Biopolitica. Il nuovo paradigma
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adattamento, differenziazione (VII)
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capitolo: La
manipolazione del vivente (IX)
La
"tentazione eugenetica"
La
"frattura" della storia che stiamo vivendo, e le scelte di
campo che questa impone all'uomo e alle società
contemporanei,
si manifesta prima come inquietudine, poi come possibile risposta con
la nascita ed affermazione della tendenza storica sovrumanista (),
ma tende a diffondersi generalmente nella prima metà
Novecento, ed in tale ambito è innegabile che essa si
presenta
variamente intrecciata con le espressioni direttamente politiche
incarnate, in vari stadi, nelle rivoluzioni fasciste e nelle loro
tendenziali aspirazioni a farsi carico dell'identità e
dell'avvenire "millenario" delle comunità di
riferimento (nazionale, culturale ed etnica) ().
In tal senso, non c'è dubbio che la teoria e la politica
nazionalsocialista, pur sotto vari profili più che ambigue
(),
rappresentano un punto di rottura, che conduce rapidamente ad una
polarizzazione delle posizioni (),
ed in parte ad un'oscuramento e rimozione di tutta la questione nella
seconda parte del ventesimo secolo.
Tali
elementi sono d'altronde regolarmente ripresi, a livello
propagandistico, come specifico anatema contro ogni possibile
approfondimento e dibattito pubblico sulle relative questioni; e
ciò
attravero il richiamo rituale a provvedimenti o prese di posizione
dell'epoca, tuttora evocati a distanza di oltre mezzo secolo come
interlocutori immaginari in un dibattito tra il Bene umanista,
egualitario e antifascista, e il Male in essi incarnato
esemplarmente, così da paralizzare e squalificare e rendere
"impresentabile" qualsiasi posizione eterodossa ().
In
effetti, l'azione governativa nazionalsocialista si occupa
già
di tutti o quasi gli aspetti e strumenti di intervento noti all'epoca
con riguardo al futuro della popolazione di riferimento,
dall'anamnesi familiare, all'orientamento dei matrimoni, alla
sterilizzazione ed aborto selettivi, all'assistenza alla
maternità,
alla politica demografica, alle politiche in materia di adozione,
concessione della cittadinanza o immigrazione, all'eutanasia, a tutte
le altre misure più in generale connesse alla autogestione
da
parte della comunità della propria dimensione anche
"biologica"; ivi compreso quanto finalizzato a promuovere o
rafforzare alcune caratteristiche, a rarefarne altre, a rimuovere o
controbilanciare paventati effetti disgenici (ad esempio, la
possibile selezione negativa di caratteristiche quali il coraggio o
lo spirito di servizio), a proteggere ed enfatizzare la relativa
identità collettiva nelle direzioni giudicate desiderabili.
È
durante l'era nazionalsocialista che Konrad
Lorenz scrive ad esempio nel 1940 (come i vincitori non
mancheranno più tardi di rimproverare al premio Nobel di
fisiologia e medicina, nonché padre fondatore dell'etologia
moderna): «Bisognerebbe, per la preservazione della razza,
considerare un'eliminazione degli esseri per noi moralmente inferiori
ancora più severa di quanto non lo sia oggi. [...] Dobbiamo
–
e ne abbiamo il diritto – affidarci ai migliori di noi e
incaricarli di compiere una selezione che determinerà la
prosperità o l'annientamento del nostro popolo» ().
Ed ancora: «Nei tempi preistorici la selezione in base alla
durezza, all'eroismo, all'utilità sociale era fatta solo dai
fattori esterni ostili. Bisogna che questo ruolo venga ripreso oggi
da un'organizzazione umana, altrimenti l'umanità, in
mancanza
di fattori selettivi, sarà annientata dalla degenerescenza
dovuta all'addomesticamento» ().
Nello stesso senso, Othmar von Verschurer, direttore dell'Istituto di
Antropologia, Ereditarietà Umana e Eugenetica di Berlino, il
cui prestigio scientifico non è messo in discussione neppure
da Jacquard che lo cita (),
notava nel 1943: «Il capo dell'etnoimpero [Volksreich]
tedesco è il primo uomo di Stato che abbia fatto dei dati
della biologia ereditaria un principio direttivo della condotta dello
Stato» ().
Quello
che è tra l'altro interessante dell'atteggiamento fascista
in
generale, e nazionalsocialista in particolare, su tali questioni,
è
l'antidogmatismo e l'empirismo
dimostrato sulle
questioni in oggetto, che vede dibattere, adottare, sospendere o
ripristinare misure diverse; finanziare ambiziosi programmi di
ricerca; e riprendere indifferentemente posizioni tradizionalmente
considerate "di destra" (così come l'esclusione
forzata delle devianze indesiderabili, o il rifiuto di mobilitare la
manodopera femminile ancora in una fase molto avanzata della guerra,
o la difesa della famiglia), o "di sinistra", come quando
Hitler nelle Conversazioni a tavola dichiara di
essere a
favore del "libero amore", quando qualche teorico ipotizza
l'abolizione a fini demografici ed eugenetici della monogamia nel
dopoguerra, o quando viene dal partito pubblicamente difeso il
diritto, e il dovere, delle donne tedesche di procreare figli alla
nuova Germania (il cosiddetto Führerdienst)
anche
fuori dal matrimonio – a costo di suscitare in quest'ultimo
caso
l'unica pubblica manifestazione antifascista di tutto il periodo,
segnatamente quella cattolica organizzata a Monaco dalla Rosa
Bianca.
La
questione propriamente razziale è più complessa,
ma
certamente centrale. Sin nel suo discorso al congresso del partito
tenutosi a Roma nel 1921, Benito Mussolini dichiara: «Intendo
dire che il fascismo si preoccupi del problema della razza. I
fascisti devono preoccuparsi della salute della razza, con la quale
si fa la storia»
().
Il
concetto fascista di "razza" è da un lato trattato
come un concetto squisitamente empirico, dall'altro –
particolarmente in ambito nazionalsocialista, ma non solo –
viene
assunto come mito politico-religioso utile a
definire
un'identità, ovvero in tale prospettiva a
scegliere delle radici cui appartenere in funzione
dell'avvenire che ci si
vuole creare ().
