimo Kass, capofila della tendenza cosiddetta bio-luddita (5), tiene ancora nel 2002 a sottolineare che il Comitato Presidenziale cui è stato messo a capo da George W. Bush non è un comitato di "bioetici", ma sulla bioetica (6). Già all'epoca comunque il termine stava ormai ad indicare più che altro una specializzazione, politica o accademica, nella denuncia dei portati della biologia moderna.

Malgrado ciò, anche gli "studiosi di bioetica" raramente si occupano di altro che non siano le conseguenze immediate delle "novità" di... ieri, dagli OGM alla clonazione dei mammiferi alla fecondazione artificiale. Le questioni di più ampio significato e di più lungo periodo semmai sono state esplorate dalla fantascienza classica, specie del secondo dopoguerra, che pur offrendo per lo più epiloghi rassicuranti e politicamente corretti (gli scienziati pazzi messi in condizioni di non nuocere, i "superuomini" geneticamente modificati sconfitti dal bravo cittadino americano) ha avuto almeno il merito di esplorare scenari radicalmente diversi da ciò cui siamo abituati, e che pure inevitabilmente incombono.

Un autore ad esempio tuttora attivo e di discreta notorietà come David Gerrold ha ad esempio scritto un'intera saga, articolata in più romanzi e racconti, dedicata allo scontro tra la solita "Federazione terrestre" e la civiltà Morthan (da "more than", sottinteso "human", più-che-umano). Quest'ultima è una cultura creata nello spazio al di fuori della sfera di influenza della Federazione da un gruppo di individui geneticamente modificati che, separatosi dal resto dell'umanità e dalle sue convenzioni e regole, ha continuato a selezionare e modificare il proprio codice genetico per secoli, al fine deliberato di creare una razza superiore dalle prestazioni intellettuali e fisiche eccezionali (inutile dire che lo scenario rappresenta un'allegoria neppure troppo velata della seconda guerra mondiale). Simili temi si ritrovano nella storia futura di Jerry Pournelle, con particolare riguardo alla guerra contro il dominion del pianeta Sauron (7), e in altri esempi troppo numerosi per essere qui ricordati che hanno per oggetto catastrofi ecologiche e/o mutazioni radicali della nostra specie e del suo ambiente, fino al contesto radicalmente post-umano della Scala di Schild dell'australiano Greg Egan (8). Ma già molti autori dell'epoca d'oro della fantascienza si erano occupati intensamente della tematica della natura umana e delle sue possibili trasformazioni future, come ad esempio Poul Anderson, Robert A. Heinlein e Charles L. Harness. Tali autori non fanno d'altronde che prolungare una tradizione fantascientifica risalente quanto meno agli uomini-bestia nel classico del 1896 di Herbert G. Wells, L'isola del dottor Moreau (9).

Heinlein, come nota Brian Alexander, svolse comunque un ruolo decisivo nella penetrazione culturale di queste tematiche nella cultura popolare anglosassone e non, dove verranno declinate tra l'altro dall'entusiamo ingenuo delle correnti come il life-extensionism, in cui molto prima del New Age si mischiavano un senso di rottura epocale ed il superamento di molti assiomi tradizionali della correttezza occidentale, giudeocristiana e "democratica" con vari cascami delle ideologie egualitarie e progressiste (10). In realtà, una vera riflessione sulla "rivoluzione biologica" può trovare le sue radici, ed a partire dalla fine dell'Ottocento ha avuto una sua prima possibile risposta ad un livello ben diverso, con la riflessione sovrumanista relativa allo Zeit-Umbruch, la "rottura del tempo della storia". Con tale riflessione si fa strada infatti per la prima volta, in campo filosofico, antropologico e artistico-religioso, l'idea dell'avvento di un "terzo uomo", chiamato a farsi integralmente carico del suo destino attraverso un "nuovo inizio" che non tanto ripeta anacronisticamente, quanto riprenda e riproduca l'atteggiamento con cui la rivoluzione indoeuropea rispose alla sfida dell'era neolitica. E ciò in particolare attraverso un'integrazione culturale e postmoderna della tecnica contemporanea, che superasse la crisi di civiltà che già si annunciava.

