Biopolitica. Il nuovo paradigma


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Futuri alternativi

Naturalmente, l'unica cosa che sappiamo con certezza del futuro della nostra specie e della nostra razza è che esso si trova di fronte a noi. Sappiamo anche che non esiste possibile "ritorno al passato" (427). Può esserci solo un ritorno (propriamente: l'Eterno Ritorno) di ciò che in passato ci ha consentito di affrontare sfide nuove ed affermare noi stessi. La nostra inquieta esplorazione del mondo, le tecniche che ne discendono, ci condannano a delle scelte, ci offrono dei poteri, ma non possono dirci cosa farne. Questo non appartiene agli ingegneri o agli scienziati o ai giuristi, ma agli "eroi fondatori", ai poeti, ed alle aristocrazie che sanno tradurre in atto l'oscura volontà collettiva della comunità popolare da cui emanano, costruendole monumenti destinati a sfidare l'eternità, lasciando dietro di sé una "gloria che non muore".

Le questioni qui discusse sono destinate comunque a plasmare il nostro futuro. La crescente banalizzazione delle possibilità che vengono via via aperte rende impensabile che esse possano essere unanimemente represse o ignorate a livello planetario per qualsiasi durata di tempo significativa, qualsiasi sia la forza della censura applicata, dell'influenza culturale e politica della tendenza a negarne la portata o vietarne l'applicazione, del controllo poliziesco interno ed internazionale che venisse stabilito al riguardo (428).

Ora, vi è chi ritiene, pessimisticamente, che contro ogni apparenza il progresso teorico e tecnico fondamentale da tempo rallenti; o che addirittura, dopo l'incredibile accelerazione del periodo a cavallo tra i due ultimi secoli, si stia fermando, in coincidenza non casuale con la graduale affermazione del sistema della globalizzazione planetaria e della sua promessa di una fine della storia; ed è lecito pensare che le mirabolanti applicazioni attuali, ivi comprese quelle discusse nel presente lavoro, non siano che "implementazioni" ed "industrializzazioni" portate a termine da nani in punta di piedi sulle spalle di giganti (429). Ma la questione non ha veramente importanza, perché come abbiamo visto gli sviluppi annunciati non richiedono alcun vero breakthrough, alcuna rivoluzione fondamentale nelle conoscenze e nelle tecniche oggi disponibili. In fin dei conti, persino un'impresa fondamentale come il completamento del Progetto Genoma umano non è consistita in altro che nel buttare risorse addosso ad un problema che in termini generali si sapeva già come risolvere. Il "mutamento di paradigma" è già alle nostre spalle.

Perciò, anche ipotizzando la scelta di un radicale tentativo di rimozione collettiva, di un proibizionismo assoluto, il nostro modo di vivere ne sarà irrimediabilmente cambiato. Ad esempio, per ciò che riguarda la riproduzione e l'ingegneria genetica umana, quando le tecniche coinvolte saranno accessibili a tutti, poco oltre il livello di una scatola del "Piccolo Chimico", per escluderne davvero l'utilizzo dovremmo instaurare il sequestro di tutti gli ovuli e gli spermatozooi ai naturali detentori onde prevenirne la manipolazione; l'istituzione di una banca dati delle specie e delle razze "naturali" da cui sarà vietato discostarsi; la verifica per legge di tutte le gravidanze per controllare che siano il frutto di ovuli propri, fecondati da un partner estratto a sorte e di cui sia ignota l'identità genetica, e che le stesse siano portate a termine senza sapere quale ne sarà il prodotto.

Che uno scenario di questo genere possa davvero mantenersi è però molto poco probabile, malgrado gli sforzi dei "comitati di bioetica" e dei legislatori più condizionati in senso reazionario.

«E' improbabile che provvedimenti legislativi alterino le possibilità fondamentali che emergono ora. Lo status legale delle varie procedure in vari paesi può affrettare o ritardare il loro arrivo, ma sono destinate ad avere un impatto limitato a lungo termine, perché le tecnologie genomiche e riproduttive in esame sorgeranno dal filone principale della ricerca biomedica attuale, che andrà avanti comunque. Le messe al bando non determineranno se, ma quando e soprattutto dove le tecnologie diverranno disponibili, chi ne approfitterà, chi indirizzera il loro sviluppo, e quali genitori avranno prima accesso ad esse. Le leggi decideranno se le tecnologie verranno sviluppate in test clinici condotti negli Stati Uniti, da laboratori governativi in Cina, o in strutture clandestine in qualche isola dei Caraibi» (430).