Del resto, è normale che a livello politico il "popolo"
significhi qualcosa di più e di diverso dalla "popolazione"
che studia il biologo o il demografo, così come è
cosa
diversa in senso politico la nazione rispetto al mero concetto
etnografico, o la classe rispetto al mero concetto sociologico.
In
tale contesto, il mondo fascista si riallaccia innanzitutto ad una
specificità ed identità europea, assunta sia
attraverso
il richiamo alle sue origini culturali ultime (la romanità
dei
primordi, la classicità, le tradizioni celtiche, germaniche
e
indoarie) che al suo substrato biologico (appunto europoide, o
"ariano") ().
In tale ambito, il nazionalsocialismo individua innanzitutto a
livello propriamente politico una comunità di riferimento
nazionale, tedesca, e più ampiamente etnoculturale,
germanica,
che costituisce al tempo stesso il soggetto e l'oggetto primario
dell'azione storica promossa. Nell'autodeterminazione e nel progetto
che in tale soggetto si incarna, la politica che si afferma durante
il nazionalsocialismo promuove poi la protezione e lo sviluppo
all'interno della comunità popolare tedesco-germanica della
componente "nordica" (Aufnordnung,
"nordizzazione"), definibile come una serie di
tratti genetici presenti in vari gradi all'interno della razza
europoide, che definiscono una sottorazza in tale ambito (),
e che vengono giudicati desiderabili o "nobili" per ragioni
di tipo sostanzialmente estetico, affettivo e culturale ().
Ciò lascia in sostanza impregiudicato il pieno
riconoscimento
delle altre componenti razziali presenti nella sfera
tedesco-germanica (e più in generale della razza europea di
cui questa è parte), del loro contributo storico
all'identità
comune, e della loro piena partecipazione alla comunità
popolare – come del resto è reso ovvio dal fatto
che la
classe dirigente nazionalsocialista stessa rappresentava uno spaccato
fedele della comunità stessa (con incluse componenti
razziali
alpine, faliche, dinariche, mediterranee), né alcuno dei
suoi
esponenti ha mai pensato che le cose stessero altrimenti ().
Che
questo fosse, al di là di pretese che gli stessi
nazionalsocialisti consideravano puramente propagandistiche, il
quadro di riferimento generale, è confermato anche dall'humus
culturale da cui il movimento nasce. Così Jünger
nell'Operaio
() parla
esattamente di una Wille
zur Rassenbildung, "volontà
di creazione di una razza" ().
Della
razza ariana polemicamente non sono considerati parte per definizione
gli ebrei (),
malgrado il fatto che in realtà i membri delle
comunità
ebraiche dell'Europa occidentale siano quanto meno razzialmente
misti. E ciò per ragioni essenzialmente
politico-culturali,
in relazione cioè al rifiuto che l'appartenenza alla
comunità
ebraica esprimerebbe rispetto a quella che il nazionalsocialista
considera identità europea, al di là della
proporzione
delle componenti genetiche che possono incarnarsi nel singolo
individuo; ovvero alla scelta che tale appartenenza
comporta
in termini di "comunità etnoculturale di riferimento"
().
Abbastanza
significativamente, il nazionalsocialismo considera viceversa
"ariana" ed europoide, benché razzialmente mista
quanto e più degli ebrei europei, almeno parte della
popolazione dell'India settentrionale; e non ha difficoltà a
riconoscere che la percentuale propriamente nordica della popolazione
norvegese è nettamente più significativa di
quella
presente nelle frontiere del Reich, o a ipotizzare la germanizzazione
di immigrati europei con caratteristiche desiderabili; ma non si
sognerebbe certo di considerare né "nordico", né
anche solo membro della comunità popolare germanica, un
ebreo
dolicocefalo, con gli occhi azzurri, i capelli biondi e il naso greco
– ebreo cui del resto basta talora una goccia di "sangue",
specie dal ramo materno, per sentirsi sufficientemente connesso alla
stirpe ed identità abramitica ().
Nell'ambito
del programma descritto, il ripristino o la creazione di un "orgoglio
di stirpe" e di una "coscienza razziale" nella
comunità tedesco-germanica, o nelle altre
comunità di
riferimento dei diversi movimenti fascisti europei, rappresenta come
è ovvio un tassello fondamentale, ed in effetti tutti i
movimenti in questione – che pure si mostrano sovente nei
propri
esponenti molto meno provinciali della media dell'epoca, e
profondamente interessati alle culture altrui – incoraggiano
apertamente l'etnocentrismo. Da qui la propaganda sulla propria
rispettiva "superiorità", che in realtà in
un contesto relativista ed antiuniversalista si risolve
integralmente nella prospettiva della comunità di
appartenenza; così che, a fronte di un'alta
considerazione
e ammirazione per il mondo arabo (altrettanto e più semita
nella sua composizione etnica di quello ebraico!) o per quello
giapponese ed orientale in generale, nessuno si sognerebbe di pensare
ad esempio che tali mondi dovrebbero promuovere il meticciato con la
razza (e la cultura) europea, o considerare quest'ultima come un
modello "superiore" di caratteristiche da imitare e
selezionare nei rispettivi ambiti.
Ciò
d'altronde spiega anche come il Reich ritenga "esportabile"
l'antisemitismo – che è ritenuto dai
nazionalsocialisti un
problema politico-razziale dell'intero "mondo ariano" –
mentre consideri unicamente affari interni alla comunità
tedesca (e poi germanica) su cui insiste gli orientamenti ed i
progetti relativi alla "autodeterminazione" razziale di
quest'ultima (appunto la "preferenza nordica" espressa
dalla maggioranza dei dirigenti tedeschi dell'epoca).
Il
tema della razza viene comunque declinato in modo diverso e variegato
dai vari altri movimenti tedeschi, dai vari ambienti politici e
scientifici del regime stesso, e dai vari movimenti e regimi fascisti
degli altri paesi, così che le eccessive generalizzazioni e
semplificazioni contemporanee appaiono sovente del tutto arbitrarie
().
