Biopolitica. Il nuovo paradigma
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e "terzo uomo"
(II)
A
Simona
«Im
Amfang war die Tat» ()
Johann
Wolfgang Goethe, Faust
Bioetica,
ambientalismo, biopolitica
L'insieme
di tematiche che possiamo riassumere con il termine di "biopolitica"
rappresenta uno spartiacque fondamentale in termini di visione del
mondo. Non solo. È la questione cruciale della nostra epoca,
riguardando l'identità stessa della nostra specie, il suo
futuro ed il senso della sua presenza nel mondo.
Il
rapporto tra l'uomo e il suo ambiente, l'origine della vita e delle
varie specie, l'ereditarietà, l'antropologia, la riproduzione,
la selezione, la sanità, la demografia, rappresentano
altrettanti argomenti "sensibili", che dopo la rimozione
freudiana ()
di buona parte della fine del secolo scorso ritornano oggi
prepotentemente alla ribalta. Riempiono così le pagine dei
giornali ad ogni occasione le catastrofi ambientali vere o
annunciate, la questione della brevettabilità di nuove specie, una
pecora australiana clonata o l'annuncio di un'analoga clonazione
di una bambina ()
da parte di una
piccola setta, gli scontri sulla procreazione assistita o
sull'aborto o sui cibi geneticamente modificati.
Per
lo più, il dibattito su questi temi è oggi dominato dai
cosiddetti studiosi di bioetica, personaggi normalmente
caratterizzati da una forte ipoteca confessionale, in Italia di
regola post-marxista o cattolica. D'altronde, se l'establishment
scientifico, agroalimentare e chimico-farmaceutico si cura soltanto
dei propri interessi a breve termine, le posizioni "bioetiche"
non vanno in genere al di là della maledizione biblica contro
la tentazione di "giocare alla divinità", e contro
ogni nuova forma di dominio dell'uomo sull'uomo e sul mondo.
Anzi,
chi ha davvero preoccupazioni ideologiche al riguardo è oggi
quasi per definizione schierato nel campo "bioetico", dato
che, come nel caso dell'ambientalismo, i suoi avversari semplicemente
non percepiscono – o si rifiutano di percepire – il problema e si muovono in un logica di puro lobbyismo, che
non tenta neppure di andare al di là della polemica politica
spicciola («i cibi transgenici costano meno, e comunque
vietarne l'importazione è contrario alla libertà dei
traffici»).
Se
per ecologia si intendeva un tempo semplicemente la scienza degli equilibri e
delle interazioni tra le varie specie e tra queste e il loro ambiente
chimico-fisico ed oggi il termine è passato ad indicare la
sensibilità ed ideologia che passano anche sotto il nome di
"ambientalismo", similmente il termine bioetica, come ricorda Leon
R. Kass, era stato in
realtà coniato dal biologo Van
Rensselaer Potter, «per
designare una nuova etica da basarsi non su fondazioni filosofiche o
religiose ma sul terreno che veniva ritenuto più solido della
moderna biologia, ed era poi passato ad indicare lo studio di tutte
le intersezioni tra l'avanzamento delle scienze biologiche e le
dimensioni morali della vita umana»
().
In effetti, il medesimo Kass, capofila della tendenza cosiddetta
bio-luddita (),
tiene ancora nel 2002 a sottolineare che il Comitato
Presidenziale cui è
stato messo a capo da George
W. Bush non è un
comitato di "bioetici", ma sulla bioetica ().
Già all'epoca comunque il termine stava ormai ad indicare più
che altro una specializzazione, politica o accademica, nella denuncia dei portati della biologia moderna.
Malgrado
ciò, anche gli "studiosi di bioetica" raramente si
occupano di altro che non siano le conseguenze immediate delle
"novità" di... ieri, dagli OGM alla clonazione dei
mammiferi alla fecondazione artificiale. Le questioni di più
ampio significato e di più lungo periodo semmai sono state
esplorate dalla fantascienza classica, specie del secondo dopoguerra,
che pur offrendo per lo più epiloghi rassicuranti e
politicamente corretti (gli scienziati pazzi messi in condizioni di
non nuocere, i "superuomini" geneticamente modificati
sconfitti dal bravo cittadino americano) ha avuto almeno il merito di
esplorare scenari radicalmente diversi da ciò cui siamo
abituati, e che pure inevitabilmente incombono.