Le denunzie "bioetiche" più recenti hanno abbastanza ben presenti le genealogie e le opzioni di fondo. Scrive Giuseppe Lissa: «In quest'epoca, segnata, secondo Nietzsche, dalla morte di Dio, una profonda crisi attraversò e lacerò il corpo della tradizione occidentale, dominata dall'ispirazione platonico-ebraico-cristiana (11), producendo effetti largamente negativi anche sulla tradizione liberale che ne aveva ereditato le istanze umanistiche più importanti... La libertà, secondo un antico concetto ebraico, rilanciato da Hannah Arendt, risiede nella capacità che ha l'uomo di strapparsi ai determinismi naturali, storici e culturali da cui è incalzato... Ora, proprio questa prerogativa venne messa in discussione dall'epoca di cui parliamo... Al di là del varco che questo passaggio consentì di superare, l'essenza dell'uomo si trovò ad essere dislocata, e fu riposta nella sua potenza... Ma non si limitò a questo. [La biologia], disvelando i misteri del corpo, mise l'uomo in condizione di intervenire su di esso per trasformarlo e per adeguarlo ai sogni di perfezione da lui sognati nel tempo in cui la sua umanità si era perduta dietro l'illudente convinzione che questa perfezione risieda nella realizzazione della potenza. Trasformandosi poi in medicina, la biologia alimentò il faustiano mito medicale e lo portò ad immaginare di poter estendere la propria potenza vitale e di poter trasformare il proprio corpo sino al punto da farlo corrispondere con l'immagine del suo desiderio, che era, come si è detto, un desiderio di potenza. Così egli soggiacque a questo desiderio completamente e nutrì l'ambizione di esercitare la sua padronanza sull'intero processo evolutivo, scoperto da Darwin, illudendosi di poterlo orientare in maniera da farlo corrispondere alle sue aspettative» (12).

Così, ecologia, pianificazione del territorio, della produzione e dello sfruttamento delle risorse naturali, bonifica, demografia, eugenetica, sviluppo sostenibile, programmi igienici, sanitari e sportivi di massa, antropologia, genetica delle popolazioni, biologia umana, storia naturale passata e soprattutto futura, sono argomenti che finiscono poi per acquisire negli anni venti e trenta un'improvvisa centralità politica, altrettanto ignota ai regimi liberali tradizionali che all'Ancien Régime, e con cui i regimi comunisti (sino che sono durati) e filoamericani del dopoguerra finiscono comunque per doversi confrontare. Cosa che in effetti non mancano di fare, ma secondo logiche appunto moralistiche, di breve termine, di bassa propaganda, di interesse economico, di neoprimitivismo velleitario, di pregiudizio ideologico, che si prolungano sino ad oggi.

Oggi, l'atteggiamento rispetto a tali questioni è divenuto una cartina di tornasole per individuare le "vere" appartenenze ideali di ciascuno. Esistono scelte personali che sono significative in gradi diversi. Che due consiglieri provinciali o due giornalisti siano d'accordo sul colore da dare ai tombini nel comune di Orgonzuolo non ci dice molto quanto ai rispettivi orientamenti ideali di fondo. Le questioni biopolitiche hanno invece in comune con le grandi questioni di politica internazionale il fatto di dividere nettamente coloro ad esempio che si schierano davvero su posizioni alternative all'ideologia dominante e i loro vari passati compagni di strada, specie quelli "di destra".

Sono però pressoché tutti d'accordo sul fatto che la "rivoluzione biopolitica" che si annuncia, anzi, che è già in corso, rappresenta perciò l'affermarsi di un nuovo paradigma con cui siamo tutti in un modo o nell'altro costretti a confrontarci (13).

La visione postmoderna, o, per usare il linguaggio di Guillaume Faye, archeofuturista (14), che in nuce ha già costituito l'ispirazione fondamentale del sovrumanismo di inizio Novecento e in parte dei successivi movimenti nazionalpopolari europei, non fornisce automaticamente soluzioni o risposte definitive, preconfezionate, alle questioni di cui trattiamo in questo articolo. Rappresenta più che altro un approccio diverso, un atteggiamento che supera e contraddice i pregiudizi tuttora dominanti, ed accetta pienamente le sfide che ci sono poste per integrarle in un possibile destino collettivo. Ciò anziché negarle in vista di ritorni all'indietro puramente onirici, o rifiutarne la responsabilità a vantaggio di meccanismi impersonali (logiche di mercato, microedonismo individualista, regole legalistiche astratte, movimenti entropici) che si spera abbastanza benevoli da consentire la nostra sopravvivenza come specie in un contesto più o meno accettabile.

Tutto questo naturalmente ha a che fare con una riflessione più generale sulla tecnica come elemento caratterizzante della nostra specie, e ciò in particolare nella particolare prospettiva che su di essa proietta la nostra cultura, in particolare nella sua fase attuale (15).