Ciò
che giova però sottolineare ancora una volta è
come la
determinante influenza sovrumanista che a seconda dei casi è
più o meno consciamente presente in tali ambito ()
fa sì che le preoccupazioni di tipo etno-razziale ed
eugenetico vi vengano regolarmente declinate - a differenza di quanto
accadeva ed accade tuttora nella sfera culturale americana ed in
generale "democratica" - secondo la prospettiva,
intrinsecamente relativista, di una soggettività popolare e
di
un progetto storico collettivo miranti a competere
e ad affermarsi rispetto ad altre prospettive ed
identità
omologhe, piuttosto che a negarle.
Risulta
infine interessante come normalmente il piano biopolitico sia quello
dove allo Stato – certo ad esclusione del "problema ebraico",
specie in relazione al suo precipitare nella temperie bellica ()
– viene affidata essenzialmente un compito educativo,
più
che legislativo, amministrativo o repressivo. L'anamnesi familiare,
ad esempio, viene incoraggiata, ma esclusivamente nel caso delle SS i
suoi risultati in qualche modo influenzano direttamente la
libertà
di scelta in campo matrimoniale. La campagna contro il fumo,
all'epoca alquanto avveniristica, non si traduce in alcuna forma di
proibizionismo. La "dottrina delle razze" (Rassenkunde)
diventa materia di insegnamento scolastico, ma non si riflette in
alcuna diversificazione dei diritti politici o civili dei cittadini
del Reich sulla base della sottorazza di appartenenza, cosa che
avrebbe ovviamente compromesso la desiderata coesione della
comunità
popolare; e in Germania una siffatta diversificazione neppure si
verifica in materia demografica, a differenza della Roma augustea
(dove l'emancipazione femminile era legata alla nascita del terzo
figlio o della più modesta pressione esercitata al riguardo
nell'Italia fascista, in particolare a livello fiscale con la
cosiddetta "tassa sul celibato".
Più
sottilmente, un'idea diffusa era anche che la modificazione dei
valori dominanti e conseguentemente del successo relativo degli
individui all'interno della comunità (ad esempio, nello
spostamento dell'importanza sociale relativa della capacità
di
accumulare mezzi di scambio sotto forma di denaro rispetto a
coraggio, prestanza, lealtà, bellezza, spirito di servizio o
combattività) finisse per influenzarne la composizione anche
biologica attraverso un vantaggio riproduttivo differenziale delle
componenti genetiche favorite.
Se
questo schizzo tiene certo poco conto di contraddizioni, equivoci e
deviazionismi che è storicamente facile documentare, la
campagna propagandistica di parte antifascista relativamente
all'eugenetica e alla biopolitica nazionalsocialista resta d'altronde
molto dubbia sotto vari profili.
Fatti
salvi ulteriori possibili approfondimenti storiografici che esulano
dallo scopo di questo saggio, a tale operazione possono essere
opposte, con riguardo alle prese di posizione nazionalsocialiste (e latu
senso fasciste), alcune ipotesi di lavoro che
meriterebbero maggiore attenzione, e che vanno nel senso di una
"storicizzazione" delle posizioni stesse, non per invocare
dal punto di vista umanista improbabili giustificazioni o attenuanti
delle stesse, la cui condanna in tale prospettiva è del
tutto
giustificata, ma semplicemente per comprenderne meglio la natura e la
portata.
In
particolare, le analisi pubblicate sull'argomento raramente tengono
conto delle seguenti considerazioni:
-
quello che di tali posizioni e proposte (del resto alquanto
variegate) viene additato come ridicolo e superato anche al di fuori
da una scelta di valore pregiudiziale in senso antifascista
può
essere legato semplicemente allo "stato della tecnica",
ovvero rispecchiare le conoscenze, le mode e gli strumenti
scientifici e culturali dell'epoca; in tal senso meriterebbe di
essere meglio analizzato quanto in esse è propriamente
legato
a presupposti teorici nazionalsocialisti e fascisti e quanto
semplicemente alla temperie storica ed alle teorie degli anni venti e
trenta;
-
alternativamente, altre posizioni concretamente assunte da Tizio o
Caio possono talora non discendere affatto
dall'ideologia di
riferimento, ma anzi essere con essa in contrasto, e derivare da
influenze di altra matrice, influenze di cui ovviamente nessun regime
politico per quanto radicale e totalitario è immune;
-
altre scelte o progetti o preferenze (ad esempio la "preferenza
nordica" in Germania) ancora possono essere considerate
relativamente arbitrari nell'ambito della nuova prospettiva aperta al
riguardo, ciò che è essenziale consistendo invece
proprio nell'opzione storica e politica per il fatto di avere
scelte e progetti collettivi al riguardo anzichenò;
-
infine, talune posizioni, che apparivano a cavallo tra i due secoli
scorsi del tutto plausibili a personaggi di orientamenti politici e
filosofici disparati, vengono oggi percepite come "squalificate"
e "criminalizzate", più che per loro una
"intollerabilità" o "assurdità"
intrinseca, esattamente e soltanto per il legame che si è
stabilito tra esse e il nazionalsocialismo.
In
ogni modo, gli aspetti suddetti si inseriscono poi in un complessivo
progetto di creazione di un uomo nuovo che investe
integralmente anche gli aspetti "ambientali" del suo quadro
di vita, per esempio dal punto di vista ecologico, urbanistico,
psicologico, sanitario, sociale, educativo, etc., e di cui le
tematiche eugenetiche non sono che una componente ().
D'altronde,
in campo biopolitico vari temi sono suscettibili di letture diverse,
che i regimi fascisti non hanno mancato di sfruttare
propagandisticamente e tatticamente, magari facendo leva sulle
contraddizioni interne della tendenza umanista comunque culturalmente
dominante. La previsione di reati connessi all'aborto e alla
propaganda della contraccezione nel Codice Rocco (espressivamente
ricompresi sotto un titolo che fa espresso riferimento alla
"sanità
della stirpe"), sono ovviamente coerenti con una politica volta
al mantenimento ed allo sviluppo della demografia della
comunità
di riferimento, ma si trovano anche a soddisfare tradizionali
posizioni cattoliche, in cui tali pratiche sono condannate proprio in
quanto espressione... di un "blasfemo" controllo da parte
dell'uomo sulla sua propria biologia.