Un autore ad esempio tuttora attivo e di discreta notorietà come David Gerrold ha ad
esempio scritto un'intera saga, articolata in più romanzi e racconti,
dedicata allo scontro tra la solita "Federazione terrestre" e la
civiltà Morthan (da "more than", sottinteso "human",
più-che-umano). Quest'ultima è una cultura creata nello spazio al di
fuori della sfera di influenza della Federazione da un gruppo di
individui geneticamente modificati che, separatosi dal resto
dell'umanità e dalle sue convenzioni e regole, ha continuato a
selezionare e modificare il proprio codice genetico per secoli, al fine
deliberato di creare una razza superiore dalle prestazioni
intellettuali e fisiche eccezionali (inutile dire che lo scenario
rappresenta un'allegoria neppure troppo velata della seconda guerra
mondiale). Simili temi si ritrovano nella storia futura di Jerry Pournelle,
con particolare riguardo alla guerra contro il dominion del pianeta
Sauron (), e in altri esempi
troppo numerosi per essere qui ricordati che hanno per oggetto
catastrofi ecologiche e/o mutazioni radicali della nostra specie e del
suo ambiente, fino al contesto radicalmente post-umano della Scala di Schild dell'australiano Greg Egan ().
Ma già molti autori dell'epoca d'oro della fantascienza si erano
occupati intensamente della tematica della natura umana e delle sue
possibili trasformazioni future, come ad esempio Poul
Anderson, Robert
A. Heinlein e Charles L.
Harness. Tali autori non fanno d'altronde che prolungare una
tradizione fantascientifica risalente quanto meno agli uomini-bestia
nel classico del 1896 di Herbert G. Wells, L'isola del dottor Moreau ().
Heinlein, come nota Brian Alexander,
svolse comunque un ruolo decisivo nella penetrazione culturale di
queste tematiche nella cultura popolare anglosassone e non, dove
verranno declinate tra l'altro dall'entusiamo ingenuo delle correnti
come il life-extensionism, in cui molto prima del New Age si
mischiavano un senso di rottura epocale ed il superamento di molti
assiomi tradizionali della correttezza occidentale, giudeocristiana e
"democratica" con vari cascami delle ideologie egualitarie e
progressiste ().
In
realtà, una vera riflessione sulla "rivoluzione
biologica" può trovare le sue radici, ed a partire dalla
fine dell'Ottocento ha avuto una sua prima possibile risposta ad un
livello ben diverso, con la riflessione sovrumanista relativa allo Zeit-Umbruch, la "rottura
del tempo della storia". Con tale riflessione si fa strada
infatti per la prima volta, in campo filosofico, antropologico e
artistico-religioso, l'idea dell'avvento di un "terzo uomo",
chiamato a farsi integralmente carico del suo destino attraverso un
"nuovo inizio" che non tanto ripeta anacronisticamente, quanto riprenda e riproduca l'atteggiamento con cui la rivoluzione
indoeuropea rispose alla sfida dell'era neolitica. E ciò
in particolare attraverso un'integrazione culturale e postmoderna
della tecnica contemporanea, che superasse la crisi di civiltà
che già si annunciava.