Tale riflessione sottolinea come l'essenza della tecnica non abbia nulla di tecnico: essa è per l'uomo un modo del disvelamento in senso heideggeriano, è un rapportarsi all'essere. Secondo questa prospettiva, proprio oggi, quando l'uomo avverte la dimensione alienante e reificante della civiltà della tecnica e vive il compimento della metafisica, cioè dell'oblio dell'essere, l'uomo è già preso da una dimensione "altra", che lo porta sulla soglia del mistero ontologico. «Heidegger, ad esempio, fin dall'inizio della sua riflessione, mette in luce come il Dasein, l'"essere-nel-mondo", significhi per l'uomo "prendersi cura delle cose", manipolarle e trasformarle secondo le sue esigenze. Essere in relazione con gli altri viventi e con l'ambiente che lo circonda significa per l'uomo avere la possibilità di comprendere, ed agire sulle regole fondamentali del divenire naturale. E la tecnica è un "progetto" che "dispone" degli enti trasformandoli in oggetto di calcolo e di manipolazione»» (16).

Così, secondo Heidegger, «ciò che è stato pensato e poetato agli albori dell'antichità greca è oggi ancora attuale, così presente che la sua essenza rimasta chiusa a esso stesso ci sta davanti e ci viene incontro da ogni parte, soprattutto e proprio là dove meno ce lo aspettiamo, cioè appunto nel dominio dispiegato della tecnica moderna, che è assolutamente estranea a tale ancestralità, ma che tuttavia ha la propria origine essenziale proprio in quest'ultima» (17).

«Da questa prospettiva», riconosce Maria Paola Firmiani, «la sensibilità neo-antica del pensiero contemporaneo evidenzia uno sradicamento epocale» (18).

La Forma (Gestalt) dell'Operaio di Ernst Jünger rappresenta tipicamente l'avatar storico di tale rinnovata frattura (19). Nota a tale proposito Alain de Benoist, dopo aver menzionato al riguardo il film Metropolis [DVD] di Fritz Lang: «Mobilitare significa "essere pronto, rendere pronto", nel senso in cui il soldato si rende pronto per la guerra. Ma significa anche rendere mobile, mettere in movimento. Come farà dunque il Lavoratore a mobilitare il mondo e ad affrontare i modi di esistere "antiquati"? Mobiliterà il mondo ricorrendo alla tecnica, quella tecnica che è di per sé la causa della "mobilitazione totale". E attraverso questa utilizzazione, la tecnica riceverà di colpo tutto il suo significato... Secondo Jünger, solo il Lavoratore coltiva una relazione "reale" con la tecnica: lui solo è capace di avere un rapporto autentico con il "carattere totale del Lavoro", che è identico all'essere nel senso della volontà di potenza. La tecnica non è solamente "il simbolo della Figura del Lavoratore", rappresenta altresì la maniera (die Art und Weise) in cui questa Figura mobilita il mondo. La vera ragione della tecnica non sta nell'"accelerare il progresso", ma nell'intensificare la potenza: la tecnica costituisce "lo strumento più potente e meno discutibile della rivoluzione totale"» (20).

Del resto, quest'ordine di idee aveva già da tempo permeato il panorama artistico ed intellettuale europeo con i grandi "manifesti" del movimento futurista (21). E le stesse correnti attualiste dell'idealismo italiano, con la loro insistenza sul concetto di autoctisi e sulla interpretazione della presenza dell'uomo nel mondo come atto (auto-)creativo dello spirito che si afferma ponendo un oggetto che è condizione necessaria della sua azione ma non può essere da lui separato, con conseguente coincidenza tra pensiero ed azione plasmatrice ed ordinatrice disegnano percorsi la cui convergenza in senso faustiano ed "attivista" non è troppo difficile identificare (22).

Similmente, «per Gehlen, l'uomo è naturalmente sociale, ma anche naturalmente tecnico, poiché il mondo culturale che costituisce la casa in cui egli si trova a suo agio è un mondo che può evolversi e costruirsi solo grazie all'intervento tecnologico. [...] L'uomo, che si presenta biologicamente carente nei confronti degli animali meglio adattati e più specializzati, è tuttavia capace di prestazioni imprevedibili e di attività insospettate, ma Gehlen si rifiuta di ascrivere queste caratteristiche ad una scintilla divina, ad un'anima immortale impressa da Dio nella sua creatura prediletta. Nell'antropologia elementare non c'è più posto per la divinità, è quindi l'uomo tecnologico che con le sue sole forze è in grado di superare le necessità e proiettarsi nel regno della libertà. La riflessione antropologica di Gehlen si avvicina alla concezione volta a fare dell'uomo l'essere capace di costruire il proprio futuro. E' la libertà di determinare il proprio destino che ripaga l'uomo di tutte le sue carenze organiche, realizzando ciò che tutti gli altri esseri, pur non limitati da "inadattamenti", "non-specializzazioni" e "primitivismi", non riuscirebbero mai a costruire: un "mondo culturale", un "ambiente artificiale", atto a garantire l'esistenza e a soddisfare le esigenze di quell'essere particolarissimo che è l'essere umano. Dalla costruzione dei più rudimentali utensili alla creazione delle più sofisticate apparecchiature odierne, la tecnica ha costantemente aiutato l'uomo ad aprirsi al mondo, a conquistare e a dominare tutta la terra...» (23).