Similmente,
l'uso della sterilizzazione o dell'eutanasia per limitare il
perpetuarsi e la propagazione di caratteristiche suppostamente
disgeniche ben può essere difeso e promosso anche in
rapporto
a considerazioni di tipo "umanitario", edonista e
fondamentalmente individualista (quali quelle oggi avanzate dal Partito
Radicale),
che rappresentano il contrario esatto dei nuovi valori anche su tale
piano affermati.
La
percezione stessa delle questioni sopra discusse è oggi del
tutto oscurata da una rimozione, falsificazione e demonizzazione che
rende difficoltoso ripercorrere la storia delle idee sotto tale
profilo, che pure riserva a chi sia interessato a percorrerla qualche
sorpresa. Ma i documenti di tale storia ovviamente esistono ancora.
Jeremy
Rifkin, per "denunciare" le profonde radici delle
concezioni in discussione, apre deliberatamente il capitolo
intitolato "Una civiltà eugenetica" de Il
secolo biotech con una citazione "scioccante":
«Un
giorno noi tutti realizzeremo che il primo dovere di ogni buon
cittadino, uomo o donna, di giusta razza, è quello di
lasciare
la propria stirpe dopo di sé nel mondo; e che, nello stesso
tempo, non è di alcun vantaggio consentire una simile
perpetuazione di cittadini di razza sbagliata. Il grande problema
della civiltà è di riuscire ad ottenere, nella
popolazione, l'aumento degli elementi di valore rispetto a quelli di
poco valore o che risultano addirittura nocivi. [...] Per raggiungere
questo obbiettivo è indispensabile prendere piena coscienza
dell'immensa influenza esercitata dalla ereditarietà...
Spero
ardentemente che agli uomini disonesti venga impedito del tutto di
procreare; e che ciò avvenga non appena la cattiva natura di
questa gente sia stata sufficientemente provata. I criminali
dovrebbero essere sterilizzati e ai malati di mente dovrebbe essere
vietato avere dei figli. [...] È importante che solo la
brava
gente si perpetui».
Queste
frasi non sono messe in bocca da qualche film hollywoodiano ad un
ufficiale delle SS da fumetto, ma sono tratte da dichiarazioni del
1913 del ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti d'America, Theodore
Roosevelt ()!
Del
resto, dalla fine dell'ottocento alla Depressione, quasi la
metà
dei genetisti degli USA, paese teoricamente più lontano, per
la propria stessa identità storica, dalle nuove idee erano
coinvolti in un modo o nell'altro, secondo quanto riporta Kenneth
Ludmerer (),
nel movimento eugenetico. Secondo Rifkin,
ciò è del resto facilmente spiegabile con la
convergenza da un lato delle preoccupazioni dell'élite Wasp,
white-anglosaxon-protestant, di trovare
giustificazioni
"ideologiche" al proprio potere nonché ricette per
perpetuarlo; dall'altro, con il tentativo di accademici e politici di
trovare spiegazioni al fallimento dei propri progetti di riforma
sociale.
Molti,
ricorda Rifkin,
erano già all'epoca allarmati per quello che consideravano
essere un «declino della qualità
dell'ereditarietà
del popolo americano», e gli scienziati assunsero ruoli
leader
nella causa genetica nella speranza di «poter aiutare a
invertire la tendenza». Michael F. Guaire giunse sino a
riconoscere che «il destino della nostra civiltà
dipende
da questo problema» ()
(impregiudicata la questione del fatto a quale "civiltà"
lo stesso potesse fare riferimento, e di che punto di vista che se ne
possa avere).
Il
famoso genetista Edwin
G. Conklin, ricorda sempre Rifkin, osservò che
«sebbene
la nostra riserva umana includa alcune delle persone più
intelligenti, morali e progressiste al mondo, questa include anche un
numero sproporzionatamente grande delle peggiori categorie di
persone» ().
Il Prof. Herbert
S. Jennings della John
Hopkins University ebbe a sua volta modo di far presente al
pubblico americano la sua opinione secondo cui «le
preoccupazioni del mondo e i rimedi a queste preoccupazioni risiedono
fondamentalmente nelle diverse costituzioni degli esseri umani. Le
leggi, le abitudini, l'educazione, l'ambiente circostante sono
creazioni degli uomini e riflettono la loro natura fondamentale.
Tentare di correggere queste cose è come curare solamente i
sintomi specifici. Per andare alle radici dei disturbi, deve essere
prodotta una stirpe migliore di uomini, una stirpe che non
dovrà
contenere le razze inferiori. Quando una stirpe migliore
sarà
stata creata, leggi, usanze, educazione e condizioni materiali si
prenderanno cura di se stesse» ().
Nel
1910, Charles
B. Davenport, del Dipartimento di
Genetica del Cold
Spring Harbor Laboratory, New York, spinse la moglie di un
famoso
industriale a fornire i fondi per istituire il primo ufficio
americano di registrazioni eugenetiche. Secondo Davenport,
l'entusiasmo della finanziatrice per il progetto era dovuto al fatto
di essere «cresciuta tra cavalli di razza, i quali la
aiutarono
ad apprezzare l'importanza dello studio dell'ereditarietà
e
di una riproduzione umana ben controllata» ().
A
partire dallo stesso anno, società eugenetiche sorsero nelle
città di tutti gli Stati Uniti. Fra le più
influenti,
ricorda sempre Rifkin, c'erano la Società Galliano di New
York
e le Società di Educazione Eugenetica di Chicago, St. Louis,
Madison (Wisconsin), Battle Creek (Michigan) e San Francisco. Nel
1913 venne fondata l'Eugenic Association e nel 1922 l'American
Eugenic Committee (più tardi noto come American
Eugenics Society [alias).