Le
denunzie "bioetiche" più recenti hanno abbastanza
ben presenti le genealogie e le opzioni di fondo. Scrive Giuseppe
Lissa: «In quest'epoca,
segnata, secondo Nietzsche,
dalla morte di Dio, una profonda crisi attraversò e lacerò
il corpo della tradizione occidentale, dominata dall'ispirazione
platonico-ebraico-cristiana (),
producendo effetti largamente negativi anche sulla tradizione
liberale che ne aveva ereditato le istanze umanistiche più
importanti... La libertà, secondo un antico concetto ebraico,
rilanciato da Hannah
Arendt, risiede nella
capacità che ha l'uomo di strapparsi ai determinismi naturali,
storici e culturali da cui è incalzato... Ora, proprio questa
prerogativa venne messa in discussione dall'epoca di cui parliamo... Al
di là del varco che questo passaggio consentì di
superare, l'essenza dell'uomo si trovò ad essere dislocata, e
fu riposta nella sua potenza... Ma non si limitò a questo. [La
biologia], disvelando i misteri del corpo, mise l'uomo in condizione
di intervenire su di esso per trasformarlo e per adeguarlo ai sogni
di perfezione da lui sognati nel tempo in cui la sua umanità
si era perduta dietro l'illudente convinzione che questa perfezione
risieda nella realizzazione della potenza. Trasformandosi poi in
medicina, la biologia alimentò il faustiano mito medicale e lo
portò ad immaginare di poter estendere la propria potenza
vitale e di poter trasformare il proprio corpo sino al punto da farlo
corrispondere con l'immagine del suo desiderio, che era, come si è
detto, un desiderio di potenza. Così egli soggiacque a questo
desiderio completamente e nutrì l'ambizione di esercitare la
sua padronanza sull'intero processo evolutivo, scoperto da Darwin,
illudendosi di poterlo orientare in maniera da farlo corrispondere
alle sue aspettative» ().
Così, ecologia,
pianificazione del territorio, della produzione e dello sfruttamento
delle risorse naturali, bonifica, demografia, eugenetica, sviluppo
sostenibile, programmi igienici, sanitari e sportivi di massa,
antropologia, genetica delle popolazioni, biologia umana, storia
naturale passata e soprattutto futura, sono argomenti che finiscono
poi per acquisire negli anni venti e trenta un'improvvisa centralità
politica, altrettanto ignota ai regimi liberali tradizionali che
all'Ancien Régime, e con cui i regimi comunisti (sino che sono
durati) e filoamericani del dopoguerra finiscono comunque per doversi
confrontare. Cosa che in effetti non mancano di fare, ma secondo
logiche appunto moralistiche, di breve termine, di bassa propaganda,
di interesse economico, di neoprimitivismo velleitario, di
pregiudizio ideologico, che si prolungano sino ad oggi.
Oggi,
l'atteggiamento rispetto a tali questioni è divenuto una
cartina di tornasole per individuare le "vere" appartenenze
ideali di ciascuno. Esistono scelte personali che sono significative
in gradi diversi. Che due consiglieri provinciali o due giornalisti
siano d'accordo sul colore da dare ai tombini nel comune di
Orgonzuolo non ci dice molto quanto ai rispettivi orientamenti ideali
di fondo. Le questioni biopolitiche hanno invece in comune con le
grandi questioni di politica internazionale il fatto di dividere
nettamente coloro ad esempio che si schierano davvero su posizioni
alternative all'ideologia dominante e i loro vari passati compagni di
strada, specie quelli "di destra".
Sono
però pressoché tutti d'accordo sul fatto che la
"rivoluzione biopolitica" che si annuncia, anzi, che è
già in corso, rappresenta perciò l'affermarsi di un nuovo paradigma con cui siamo
tutti in un modo o nell'altro costretti a confrontarci ().
La
visione postmoderna, o, per usare il linguaggio di Guillaume
Faye, archeofuturista (),
che in nuce ha già costituito l'ispirazione fondamentale del
sovrumanismo di inizio Novecento e in parte dei successivi movimenti
nazionalpopolari europei, non fornisce automaticamente soluzioni
o risposte definitive, preconfezionate, alle questioni di cui
trattiamo in questo articolo. Rappresenta più che altro un approccio diverso, un atteggiamento che supera e contraddice i
pregiudizi tuttora dominanti, ed accetta pienamente le sfide che ci
sono poste per integrarle in un possibile destino collettivo. Ciò
anziché negarle in vista di ritorni all'indietro puramente
onirici, o rifiutarne la responsabilità a vantaggio di
meccanismi impersonali (logiche di mercato, microedonismo
individualista, regole legalistiche astratte, movimenti entropici) che
si spera abbastanza benevoli da consentire la nostra
sopravvivenza come specie in un contesto più o meno
accettabile.