Così, conclude Gehlen, «senza un ambiente preciso della specie al quale sia adattato, senza uno schema innato di movimento e comportamento (e ciò negli animali significa "istinto"), per carenza quindi di specifici organi ed istinti, povero di sensi, privo di armi, nudo, embrionale nel suo habitus, instintivamente insicuro già per via del farsi sentire interiore dei suoi impulsi, egli è chiamato all'azione, alla modificazione intelligente di qualsivoglia condizione naturale incontrata» 24.

Aggiunge Oswald Spengler: «[In tale prospettiva] la lotta della natura interna dell'uomo contro la natura esterna non è più sentita come una sofferenza (così Schopenauer e Darwin si rappresentavano lo struggle for life), ma come il grande senso della vita, che la nobilita; così pensava Nietzsche: amor fati. E l'uomo appartiene a questa specie» (25).

Sul piano biopolitico come su altri piani, essenza di tale nuovo e diverso approccio, nel secolo passato come in quello appena iniziato, è molto spesso una logica del terzo incluso, la cui portata è pienamente comprensibile soprattutto oggi.

Ciò significa in pratica, quando il dibattito contemporaneo appare fortemente polarizzato su posizioni contrapposte, che si presentano come i due termini di una alternativa insuperabile, negare in radice tale dicotomia; andare oltre la contraddizione che sembra riassumere tutte le possibili posizioni su un problema; in altri termini: tagliare il nodo di Gordio che esiste solo nella limitata prospettiva della visione del mondo oggi egemone. Lo scontro tra produttivisti ed ecologisti, tra naturisti ed adoratori della scienza medica ufficiale, tra evoluzionisti ed antievoluzionisti, tra abortisti ed antiabortisti, diventa in tale prospettiva superficiale, insensato, o basato su valori da superare, esattamente quanto l'idea ottocentesca che la politica si dovesse ridurre allo scontro tra "liberalismo" e "socialismo", o "laici" e "clericali", o "conservatori" e "progressisti".

Dal punto di vista postmoderno, a tali sorpassate dialettiche subentrano analisi diverse, che nel concreto sono inevitabilmente basate sullo stato momentaneo delle nostre conoscenze, su posizioni contingenti e opzioni in certo modo arbitrarie, ma che riflettono una costante rottura con la logica della modernità e delle sue radici umanistico-egualitarie.

Tali analisi possono naturalmente trovare espressione in prese di posizioni politiche, che d'altronde nella loro declinazione concreta possono per molti risultare ancora oggi, quando non addirittura intollerabili, quanto meno incomprensibili.

In tale prospettiva, ad esempio, la "grande questione morale" della procreazione assistita, che ha visto una delle maggiori "spaccature ideali" del parlamento italiano potrebbe essere legittimamente vista come un tipico non-problema, dal momento che in linea di massima qualsiasi misura abbia per effetto un sostegno anche minimo alla quantità e qualità della demografia europea autoctona è da considerarsi bene accetta, avendo rilievo il bilancio finale dei bambini nati vivi, e non del numero delle "anime" che siano eventualmente assurte in anticipo nel Regno dei Cieli, al di là dei pregiudizi religiosi (26) (ma anche dei desideri più o meno individualisti e narcisisti delle "aspiranti madri", di cui si fanno invece portatori gli ambienti che difendono indiscriminatamente tali pratiche 27); così che ciò che importa è soprattutto l'uso che della fecondazione artificiale venga praticamente fatto; ed è semmai tale ultimo aspetto che vede oggi un "Far-West dell'etica", non certo la prospettiva che un referendum radicale potesse mai integralmente abrogare la legge scandalosa, tartufesca e democristiana, introdotta nel 2002 sull'onda delle pressioni "bioetiche"(28), contro l'indifferenza e disinformazione dei più e la massiccia mobilitazione della chiesa cattolica.