In
effetti, come sottolineano sia Jacquard che Rifkin,
tale movimento arrivò talora arimettere in discussione
alcuni
postulati fondamentali della società americana, come quando William
McDougall, studioso inglese poi divenuto direttore del
Dipartimento di Psicologia dell'Università
di Harvard, preoccupato che la democrazia politica
tradizionale
rappresentasse un fattore di affermazione delle «razze
inferiori» rispetto
a quelle "superiori", auspicò apertamente un sistema
di caste per gli Stati Uniti, basato su differenze biologiche
misurabili, in cui i diritti politici sarebbero dipesi dalla casta di
appartenenza, nonché la promulgazione di «leggi
che
limitino la riproduzione delle caste inferiori e i matrimoni tra
caste diverse» ()
Comunque,
negli Stati Uniti la "preoccupazione eugenetica" viene
ovviamente declinata secondo canoni moralistici, classisti,
riduzionisti ed universalisti:
se Bene e Male sono
assoluti garantiti dal Dio della Bibbia o da qualche suo
avatar secolarizzato come il Progresso, se
esiste un unico modello umano rispetto a cui la pluralità di
culture e razze non è che un accidente (o magari una
"punizione" divina, come nel mito della torre di Babele),
esistono allora effettivamente caratteri, individui ed etnie
"superiori" ed "inferiori" in senso assoluto,
così che il "paradiso in terra" coincide con
l'eliminazione dei secondi, e il buon cittadino, pronto a farsi
docile strumento della storia e a lavorare per la felicità
futura, deve prestarsi al genocidio non solo delle etnie diverse
("primitive" o "pagane"), ma anche semplicemente
dei "peccatori" all'interno della sua comunità, o
delle "classi inferiori" nell'ambito di questa ().
Lo stadio delle conoscenze dell'epoca e il positivismo
tradizionalmente imperante nella cultura americana fanno il resto.
Così,
con presunzione tipica, Charles
R. Van Hise, all'epoca preside dell'Università
del Wisconsin, scrive nel 1914: «Sappiamo
abbastanza
dell'eugenetica... Se le nostre conoscenze venissero applicate, le
classi imperfette [sic] sparirebbero nel giro di una
generazione»
().
Tali
posizioni erano del resto abbondantemente trasversali rispetto alle
tradizionali suddivisioni ideologiche e professionali nella
società
americana dell'inizio del secolo scorso.
Se Irving
Fischer, il famoso economista di Yale,
scrive nello stesso anno che «l'eugenetica è
sicuramente
la più grande preoccupazione della razza umana» (),
nel 1928 sono più di tre quarti i college
e le
università statunitensi in cui sono attivi corsi
specialistici
sull'eugenetica. Fra gli insegnanti ad Harvard
c'era il criminologo Ernest A. Hooton, che predicava che «il
crimine è il risultato dell'impatto dell'ambiente sugli
esseri
umani di grado inferiore», e che «la soluzione del
crimine è l'estirpazione dell'incapace fisico, morale e
mentale e (se questo sembra troppo severo) la sua completa
segregazione in un ambiente socialmente asettico» ().
Come nota Rifkin,
il mondo dei media e della cultura popolare era ampiamente sulla
medesima lunghezza d'onda: «Potrebbe essere interessante per
gli odierni abbonati di prestigiosi giornali della sinistra liberal
come The
Nation o The
New Republic che i fondatori di entrambe le
pubblicazioni
erano crociati delle riforme eugenetiche. Edwin
Laurence Godkin, fondatore di The Nation,
credeva che
solamente gli appartenenti ai gruppi biologicamente superiori
avrebbero dovuto partecipare agli affari del paese, ed Herbert David
Croly di The New Republic era convinto che i negri
siano "una
razza in possesso di qualità intellettuali e morali
inferiori
a quelle dei bianchi". Immaginate, se vi riesce, un futuro
presidente degli Stati Uniti che sulla rivista Good
Housekeeping scrive che: "ci sono considerazioni
razziali troppo gravi per essere ignorate per qualsiasi ragione
sentimentale". Secondo il presidente
Coolidge, le leggi biologiche ci dicono che ci sono razze
differenti che non si mischieranno o non si integreranno mai.
Coolidge conclude che "i popoli nordici si sono diffusi con
successo, mentre, con altre razze, il risultato mostra un
deterioramento in entrambi i sensi"» ().
Altri
americani famosi non si esprimevano diversamente. Alexander
Graham Bell, che contende a Meucci l'invenzione del telefono
ed il cui nome è all'origine della Bell
Company, parlando all'American
Breeders Association nel 1908, afferma: «abbiamo
imparato
ad applicare le leggi dell'ereditarietà allo scopo di
modificare e migliorare le razze dei nostri animali domestici.
Può
con la conoscenza e l'esperienza che sono state così
ottenute
restare l'uomo incapace di migliorare la specie al quale esso stesso
appartiene?». Bell credeva così che «gli
studiosi
di genetica sono in possesso delle conoscenze per [...] migliorare la
razza» e che fosse necessaria «l'educazione
dell'opinione
pubblica per acquisire l'approvazione delle politiche
eugenetiche»
().
Nemmeno
l'allora nascente movimento dei Boy
Scouts rimase insensibile a tali idee. David Star Jordan, che
fu
vicepresidente del movimento nei primi anni di vita, esprimeva in
ogni occasione il suo convincimento che il programma scoutistico
avrebbe potuto aiutare a coltivare il "nuovo uomo eugenetico" .
Aggiunge
ancora Rifkin:
«Molte femministe dei nostri giorni saranno dispiaciute
nell'apprendere che Margaret
Sanger [alias],
leader nella lotta per i programmi per il controllo delle nascite,
era una profonda credente nella superiorità ed
inferiorità
biologica di gruppi diversi. La Sanger, usando parole tra le
più
forti che siano mai state usate dal movimento eugenetico,
rimarcò
che "è un fatto curioso, ma da non trascurarsi, che
proprio a coloro che in tutta carità dovrebbero essere
cancellati dalla razza umana sia stato permesso di riprodursi e
perpetuare il proprio gruppo, grazie alla politica di indiscriminata
carità di 'cuori caldi' non controllati da 'menti fredde'".
La Sanger aveva le sue idee su come sbarazzare la società
dai
problemi della contaminazione biologica e per promuovere una razza
migliore. Così scrisse: "Tra le persone intelligenti
esiste una sola risposta alla richiesta di una maggiore
qualità
di nascite e questa risposta bisogna richiederla al governo, prima di
caricarci sulla schiena il fardello dei matti e dei deficienti. [...]
La soluzione è la sterilizzazione" (Birth Control.
Facts and Responsibilities, Williams & Williams Co.,
Baltimora 1925)».