Tutto
questo naturalmente ha a che fare con una riflessione più
generale sulla tecnica come
elemento caratterizzante della nostra specie,
e ciò in particolare nella particolare prospettiva che su di
essa proietta la nostra cultura,
in particolare nella sua fase attuale ().
Tale
riflessione sottolinea come l'essenza della tecnica non abbia nulla
di tecnico: essa è per l'uomo un modo del disvelamento in senso heideggeriano, è un rapportarsi all'essere.
Secondo questa prospettiva, proprio oggi, quando l'uomo avverte la
dimensione alienante e reificante della civiltà della tecnica
e vive il compimento della metafisica, cioè dell'oblio
dell'essere, l'uomo è già preso da una dimensione
"altra", che lo porta sulla soglia del mistero ontologico.
«Heidegger,
ad esempio, fin dall'inizio della sua riflessione, mette in luce come
il Dasein, l'"essere-nel-mondo", significhi per l'uomo "prendersi
cura delle cose", manipolarle e trasformarle secondo le sue
esigenze. Essere in relazione con gli altri viventi e con l'ambiente
che lo circonda significa per l'uomo avere la possibilità di
comprendere, ed agire sulle regole fondamentali del divenire
naturale. E la tecnica è un "progetto" che "dispone"
degli enti trasformandoli in oggetto di calcolo e di manipolazione»»
().
Così,
secondo Heidegger,
«ciò che è
stato pensato e poetato agli albori dell'antichità greca è
oggi ancora attuale, così presente che la sua essenza rimasta
chiusa a esso stesso ci sta davanti e ci viene incontro da ogni
parte, soprattutto e proprio là dove meno ce lo aspettiamo,
cioè appunto nel dominio dispiegato della tecnica moderna, che
è assolutamente estranea a tale ancestralità, ma che
tuttavia ha la propria origine essenziale proprio in quest'ultima»
().
«Da
questa prospettiva», riconosce Maria Paola Firmiani, «la
sensibilità neo-antica del pensiero contemporaneo evidenzia
uno sradicamento epocale» ().
La
Forma (Gestalt) dell'Operaio
di Ernst
Jünger rappresenta tipicamente l'avatar storico di tale rinnovata frattura
().
Nota a tale proposito Alain
de Benoist, dopo aver
menzionato al riguardo il film Metropolis [DVD]
di Fritz
Lang: «Mobilitare
significa "essere pronto, rendere pronto", nel senso in cui
il soldato si rende pronto per la guerra. Ma significa anche rendere
mobile, mettere in movimento. Come farà dunque il Lavoratore a
mobilitare il mondo e ad affrontare i modi di esistere "antiquati"?
Mobiliterà il mondo ricorrendo alla tecnica, quella tecnica
che è di per sé la causa della "mobilitazione
totale". E attraverso questa utilizzazione, la tecnica riceverà
di colpo tutto il suo significato... Secondo Jünger, solo il
Lavoratore coltiva una relazione "reale" con la tecnica:
lui solo è capace di avere un rapporto autentico con il
"carattere totale del Lavoro", che è identico
all'essere nel senso della volontà di potenza. La tecnica non
è solamente "il simbolo della Figura del Lavoratore",
rappresenta altresì la maniera (die
Art und Weise) in cui questa
Figura mobilita il mondo. La vera ragione della tecnica non sta
nell'"accelerare il progresso", ma nell'intensificare
la potenza: la tecnica
costituisce "lo strumento più potente e meno discutibile
della rivoluzione totale"» ().
Del
resto, quest'ordine di idee aveva già da tempo permeato il
panorama artistico ed intellettuale europeo con i grandi "manifesti"
del movimento
futurista ().