Similmente, la vera questione in materia di aborto potrebbe essere considerata quella di se e quando l'aborto possa essere un dovere, mentre viceversa potrebbe parere irrilevante (o al limite da scoraggiare, sempre da un punto di vista di dinamica delle popolazioni) la sua rivendicazione come diritto, in relazione a scelte di tipo essenzialmente economico-edonistico, per di più unicamente della madre (29).

Ancora, nella prospettiva accennata, il problema della protezione e valorizzazione dell'ambiente risulta inscindibile dal problema già accennato del significato della tecnica, e del controllo tecnico dell'ambiente da parte di una volontà politica in un funzione del progetto collettivo di un particolare destino, ma certo non con irenismi neo-ludditi o fughe in un primitivismo velleitario e suicida, né con una "manutenzione" minimalista del palcoscenico necessario al dispiegarsi del Mercato e del progresso universale.

Viceversa, i termini in cui tutte tali questioni sono oggi dibattute non hanno neppure senso per chi non sta né "qui" né "là" nell'ambito della tendenza egualitario-umanista, ma semplicemente altrove rispetto a quest'ultima.



Stefano Vaj

- Vai al prossimo capitolo: Sovrumanismo e "terzo uomo" (II)



(1) «In principio era l'azione». (2) Il meccanismo della rimozione, o réfoulement, che non è stato ovviamente solo Freud a descrivere, consiste nell'utilizzo della ben nota capacità umana di ignorare, dimenticare e cancellare dalla mente quello che è propriamente "intollerabile" per l'individuo o il gruppo coinvolti dal fenomeno. È inutile d'altronde notare come non è certo il fatto di rimuovere dalla propria mente un problema che fa sì che questo se ne vada... (3) Vedi il sito di Clonaid, "the first human cloning company in the world".
(4) Leon R. Kass, Human Cloning and Human Dignity. The Report of the President's Council on Bioethics, Publicaffairs/Perseus Books Group, New York 2002, [edizione Web] pag. XVII.
(5) L'espressione, che indica l'opposizione radicale alla biotecnologia ed al transumanismo, fa ovviamente riferimento al movimento terrorista anti-industriale inglese del 1811-1812 (intitolato ad un idiota di nome Ned Ludd che a quanto pare aveva rotto per errore due telai), uso a minacciare i possessori di macchine, e buttare dalle scogliere o fracassare a martellate queste ultime.
(6) Leon R. Kass, Human Cloning and Human Dignity. The Report of the President's Council on Bioethics, op. cit.
(7) Significativa l'omonimia del pianeta con il "titanico" Signore degli Anelli nell'omonima trilogia di John R. R. Tolkien (ultima edizione italiana, Bompiani, Milano 2004), portata sullo schermo nei film [versione DVD italiana: 1, 2, 3] di Peter Jackson (Nuova Zelanda 2001-2003), e prima ancora nel cartone animato di Ralph Bakshi, La compagnia dell'anello (USA 1978) [versione DVD].
(8) Edizione italiana: Greg Egan, La scala di Schild, Mondadori, Milano 2004. Vedi anche l'antologia a cura di Gardner Dozois Supermen. Tales of the Posthuman Future, St. Martin's Griffin, New York 2002.
(9) Per una recente edizione italiana, Mursia, Milano 2003. Dalla storia sono state tratte le mediocri versioni cinematografiche di Erie C. Kenton (USA 1933), di Don Taylor (USA 1977) [versione DVD] e di John Frankheimer [versione DVD] (in italiano con il titolo L'isola perduta, USA 1997 [versione DVD]) .
(10)Cfr. Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, Basic Books / Perseus Book Group, New York 2003, pag. 49. Un'altra recente presentazione di quest'ordine di idee, al tempo stesso meno giornalistica, con maggior spessore scientifico, e in un certo senso dall'"interno" del movimento è quella di Gregory Stock [alias] Redesigning Humans. Choosing Our Genes, Changing Our Future, Mariner Books, New York 2003, trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005. Un'espressione recente di questa tendenza è incarnata nell'Immortalist Institute, cui si deve l'antologia, con partecipazione di vari studiosi illustri, The Scientific Conquest Of Death, Libros en Red, Buenos Aires 2004. Vedi anche il sito Web Geniebusters, "For a Biocentric Transhumanism", di Lyle Burkhead; ed ancora Ray Kurzweil, The Age of the Spiritual Machines, Penguin, New York 2000, Fantastic Voyage. Live Long Enough to Live Forever, Rodale Books, New York 2004 [sito collegato], e The Singularity Is Near. When Human Transcend Biology, Viking, New York [sito collegato]. Dal lato sovrumanista, postmoderno ed europeo si è occupato della ricerca in materia di estensione della vita umana Yves Christen, in Les années Faust, ou La science face au vieillissement, Sand, Parigi 1991, noto nell'ambiente soprattutto per numerosi e fondamentali contributi pubblicati in materia biopolitica su Nouvelle Ecole.