In
effetti, se i fascismi puntano soprattutto sulla differenziazione del
successo riproduttivo attraverso l'educazione a valori nuovi e lo
stabilirsi di nuove gerarchie sociali, e i razzisti e darwinisti
sociali inglesi e francesi sulla rigida separazione sociale delle
classi e delle etnie, «gli eugenisti americani»,
ricorda
sempre Rifkin, «guardavano alla sterilizzazione di massa come
principale strumento per i loro sforzi volti all'eliminazione
biologica dei gruppi inferiori dalla popolazione americana».
Nel
1914, Harry
H. Laughlin [alias]
in un rapporto per l'American
Breeders Association – nel quale, davvero
sorprendentemente
per un americano, esprime l'idea propriamente fascisteggiante che
«la
società deve considerare il germoplasma come
appartenente alla società e non solamente all'individuo
che
ne è il portatore» –
concludeva che almeno il 10%
della popolazione era costituita da
«varietà
socialmente inadeguate» che avrebbero dovuto essere segregate
dalla popolazione della federazìone e sterilizzate ().
Tali
posizioni si tradussero del resto in misure concrete. All'inizio del
Novecento decine di migliaia di cittadini americani furono
sterilizzati contro la loro volontà grazie a una serie di
leggi emanate dai singoli Stati. Nel 1907 l'Indiana emanò la
prima, che prevedeva la sterilizzazione obbligatoria, nelle
istituzioni statali, di criminali recidivi, idioti, imbecilli e
altri, e che fu preso successivamente come modello sotto il nome di "idea
dell'Indiana" ().
Nel
periodo tra il 1907 e la prima guerra mondiale altri quindici Stati
emanarono leggi in tal senso. L'avvio della "mania della
sterilizzazione" venne in particolare segnalato da un curioso
disegno di legge, presentato in Missouri, che richiedeva la
sterilizzazione forzata di tutti i soggetti «accusati di
omicidio, rapimento, furti sulle strade, furti di galline, per i
dinamitardi o per i ladri di automobili» (!) ().
È
facile per personaggi come Rifkin,
ai fini della condanna moralistica di qualsiasi intervento umano
sulla propria identità biologica, ironizzare sull'idea,
abbastanza bizzarra anche all'epoca, che esistesse una cosa come...
il gene per il furto delle automobili. Resta il fatto che nell'ambito
del sistema di valori egualitario, non sono neppure oggi in
discussione gli scopi originari di una tale legislazione –
l'affermazione, in chiave moralistica anziché culturale,
universale anziché particolare, di un'ideale "civilizzazione
americana" cui è attribuito il ruolo di redimere il mondo
().
La
costituzionalità di queste leggi non venne presa in esame
fino
al 1927, anno in cui la Corte
Suprema decise, in un caso proveniente dalla Virginia, che la
sterilizzazione era positivamente ricompresa nei poteri di polizia
dei singoli Stati. Uno dei più grandi nomi della storia
giuridica americana, Oliver
Wendell Holmes Jr. [alias]
scrisse: «Abbiamo visto più di una volta come il
bene
pubblico possa richiedere ai migliori cittadini la loro vita. Sarebbe
strano se esso non potesse ormai chiedere a coloro che hanno
indebolito lo Stato un sacrificio minore, allo scopo di prevenire noi
stessi il fatto di essere sommersi dall'incompetenza. Sarebbe molto
meglio, per il mondo intero. se invece di aspettare i risultati della
loro imbecillità, la società potesse prevenire
quelli
che manifestamente sono incapaci dal continuare i loro piaceri... Tre
generazioni di imbecilli sono sufficienti» ().
Ora del 1931, trenta Stati
avevano promulgato leggi
sulla sterilizzazione forzata.
Nel
1925, pubblici funzionari tedeschi avevano nel frattempo contattato
le amministrazioni di vari Stati americani per acquisire appunto
informazioni sulle loro leggi in materia di sterilizzazione. Pare
anzi che uno dei sostenitori dell'eugenetica nella Germania
dell'epoca ebbe a rimarcare: «Quello che viene promosso dagli
igienisti razziali non è per niente nuovo o qualcosa di mai
sentito. In una nazione colta e prim'ordine come gli Stati Uniti
d'America, alla quale noi ci sforziamo di somigliare, questo concetto
è stato introdotto molto tempo fa. È tutto molto
semplice e chiaro» ().
Se è vero, la cosa dovrebbe far riflettere gli esponenti del
terrorismo ideologico militante con riguardo alle vere origini di
certe influenze presenti nel pensiero europeo dell'epoca!
Che
questo ordine di idee, pure nelle intenzioni ispirato ai più
autentici valori americani, finisse per cortocircuitare il sistema
ideologico relativo (),
è d'altronde dimostrato con riguardo alla storia successiva,
ed in particolare al dibattito incentrato sulla legge
federale in materia di immigrazione [alias, alias]che
promulgata nel 1924 resterà in vigore sino al 1965; e
ciò
foss'anche negli aspetti di tale dibattito che è legittimo
considerare caricaturali, e che certamente sono tali più di
qualsiasi analoga letteratura di fonte fascista.
Anche
in Europa, la "trasversalità" delle problematiche
aperte dalle scoperte della genetica e dalla coscienza nascente del
"terzo uomo" è del resto totale. Nota Eric Delcroix,
trattando della letterale illegalità
contemporanea di quest'ordine di idee: «in
Austria, il più intransigente dei partigiani dell'eugenetica
fu senza dubbio Karl
Kautsky [alias]
(1854-1938), parallelamente marxista ortodosso. Prima di lui, il
tedesco Woltmann (1871-1907) ()
aveva tentato di riconciliare marxismo, darwinismo e razzismo ariano.
In Germania, ancora vari anni dopo la prima guerra mondiale, un buon
numero di eugenisti erano ebrei e dunque poco sospettabili di
"nazismo", come Kallmann (che voleva sterilizzare
il 10% della popolazione tedesca), il
genetista Goldschmidt, o il medico Löwenstein (vedi Paul
Weindling in L'hygiène
de la race,
Editions de la Découverte, Parigi 1998, pag. 32 [version
originale: Health,
Race and German Politics between National Unification and Nazism])»
().