Nulla impedisce invece che la frattura epocale che si prospetta venga ad accelerare la fine della storia anziché la sua rigenerazione. E' indubbiamente facile immaginare uno scenario in cui il Sistema, in particolare attraverso società multinazionali e pubbliche amministrazioni complici, stabilisca o rafforzi grazie alle biotecnologie il proprio potere sulle risorse alimentari, energetiche e industriali, e le asservisca a finalità di controllo sociale, anche attraverso la deliberata accelerazione, a livello di diretta manipolazione genetica delle popolazioni, dell'uniformizzazione planetaria della specie e della rimozione delle "devianze" potenzialmente destabilizzanti. Le tecniche descritte potrebbero in tale quadro essere rese unicamente strumentali al governo cieco di un "mercato" mondiale, ora per sfamare un'umanità indifferenziata, sradicata, decadente e brulicante, votata al puro sfruttamento e distruzione dell'ambiente terrestre; ora per servire finalità di microedonismo borghese di pseudo-élite degenerate – magari aggrappate patologicamente alla sopravvivenza individuale dei propri membri e la cui età media sarebbe del resto destinata ad innalzarsi progressivamente – , ma comunque in un quadro di disumanizzazione progressiva.

L'eliminazione sempre più radicale dei fattori selettivi tradizionali, e la loro limitata e meccanica sostituzione su scala mondiale con quelli creati da un formicaio mercantilista e globalizzato, verrebbero così ad allearsi con una progressiva trasformazione dell'ambiente e dell'uomo trascinata unicamente da meccanismi economici insensati, e in particolare dalla dialettica perversa tra le capricciose preferenze e i pregiudizi ideologici di consumatori autoreferenziali, e i mezzi di condizionamento di massa che li determinano, li echeggiano e li amplificano al tempo stesso.

Tale prospettiva, proprio in quanto completamente incontrollata, ha indubbiamente notevoli potenzialità catastrofiche per la nostra specie e il suo ambiente, quali quelli messi in risalto soprattutto da chi combatte in generale la "rivoluzione biologica" attuale da posizioni reazionarie, ed ancora quelli inerenti al pericolo disgenico e alla "fragilizzazione" della specie che consegue alla riduzione del suo grado di varianza interna, della sua plasticità, e della sua capacità a sopravvivere in condizioni diverse da quelle, del tutto artificiali, oggi garantite ai più, e non solo in occidente.

Ma se possibile ancora più agghiacciante è per alcuni la prospettiva che tale processo possa avere successo, ed effettivamente stabilizzarsi, realizzando la promessa biblica di restituire alla fine la nostra specie a quella dimensione naturale, puramente statica, "animale", se non "fisico-chimica", da cui non avrebbe mai dovuto uscire mangiando i frutti dell'albero proibito dell'ominazione.

L'ambiente artificiale creato dall'uomo stesso, nel perdere le sue ultime vestigia di "naturalità", finirebbe così per reinghiottire il suo creatore, reso un mero, provvisorio ingranaggio dai confini indefiniti, nel contesto di una "macchina" bio-socio-economica capace di azzerare qualsiasi identità, destino, appartenenza, autodeterminazione collettiva del proprio futuro culturale e biologico; e addirittura qualsiasi tentazione in questo senso. Non diversa è d'altronde l'aspirazione ad un Sistema che ci spogli definitivamente dalla "responsabilità intollerabile" del dominio dell'uomo sull'uomo, di artefici delle proprie fortune, a favore di meccanismi impersonali, di interessi materiali ed individuali dati, e perciò prefissati e sottratti alla dimensione della libertà e dell'arbitrario.