(11) Sul carattere d'altronde puramente fantasioso di questo arruolamento in senso umanista ed antieugenetico di... Platone, cfr. quanto si dirà nel capitolo sulla tentazione eugenetica, nonché Hans F.K. Günther, Platone custode della vita, Edizioni di Ar, Padova 1974.
(12) Dalla prefazione di Lissa al compitino reazionario recentemente compilato da tale Cristian Fuschetto, Fabbricare l'uomo. L'eugenetica tra biologia e ideologia, Armando Editore, Roma 2004, [recensione] con la graziosa sponsorizzazione della Regione Campania e dalla provincia di Benevento (!), pag. 8.
(13) L'uso del termine "paradigma" per indicare gli elementi portanti dell'epistemologia scientifica e filosofica di una certa epoca, e più in generale la sua stessa percezione del mondo, trae origine dall'opera di Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. Einaudi, Torino 2000, e da allora è entrata a far parte del linguaggio dei media e del marketing, sino ad essere inflazionata al punto per cui pare talora diventare un paradigm shift anche l'affermazione di un nuovo detersivo.
(14) Guillaume Faye, Archeofuturismo, Società Editrice Barbarossa, Milano 1999 [versione Web]. Il termine è poi stato ripreso, per lo più citando l'omonima opera dell'autore francese, da vari commentatori, tra cui Alessandro Giuli, "Il corpo si ribella all'anima e progetta l'immortalità", in Il Giornale del 04/02/2003.
(15)Esemplare in questo senso, sia pure in chiave in ultima analisi pessimista (ma mai primitivista o tradizionalista), è l'operetta del 1931 di Oswald Spengler, Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des Lebens (ult. ed. C.H. Beck Verlag, Monaco 1991). Il libro è uscito in italiano, tradotto da Angelo Treves, con il titolo L'uomo e la macchina (Edizioni Il Corbaccio, Milano 1931 e 1933), poi nel dopoguerra con il titolo Ascesa e declino della civiltà delle macchine (Edizioni del Borghese 1970), e ancora con il titolo L'uomo e la macchina (Settimo Sigillo, Roma 1989). Un commento [versione originale Web, versione italiana Web] di Giorgio Locchi venne pubblicato da Nouvelle Ecole (n. 13, autunno-inverno 1970) in occasione dell'uscita nello stesso periodo di una traduzione in francese (con il titolo L'homme et la technique, Gallimard, Parigi 1969). In realtà Spengler riconosce pienamente il significato dell'avventura del "secondo uomo", la sua grandezza ed il suo attuale esaurimento, ma ha difficoltà a raffigurarsi un "nuovo inizio" ed un ulteriore salto di qualità, e si prospetta piuttosto la fine della storia e della tecnica stessa, in un quadro di disumanizzazione che pure depreca con tutte le sue forze e cui considera doveroso opporsi attivamente.
(16) Così, ancora recentemente, Maria Teresa Pansera, L'uomo e i sentieri della tecnica: Heidegger, Gehlen, Marcuse, Armando Editore, Roma 1998.
(17) Martin Heidegger, "Die Frage nach der Technik", in Vorträge und Aufsätze, ult. ed. Klett-Cotta, Stuttgart 2000, trad. it. di G. Vattimo, "La questione della tecnica", in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1967, pag. 30.
(18) Maria Paola Fimiani, Umano, post-umano. Potere, sapere, etica nell'età globale, Editori Riuniti, Roma 2004.