E le stesse correnti
attualiste dell'idealismo italiano, con la loro insistenza sul
concetto di autoctisi – e sulla interpretazione della
presenza dell'uomo nel mondo come atto (auto-)creativo dello spirito
che si afferma ponendo un oggetto che è condizione necessaria
della sua azione ma non può essere da lui separato, con
conseguente coincidenza tra pensiero ed azione plasmatrice ed
ordinatrice – disegnano percorsi la cui convergenza in senso
faustiano ed "attivista" non è troppo difficile
identificare ().
Similmente,
«per Gehlen,
l'uomo è naturalmente sociale, ma anche naturalmente tecnico,
poiché il mondo culturale che costituisce la casa in cui egli
si trova a suo agio è un mondo che può evolversi e
costruirsi solo grazie all'intervento tecnologico. [...] L'uomo, che
si presenta biologicamente carente nei confronti degli animali meglio
adattati e più specializzati, è tuttavia capace di
prestazioni imprevedibili e di attività insospettate, ma
Gehlen si rifiuta di ascrivere queste caratteristiche ad una
scintilla divina, ad un'anima immortale impressa da Dio nella sua
creatura prediletta. Nell'antropologia elementare non c'è più
posto per la divinità, è quindi l'uomo tecnologico che
con le sue sole forze è in grado di superare le necessità
e proiettarsi nel regno della libertà. La riflessione
antropologica di Gehlen si avvicina alla concezione volta a fare
dell'uomo l'essere capace di costruire il proprio futuro. E' la
libertà di determinare il proprio destino che ripaga l'uomo di
tutte le sue carenze organiche, realizzando ciò che tutti gli
altri esseri, pur non limitati da "inadattamenti",
"non-specializzazioni" e "primitivismi", non
riuscirebbero mai a costruire: un "mondo culturale", un
"ambiente artificiale", atto a garantire l'esistenza e a
soddisfare le esigenze di quell'essere particolarissimo che è
l'essere umano. Dalla costruzione dei più rudimentali utensili
alla creazione delle più sofisticate apparecchiature odierne,
la tecnica ha costantemente aiutato l'uomo ad aprirsi al mondo, a
conquistare e a dominare tutta la terra...» ().
Così,
conclude Gehlen,
«senza un ambiente
preciso della specie al quale sia adattato, senza uno schema innato
di movimento e comportamento (e ciò negli animali significa
"istinto"), per carenza quindi di specifici organi ed
istinti, povero di sensi, privo di armi, nudo, embrionale nel suo habitus, instintivamente
insicuro già per via del farsi sentire interiore dei suoi
impulsi, egli è chiamato all'azione,
alla modificazione intelligente di qualsivoglia condizione naturale
incontrata» .
Aggiunge Oswald
Spengler: «[In tale
prospettiva] la lotta della natura interna dell'uomo contro la
natura esterna non è più sentita come una sofferenza
(così Schopenauer e Darwin si
rappresentavano lo struggle for life),
ma come il grande senso della vita, che la nobilita; così
pensava Nietzsche: amor fati. E l'uomo
appartiene a questa specie»
().
Sul
piano biopolitico come su altri piani, essenza di tale nuovo e
diverso approccio, nel secolo passato come in quello appena iniziato,
è molto spesso una logica del terzo incluso, la cui
portata è pienamente comprensibile soprattutto oggi.
Ciò
significa in pratica, quando il dibattito contemporaneo appare
fortemente polarizzato su posizioni contrapposte, che si presentano
come i due termini di una alternativa insuperabile, negare in
radice tale dicotomia; andare oltre la contraddizione che
sembra riassumere tutte le possibili posizioni su un problema; in
altri termini: tagliare il nodo di Gordio che esiste solo
nella limitata prospettiva della visione del mondo oggi egemone. Lo
scontro tra produttivisti ed ecologisti, tra naturisti ed adoratori
della scienza medica ufficiale, tra evoluzionisti ed
antievoluzionisti, tra abortisti ed antiabortisti, diventa in tale
prospettiva superficiale, insensato, o basato su valori da superare,
esattamente quanto l'idea ottocentesca che la politica si dovesse
ridurre allo scontro tra "liberalismo" e "socialismo",
o "laici" e "clericali", o "conservatori"
e "progressisti".