Scrive Massimo Fini: «Se fosse solo una questione di multinazionali, di un trust di 'cervelli' che guida la baraonda, di una qualsiasi Trilateral o "Spectre", le cose sarebbero più semplici. Ma il fatto è che l'uomo moderno, nato col liberalismo, l'individualismo, la democrazia, è divenuto ostaggio del meccanismo, industriale, tecnologico, produttivo ed economico, che lui stesso ha creato e che è sfuggito di mano agli stessi apprendisti stregoni che pretendono di governarlo. Un meccanismo che si autoregola esclusivamente in funzione della propria crescita ed autoperpetuazione, indifferente alla condizione umana. Non sono le oligarchie, nazionali ed internazionali, politiche ed economiche, a guidarlo: queste sono solo i profittatori di giornata e le mosche cocchiere di una carrozza che va per conto suo» 431.

In ogni modo, i cicli parabiologici delle grandi culture spengleriane del "secondo uomo" sono comunque finiti, così come si è conclusa la possibilità che le razze che le esprimono e che da queste sono plasmate possano limitarsi a ripetere lo schema di vita in cui hanno abitato gli ultimi dieci o quindicimila anni.

E' proprio Spengler, autore, con Il tramonto dell'Occidente, di quello che lui stesso definisce "Lineamenti di una morfologia della storia mondiale" (432) ed analista dei grandi cicli delle cosiddette culture superiori, a riconoscerlo: «Il tempo non si può fermare. Non vi sono saggi ritorni né prudenti rinunzie. Soltanto i sognatori sperano nelle vie di salvezza. L'ottimismo è viltà. Siamo nati in questo tempo e dobbiamo percorrere sino alla fine la via che ci è destinata... Questa è grandezza, questo significa aver razza» (433). Aggiunge Jünger: «L'uomo, come aveva intuito Nietzsche, è giunto al momento storico in cui non ha altra scelta se non quella di rinunziare alla propria umanità o di prendere in mano il "dominio della Terra"» (434). Ma è Nietzsche [alias, alias] stesso a indicarci cosa ciò significhi: «Il "bene dell'individuo" è altrettanto immaginario del "bene della specie". Il primo non è sacrificato al secondo. La specie, vista da lontano, è qualcosa di altrettanto inconsistente che l'individuo. La "conservazione della specie" è soltanto una conseguenza della crescita della specie, il che equivale ad una vittoria sulla specie, nel cammino verso una specie più forte. [...] E' precisamente con riguardo ad ogni essere vivente che si può mostrare meglio che esso fa tutto ciò che può non per conservare se stesso, ma per diventare più di ciò che non sia» (435).

D'altronde, la tendenza sovrumanista e postmoderna, da Nietzsche in poi, nel rifiutare la visione linearista e provvidenziale della storia propria ai monoteismi religiosi e laici che ci promettono la "pace" della fine dell'avventura umana, sostituisce la sfera al cerchio, κύκλος, dell'antichità pagana – una sfera la cui superficie è il presente, che si espande necessariamente verso l'esterno ma può ruotare in qualsiasi direzione (436). Certo, la visione "aperta" della storia non dà certezze consolanti, ed implica necessariamente il fatto che la storia possa finire. Garantisce d'altronde, sino a che ciò non si verifichi, che ogni punto, ogni epoca possano essere assunti come il momento di una nuova origine, di una rigenerazione della storia stessa.

L'era del passaggio al "terzo uomo" e della inevitabile alterazione dei fondamenti biologici stessi della vita sul pianeta, età in cui siamo destinati a vivere storicamente la nostra esistenza, è perciò un'era primordiale in cui si affronteranno, ancora una volta, da un lato, l'aspirazione paradisiaca alla fine della storia, delle differenze, dei conflitti, della "presunzione umana"; dall'altro, un nuovo, possibile sogno di grandezza su scala mai prima immaginata, capace di proiettare la libertà e la volontà di potenza della propria comunità di riferimento "sino là dove nessun uomo è mai giunto prima".

L'avvenire apparterrà a chi saprà esprimere la volontà più forte, la consapevolezza più profonda.