(19) Cfr. Ernst Jünger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt (1932), ult. ed. Klett-Cotta , Stuttgart 1982, trad. it. di Quirino Principe, L'Operaio. Dominio e Forma, Guanda, Milano 2000. Tale traduzione mantiene il titolo con cui l'opera è stata originariamente fatta conoscere in Italia da Julius Evola - in particolare con L'Operaio nel pensiero di Ernst Jünger (1960), ult. ed. Edizioni Mediterranee, Roma 2002 - certo più evocativo, con il suo riferimento all'"opera" creativa, di quello più letterale di Lavoratore (parola etimologicamente connessa in italiano alla radice latina labor-, che rimanda piuttosto all'idea di una sofferenza prolungata). Un saggio importante su tale opera, su cui Heidegger aveva nel 1934 organizzato un seminario durato quasi un anno, è anche quello di Alain de Benoist, "Ernst Jünger: la Figure du Travailleur entre les dieux et les titans", in Nouvelle Ecole n. 40, settembre-novembre 1983, pag. 11-61, trad. it. L'operaio tra gli Dei e i Titani. Ernst Jünger "sismografo" dell'era della tecnica, Terzavia, Milano 2000, [versione Web]. Certo, Jünger dopo il trauma della seconda guerra mondiale finirà per allinearsi alle posizioni sostanzialmente antitecnologiche e vagamente arcadico-nichiliste del meno noto fratello Friedrich Georg Jünger, con una deriva del resto già annunciata dalle Scogliere di marmo; ma questo lascia immutato l'interesse delle sue opere degli anni trenta; più problematico è invece sostenere, come fa de Benoist, che esista una coerenza di fondo nel fatto di continuare a porsi le stesse domande, benché la propria risposta a tali domande con il tempo sia mutata: semmai, una forma superiore di "coerenza" parrebbe invece la capacità di porsi domande sempre nuove. La posizione di de Benoist sull'evoluzione, o involuzione, del pensiero jüngeriano rappresenta però una trasparente proiezione del modo in cui l'autore francese vede il suo proprio graduale ripiego da alcune posizioni che gli erano proprie negli anni settanta ed ottanta, non da ultimo proprio con riguardo alla tecnica ed alle grandi questioni biopolitiche. Lo stesso Heidegger, d'altronde, era giunto in vecchiaia a lodare proprio Jünger per aver asseritamente strappato la rappresentazione metafisica sotto l'aspetto della volontà di potenza «al campo biologico ed antropologico che ha così esageratamente fuorviato il cammino di Nietzsche» (! - cfr. "La questione dell'essere", in Martin Heidegger, Ernst Jünger, Oltre la linea, Adelphi, Milano 1989, pag. 119). Difficile giudicare oggi quanto in tali osservazioni giochino le "gelosie" di Heidegger nei confronti di Nietzsche [alias, alias] ipotizzate da Giorgio Locchi, quanto il "condizionamento ambientale" del secondo dopoguerra, e quanto un "rarefarsi spontaneo" della riflessione heideggeriana in tarda età.
(20) Alain de Benoist, L'operaio tra gli Dei e i Titani [versione Web], op. cit., pag. 41.
(21) Cfr. Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e invenzione futurista, ult. ed. Mondadori, Milano 1983.
(22) Vedi su un piano direttamente politico, gli esiti contenuti nelle prime pagine di Genesi e struttura della società di Giovanni Gentile (per un'edizione recente, Le Lettere, Firenze 2003), ma prima ancora in Teoria generale dello spirito come atto puro (Le Lettere, Firenze 2003, pubblicato per la prima volta nel 1916).
(23) Maria Teresa Pansera, L'uomo e i sentieri della tecnica: Heidegger, Gehlen, Marcuse, op. cit., pag. 31. Vedi anche Arnold Gehlen, Moral und Hypermoral, AULA-Verlag, Wiesbaden 1986, trad. italiana di Ubaldo Fadini, Morale e ipermorale. Un'etica pluralistica, Ombre Corte, Verona 2001.
(24) Arnold Gehlen "Die Technik in die Sichtweise der philosophischer Anthropologie", in Anthropologische Forschung. Zur Selbstbegegnung und Selbstutdeckung des Menschen, Rohwolt, Amburgo 1961 (trad. it. "La tecnica vista dall'antropologia", in Prospettive antropologiche, Il Mulino, Bologna 1987, pag. 127).
(25) Oswald Spengler, Ascesa e declino della civiltà delle macchine, op. cit., pag. 54. L'antropologia di Spengler caratterizza in particolare l'uomo come un "predatore inventivo", in cui lo sguardo che caratterizzerebbe la percezione-del-mondo degli animali da preda rispetto alla dominante olfattiva degli erbivori, si è composto con la mano pensante che regge lo strumento, l'utensile e l'arma, e trasforma il dominio teorico del carnivoro sul suo territorio in dominio pratico sul mondo.
(26) Ben rappresentati ad esempio in Giuseppe Garrone (a cura di), Fecondazione extra-corporea. Pro o contro l'uomo?, Gribaudi, Milano 2001. Il libro contiene in sostanza gli atti del convegno dal titolo "FIVET: pro o contro l'uomo?" organizzato a Torino nel 2000 dal cosiddetto Movimento per la Vita, meglio noto per la raccolta di firme per il referendum abrogativo della legge italiana sull'aborto di qualche decennio fa. FIVET (fecondation in vitro and embryo transfer) è un sinonimo, chissà perché considerato vagamente dispregiativo, di IVF (in-vitro fecondation), più comunemente nota in italiano appunto con l'"eufemismo" (?) rappresentato dall'espressione procreazione assistita.