È
d'altronde non a caso nel contesto americano che il sociologo liberal
Edward
A. Ross [alias]
pubblica, dopo uno studio durato sedici mesi, un rapporto ()
in cui rileva tra l'altro che i popoli mediterranei sarebbero
«dediti
al sesso e alla violenza ed irrazionali per natura; gli slavi, un
popolo passivo imbevuto di ignoranza e superstizione, tendente
all'alcolismo ed alla violenza sulle donne; gli ebrei, riuniti in
clan, infidi e segreti negli affari». Un altro eugenista, Madison
Grant, cui gli USA tuttora intitolano scuole,
aggiunse all'analisi gli indiani, che «per anni sono stati a
contatto con le migliori civiltà ma non ne hanno tratto
alcun
giovamento, né intellettualmente, né moralmente,
né
fisicamente» e i negri, «che sono volontari seguaci
dei
nordici e che chiedono solamente di obbedire e di assecondare gli
ideali e i desideri della razza padrona» (!) .
D'altronde,
fu il ministro del lavoro dell'amministrazione
Coolidge, James
J. Davis, a "fare il punto" sulla discussione in questi
termini: «l'America è sempre stata orgogliosa di
avere
alle sue origini la razza definita nordica. [...] Dovremmo bandire
dalle nostre coste tutte le razze non naturalizzabili e [comunque]
tutti gli individui, di tutte le razze, che fisicamente, moralmente e
spiritualmente sono indesiderabili, e che costituiscono una minaccia
per la nostra civiltà» ().
Lo
House Committee on Immigration and Naturalization nominò da
parte sua Laughlin [alias]
come esperto di questioni eugenetiche, e ne ottenne queste
conclusioni: «Facendo tutte le concessioni alle condizioni
ambientali [...] il recente fenomeno dell'immigrazione, considerato
nella sua interezza, presenta un'alta percentuale di qualità
innate socialmente inadeguate rispetto alla immigrazione
passata»
(ovvero quella, in sostanza, degli antenati di Laughlin stesso e dei
suoi connazionali di terza o quarta generazione ed oltre) ().
Ciò condusse ad una legislazione sull'immigrazione per quote
etniche che rimase come abbiamo detto in vigore sino al 1965.
Se
quest'ordine di idee non poteva durare, a pena di rimettere in
discussione i miti fondanti e la stessa ragione d'essere degli Stati
Uniti, nati come sfida e rifiuto delle sovranità e
identità
collettive e dell'autodeterminazione popolare che queste implicano,
resta il fatto che gli Stati Uniti, anche dopo il tramonto del
tentativo Wasp di difendere il proprio ruolo particolare nel paese,
continuano a permettersi, come "centro dell'impero", un
controllo sui flussi (im-)migratori e sulla loro composizione etnica
che va ben al di là di quello che il Sistema consente agli
altri paesi "occidentali" (Israele ovviamente escluso).
Secondo
Rifkin, la crisi del 1929 da un lato, e l'affermazione del fascismo
in Europa furono i fattori che contribuirono a "polarizzare"
le posizioni gettando il "movimento eugenetico" americano
in una profonda crisi di identità ().
D'altra
parte, Mark Adams, nel suo studio comparato sull'eugenismo in diverse
parti del mondo, prende giustamente di mira quello che definisce i
"quattro miti" dell'eugenetica «Il
primo consiste nel ritenerla un movimento omogeneo, in sé
coerente e riconducibile esclusivamente al modello tedesco o
angloamericano; il secondo sta nel pensare che essa si
sviluppò
solo dove crebbe la genetica mendeliana, mentre in realtà
paesi come la Francia, la Russia o il Brasile, dove fu dominante il
lamarckismo, ebbero i loro, ed anche forti, movimenti eugenetici; il
terzo mito è che l'eugenetica si affermò come una
pseudoscienza, mentre in realtà almeno fino a tutti gli anni
venti essa fece un tutt'uno con la genetica; il quarto mito consiste
nel pensare all'eugenetica come ad una scienza reazionaria, mentre
essa fu invece un fenomeno storico molto più articolato,
legato anche a politiche considerate "progressiste" o
"riformiste"». ().
Del
resto, la valenza prettamente ideologica e biopolitica
delle scelte di campo rispetto all'eugenismo viene sottolineata
dall'erosione crescente, con il progresso tecnico, dei costi
soggettivi delle pratiche
eugenetiche, in costante diminuzione, in particolare nel momento in
cui all'esposizione dei neonati ed allo stretto controllo parentale o
comunitario sugli accoppiamenti subentra la sterilizzazione chimica o
chirurgica dei ritardi gravi e la riproduzione orientata; e a queste
l'anamnesi prematrimoniale in chiave mendeliana; e a questa ancora la
diagnosi prenatale e lo screening genetico; ed a queste infine la
fecondazione artificiale e la manipolazione diretta e "terapeutica"
in senso proprio delle linee germinali; interventi questi ultimi
rispetto a cui la naturale empatia nei confronti dei soggetti
coinvolti milita interamente in senso favorevole,
al punto da renderne imbarazzante il rifiuto preconcetto in relazione
agli stessi valori umanitari ed invidualisti della visione del mondo
egualitaria ().
La
seconda guerra mondiale, e la fondazione consapevolmente
"antifascista" del Mondo
Nuovo che da essa è uscito, finirà
comunque per
rappresentare lo spartiacque definitivo, specie in relazione alla
demonizzazione esemplare proprio degli aspetti "biopolitici"
delle dottrine e prassi fasciste. D'altronde, se oggi è lo
spauracchio dell'eugenetica e del razzismo che risulta utile per
confermare la definitiva condanna morale del fascismo in generale, e
del nazionalsocialismo in particolare, ancora nel dopoguerra
è
invece... l'accusa di fascismo che serve a scomunicare consapevolezze
biopolitiche che ancora alla fine degli anni quaranta e negli anni
cinquanta risultavano diffuse e quasi ovvie.
Naturalmente,
l'onda lunga della demonizzazione tarda ad arrivare soprattutto
là
dove sospetti di "filofascismo" sarebbero apparsi ridicoli.
Così Charles
De Gaulle una volta al potere poteva ancora permettersi di
dichiarare: «Va
benissimo che vi siano francesi gialli, neri e bruni. Mostrano che la
Francia è aperta a tutte le razze ed ha una vocazione
universale. Ma a condizione che restino un'infima minoranza.
Diversamente la Francia non sarebbe più la Francia. Noi
siamo
comunque prima di tutto un popolo europeo di razza bianca»
().