Stefano Vaj


(427) Scrive Spengler già negli anni trenta: «E' proprio dell'essenza della tecnica umana il fatto che ogni invenzione contenga in sé la virtualità e la necessità di nuove invenzioni, che ogni desiderio realizzato ne produca mille altri, che ogni trionfo sulla natura stimoli a trionfi maggiori. L'anima di questo animale da preda è insaziabile, la sua volontà non può mai essere soddisfatta; tale è la maledizione che incombe su questo genere di vita, ma anche la grandezza del suo destino. Riposo, felicità, godimento sono ignoti proprio ai più eccelsi esemplari umani. E nessun inventore ha mai preveduto con esattezza gli effetti reali della sua invenzione» (Ascesa e declino della civiltà delle macchine, op. cit., pag. 91, ult. ed. italiana con il titolo L'uomo e la macchina, versione originale: Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des Leben).
(428) «In realtà, la passione dell'inventore non ha nulla a che fare con le sue conseguenze. Non importa che la sua invenzione sia utile o funesta, creatrice o distruttrice; e non importerebbe all'inventore quand'anche egli fosse fin dall'inizio in grado di saperlo. Ma nessuno prevede l'effetto di una "conquista tecnica dell'umanità" - senza contare che l'"umanità" in quanto tale non ha mai inventato nulla. Scoperte nel campo della chimica come l'indaco sintetico e quella che probabilmente si avvererà tra breve della gomma artificiale sconvolgono la vita di interi paesi; il trasporto elettrico dell'energia e l'impiego dell'energia idrica hanno svalutato i vecchi territori carboniferi dell'Europa insieme alla loro popolazione. Riflessioni di questo genere hanno mai indotto un inventore a distruggere la sua opera? Chi lo crede, conosce male la natura predatrice dell'uomo. Tutte le grandi invenzioni ed imprese derivano dalla gioia che gli uomini forti risentono nella vittoria» (ibidem, pag. 108).
(429) E' indiscutibile che il razzo e il calcolatore digitale, il DNA, l'ereditarietà e le mutazioni, l'atomo e la registrazione-trasmissione a distanza di suoni ed immagini, il microscopio e gli agenti patogeni e il motore a scoppio e la teoria dei quanti, tutto ciò viene scoperto e inventato in un arco corrispondente alla durata di una vita umana, grosso modo dal 1870 al 1950, in corrispondenza ad un'accelerazione della storia che nello stesso periodo si manifesta in ogni campo della vita sociale, politica e culturale. Molte delle cose realizzate successivamente possono essere considerate al più come un affinamento, un miglioramento, un'applicazione, un sottoprodotto di cose pensate in tale periodo, e ciò quando pure tali sviluppi abbiano in effetti luogo. Il cittadino occidentale degli anni settanta aveva buone ragioni per ritenere plausibile la scadenza del 1982 per il primo sbarco umano su Marte o per l'accensione della prima centrale a fusione nucleare, ed attraversava l'Atlantico su voli civili supersonici, che da vari anni non sono più disponibili. Gli Stati Uniti rischiano, dopo il definitivo pensionamento dei loro fallimentari Shuttle, di dover ricorrere a tecnologia russa dell'epoca della conquista lunare (!) per trasportare materiale sulla cosiddetta Stazione Spaziale Internazionale.
(430) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 113. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(431) Massimo Fini, Sudditi. Manifesto contro la democrazia, Marsilio Editori, Venezia 2004, pag. 98.
(432) Oswald Spengler, Der Untergang des Abendlandes.Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte. (1918), ult. ed. Deutsche Taschenbuch Verlag, Monaco 1997 [versione Web in spagnolo], trad. it. (di Julius Evola) Il tramonto dell'Occidente, Longanesi, Milano 1957. Una nuova edizione italiana è oggi pubblicata da Guanda, Milano 1999.
(433) Oswald Spengler, Ascesa e declino della civiltà delle macchine, op. cit., pag. 123 (ult. ed. italiana con il titolo L'uomo e la macchina, versione originale: Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des Leben).
(434) Ernst Jünger, L'Operaio. Dominio e Forma, op. cit.
(435) Friedrich Nietzsche [alias, alias], La volontà di potenza, aforismi 280 e 302.
(436) Vedi su questa concezione della storia Giorgio Locchi, "Il senso della storia", in l'Uomo libero n. 11 nonché Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista [versione Web], Akropolis, Roma 1982, o anche la divulgazione fattane da autori come Armin Mohler o Alain de Benoist (cfr. ad esempio "Fondements nominalistes d’une attitude devant la vie", in Nouvelle Ecole n. 33, giugno 1979 [versione originale Web], trad. it. di Stefano Vaj, "L'idea nominalista" in L'uomo libero n. 7).