(27) Cfr. Chiara Valentini, La fecondazione proibita, Feltrinelli, Milano 2004. Il libro della giornalista, pur assolutamente allineato in termini di scelta di valori con la cultura dominante, ben rappresentata anche nella prefazione di Stefano Rodotà, è nondimeno una miniera di notizie ed argomenti sulla poco edificante storia del movimento proibizionista in materia di inseminazione artificiale, e oggi di procreazione assistita.
(28) Giova notare che in questo campo la palma dell'integralismo, ma forse anche della coerenza, va all'individualismo cristiano, in particolare evangelico ma anche cattolico, rispetto alla maggiore coloritura comunitaria del pensiero ebraico ed islamico, che tendono a riconoscere una certa differenza alla posizione dell'embrione rispetto a quella del membro a pieno diritto del corpo sociale, come sottolinea anche l'omologo italiano di Kass, ovvero Francesco D'Agostino, ordinario di filosofia del diritto all'Università di Tor Vergata a Roma e presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, in un'intervista pubblicata da Il Corriere della Sera, 15/01/2005, pag. 5 (a cura di Franca Porciani, "Il bioetico cattolico"). In realtà, d'altronde, la posizione cattolica ufficiale risale solo al 1869, quanto Pio IX rimosse la tradizionale distinzione tra feto "animato" e feto "inanimato"e dichiarò che all'ovulo l'anima sarebbe infusa da Dio in coincidenza con la sua fecondazione (le opinioni maggioritarie in campo ebraico fissano invece il "momento" ad un mese dopo il concepimento, in campo islamico nel periodo tra uno e tre mesi). Hanno perciò ragione gli interventi contenuti in Giuseppe Garrone (a cura di), Fecondazione extra-corporea. Pro o contro l'uomo?, op. cit., a considerare ipocrite le ipotesi di alcuni cattolici, funzionali alla fecondazione artificiale, quanto all'esistenza di un problematico stadio di "pre-embrione" relativo alle prime due settimane successive alla fecondazione. In ogni modo, il relativo dibattito suona assolutamente "talmudico" per chi non si ponga nella medesima prospettiva. Ad esempio, lo status "totipotente" delle cellule embrionali nel primo periodo della gestazione, per cui provocando la scissione dell'embrione si generano semplicemente... due gemelli monovulari, pone il paradosso del "significato morale" di tale tipo di clonazione: che è successo? Si è scissa anche l'anima? L'individuo originario è stato "ucciso", e ne sono "nati" due al suo posto (conclusione cui pare tendere la legge italiana nella misura in cui punisce con vent'anni di reclusione tale modesta interferenza)? Inoltre, è bensì vero che il "programma" contenuto nel DNA dell'individuo viene in un certo senso "fissato" all'atto della fecondazione, ma l'individuo sarà altresì parimenti modulato dai meccanismi perigenetici e dall'ambiente, a cominciare da quello uterino, come non dovrebbe essere necessario ricordare a chi si accanisce a denunciare l'"innatismo"; e comunque lo stesso DNA preesiste integralmente nei singoli gameti che entreranno a comporlo. In un certo senso, tale logica dovrebbe condurre alle conclusioni fatte proprie della parodia dei Monty Python nel film Il senso della vita [DVD] (The Meaning of Life, Inghilterra 1983), in cui un coro di suore canta «Every sperm is sacred, every sperm is saint» («Ogni spermatozoo è sacro, ogni spermatozoo è santo»)...
(29) Quanto poi ai "diritti", per una donna che ha scoperto mediante amniocentesi o villocentesi di portare un feto affetto da una tara, e che voglia adempiere ai suoi doveri nei confronti della comunità e della sua famiglia, siamo fermi al "diritto" di recarsi obbligatoriamente in una disastrata struttura pubblica, tra pozze di sangue, extracomunitarie urlanti e prostitute semideficienti, alla ricerca di un medico che non "obbietti" all'unica forma di terapia possibile. Salvo, qualora sia superato il terzo mese di gravidanza, sottoporsi all'ulteriore umiliazione e disagio di dover fornire una perizia falsa relativa a rischi per la sua salute fisica o psichica, oppure recarsi all'estero, se se lo può permettere.