Ed ancora, in una direttiva al ministero francese della giustizia:
«Sul piano etnico, conviene
limiare l'afflusso degli orientali e dei mediterranei che da mezzo
secolo hanno profondamente modificato la composizione della
popolazione francese. Senza giungere sino ad utilizzare come gli
Stati Uniti un sistema rigido di quote. è opportuno che la
priorità sia accordata alle naturalizzazioni nordiche
(belgi,
lussemburghesi, svizzeri, olandesi, danesi, inglesi, tedeschi,
etc.)»
().
Di conseguenza, l'Alto Comitato per la Popolazione gollista proponeva
un'immigrazione strettamente limitata, e regolata secondo questa
"ricetta" ottimale: «50% di nordici, 30% di latini
del nord, 20% di slavi» .
Al
di là delle preoccupazioni etno-demografiche, anche il
movimento eugenista in senso stretto continua comunque il suo
cammino. È del 1971 la pubblicazione di un numero di Nouvelle
Ecole, la rivista diretta da Alain
de Benoist, integralmente dedicato all'eugenetica (),
che contiene l'ultimo e più ampio studio in materia
anteriore
all'"era biotecnologica", e che crea un profondo scandalo
nella Francia post-sessantottina e tra la borghesia benpensante e di
destra.
La
rivista ripercorre con Jean-Jacques Mourreau le radici e i rami del
pensiero eugenetico europeo, dalle tradizioni antiche di cui abbiamo
già discusso a Rabelais, Montaigne,
Moro,
Campanella, Buffon,
sino agli albori dell'eugenetica scientifica e filosofica con Frank,
Mai, Lucas, de
Gobineau [alias] Morel, Galton,
Ploetz [alias], Molinari, Vacher
de Lapouge, [alias], Schwalbe, Lenz,
Richet, Mjoen [alias],
e proseguire poi sino a giganti come Alexis
Carrel e Jean
Rostand [alias]
e alle legislazioni eugenetiche dei paesi scandinavi e mitteleuropei,
per giungere a descrivere le posizioni eugeniste espresse... in
Unione Sovietica, dove Riazanov,
il presidente dei sindacati di Pietrogrado nonché direttore
dell'Istituto
Marx-Engels, cita nel 1929 con approvazione nell'opera Comunismo
e matrimonio un intellettuale di partito come Evgenij
Preobrazenskij laddove lo stesso sostiene «il diritto
imprescrittibile della società di intervenire nella vita
sessuale al fine di perfezionare la razza [corsivo
nostro]
tramite selezione sessuale artificiale» ().
La
conclusione dell'articolo principale, di Jean-Yves Christen (),
centrato invece sullo "stato dell'arte" dell'epoca,
annuncia già del resto la rivoluzione di questo secolo.
«Possiamo dare per scontato che l'uomo deterrà ben
presto una "potenza biologica" che non ha mai avuto e che
questo stadio (dobbiamo rammaricarcene?) sarà raggiunto
prima
che egli abbia risolto i suoi problemi etici correlati, e quelli che
concernono il suo comportamento al riguardo. È una ragione
in
più per prospettare in termini cinetici
il futuro
deliberato. Le possibilità eugenetiche attuali
saranno
presto rese caduche, o superate. Il certificato prenuziale
migliorato, l'aborto terapeutico, il family planning
organizzato, la sterilizzazione delle tare più notorie, le
inseminazioni artificiali programmate, appariranno molto in fretta
come nulla più di misure di bricolage, o
d'urgenza, dal
momento in cui le prospettive eugenetiche lasceranno intravedere la
prospettiva della programmazione dei tipi desiderabili.
Ci si
può allora chiedere se le concezioni etiche si
"adegueranno",
o se si produrrà un inquietante scollamento,
a livello
di maggioranza o di alcuni. [...]».
L'ideologia
contemporanea non è in grado di gestire
le novità
che tutto ciò comporta. «Ma, anche nella peggiore
delle
ipotesi», continua Christen, «meglio correre il
rischio
che la specie umana si riveli incapace di superare i limiti del
passato, piuttosto che cadere nella decadenza genetica. La vita non
è
fatta di assoluti, ma di occasioni prese qui e là. Di rischi
consapevolmente accettati e calcolati, il più grande rischio
essendo sempre quello di non far nulla. La termodinamica, la biologia
molecolare, la genetica, l'etologia, risolvono tante equazioni quante
ne restano di sconosciute. Bisogna scegliere».
Trent'anni
dopo, gli oppositori della "tentazione eugenetica" non si
fanno più illusioni, se non forse in esorcismi di sapore
ormai
rituale. Il bioetico George
Annas dell'Università
di Boston, uno dei primi a proporre la messa al bando
dell'ingegneria genetica da parte dell'ONU,
è giunto ad affermare, durante...
una visita al museo
dell'Olocausto a Washington: «La
genetica moderna è eugenetica» (). Gilbert
Meilaender, un altro membro
del Concilio
Presidenziale sulla Bioetica americano,
ha scritto sin nel 2001: «La nostra presente condizione
è
questa: siamo entrati nuovamente in un'era eugenetica. La scienza che
tenta di migliorare le caratteristiche ereditarie della specie e che
è diventata tanto improvvisamente fuori moda dopo la seconda
guerra mondiale e i medici nazisti ora si riaffaccia prepotentemente
alla rispettabilità» ().
In
tale contesto, dire come fa Ramez
Naam, che «la connessione
qui con la Germania del periodo della seconda guerra mondiale
è
piuttosto esplicita» (),
pare in effetti un eufemismo. Senonché, il richiamo
incapacitante a passate esperienze "totalitarie" appare
abbastanza problematico per gli "antieugenetici". Nota
infatti l'autore nella stessa pagina: «è
interessante
che nel dibattito in questione, sono oggi proprio quelli che
vorrebbero vedere le tecniche in questione proibite a propugnare un
ferreo controllo di Stato sulla "sacralità" del pool
genetico della popolazione. [...] Sono coloro che si oppongono ad
ogni scelta al riguardo che hanno in sostanza deciso che esiste una
certa "corretta" eredità genetica per l'umanità
(quella che abbiamo oggi) e che al "popolo ignorante" non
dovrebbe essere data alcuna voce in capitolo».