Dal
punto di vista postmoderno, a tali sorpassate dialettiche subentrano
analisi diverse, che nel concreto sono inevitabilmente basate sullo
stato momentaneo delle nostre conoscenze, su posizioni contingenti e
opzioni in certo modo arbitrarie, ma che riflettono una costante
rottura con la logica della modernità e delle sue radici
umanistico-egualitarie.
Tali
analisi possono naturalmente trovare espressione in prese di
posizioni politiche, che d'altronde nella loro declinazione concreta
possono per molti risultare ancora oggi, quando non addirittura
intollerabili, quanto meno incomprensibili.
In
tale prospettiva, ad esempio, la "grande questione morale"
della procreazione assistita, che ha visto una delle maggiori
"spaccature ideali" del parlamento italiano potrebbe essere
legittimamente vista come un tipico non-problema, dal momento
che in linea di massima qualsiasi misura abbia per effetto un
sostegno anche minimo alla quantità e qualità della
demografia europea autoctona è da considerarsi bene accetta,
avendo rilievo il bilancio finale dei bambini nati vivi, e non del
numero delle "anime" che siano eventualmente assurte in
anticipo nel Regno dei Cieli, al di là dei pregiudizi
religiosi ()
(ma anche dei desideri più o meno individualisti e narcisisti
delle "aspiranti madri", di cui si fanno invece portatori
gli ambienti che difendono indiscriminatamente tali pratiche );
così che ciò che importa è soprattutto l'uso
che della fecondazione artificiale venga praticamente fatto;
ed è semmai tale ultimo aspetto che vede oggi un "Far-West
dell'etica", non certo la prospettiva che un referendum radicale potesse mai integralmente abrogare la legge
scandalosa, tartufesca e democristiana, introdotta nel 2002
sull'onda delle pressioni "bioetiche"(),
contro l'indifferenza e disinformazione dei più e la massiccia
mobilitazione della chiesa
cattolica.
Similmente,
la vera questione in materia di aborto potrebbe essere considerata
quella di se e quando l'aborto possa essere un dovere, mentre
viceversa potrebbe parere irrilevante (o al limite da scoraggiare,
sempre da un punto di vista di dinamica delle popolazioni) la sua
rivendicazione come diritto, in relazione a scelte di tipo
essenzialmente economico-edonistico, per di più unicamente
della madre ().
Ancora,
nella prospettiva accennata, il problema della protezione e
valorizzazione dell'ambiente risulta inscindibile dal problema già
accennato del significato della tecnica, e del controllo tecnico
dell'ambiente da parte di una volontà politica in un funzione
del progetto collettivo di un particolare destino, ma certo non con
irenismi neo-ludditi o fughe in un primitivismo velleitario e
suicida, né con una "manutenzione" minimalista del
palcoscenico necessario al dispiegarsi del Mercato e del progresso
universale.
Viceversa,
i termini in cui tutte tali questioni sono oggi dibattute non hanno
neppure senso per chi non sta né "qui" né
"là" nell'ambito della tendenza
egualitario-umanista, ma semplicemente altrove rispetto a
quest'ultima.
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e "terzo uomo"
(II)
«In principio era l'azione». Il meccanismo della rimozione, o réfoulement, che non è
stato ovviamente solo Freud a descrivere, consiste nell'utilizzo della
ben nota capacità umana di ignorare, dimenticare e cancellare dalla
mente quello che è propriamente "intollerabile" per l'individuo o il
gruppo coinvolti dal fenomeno. È inutile d'altronde notare come non è
certo il fatto di rimuovere dalla propria mente un problema che fa sì
che questo se ne vada... Vedi il sito di
Clonaid, "the first human cloning company in the world".