Biopolitica. Il nuovo paradigma


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OGM ed altri mostri


In attesa di tali rivoluzionari sviluppi, è anche assolutamente vero che conosciamo pochissimo sugli effetti imprevisti ed indesiderati delle modificazioni genetiche già attuate nell'agricoltura "normale", in particolare per ciò che concerne gli alimenti, con riguardo alla salute dei consumatori.

Le questioni in materia di OGM ("organismi geneticamente modificati") sono comunque radicalmente mal poste, a partire dalla polemica che vede insieme opposti gli Stati Uniti (principali produttori di OGM) e i paesi "in via di sviluppo" (principali consumatori, almeno potenziali) all'Unione Europea, serrata dai patti GATT sulla globalizzazione dei commerci, riguardo ai rischi degli stessi per i consumatori (315).

Se è per questo, infatti, non sappiamo molto neppure sugli effetti a lungo termine delle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura o dall'industria alimentare.

Anzi, in effetti, solo oggi cominciamo ad avere un'idea dei contenuti nutritivi e tossici delle stesse pochissime varietà vegetali "naturali" utilizzate a fini alimentari, e di una parte di quelle invece deliberatamente ibridate e selezionate che sono da sempre utilizzate in agricoltura; ma tuttora il numero di composti che esse contengono, nonché gli effetti a medio-lungo termine di una loro ingestione a scopi alimentari, restano incerti e oggetto di dibattito, così come le differenze al riguardo legate alle diverse varietà disponibili. Ai difensori anti-OGM dell'agricoltura "tradizionale" gioverebbe ricordare come la medesima agricoltura tradizionale in realtà si sia sempre basata su null'altro che l'empirismo del "ciò che non uccide ingrassa" (316).

Neppure sappiamo che succede a mangiare animali che sono stati allevati a mangimi transgenici, o del resto nemmeno con alimenti molto più tradizionali, quali quelli ricavati dalle carcasse, per nulla transgeniche, cui è (presumibilmente) attribuibile la diffusione della sindrome della "mucca pazza" (317). Altrettanto poco sappiamo cosa succede con l'assunzione di farmaci derivati da organismi transgenici, pacificamente diffusi anche in Europa.

Ed è probabile che continueremo a saperne meno di quanto sarebbe possibile, ed auspicabile, sinché la rivoluzione biologica in questione sarà governata dalle prospettive di profitto immediato della società per azioni coinvolta, o peggio dall'andamento dei suoi titolo in borsa nel corso della settimana successiva (318); o sino che addirittura ogni ricerca al riguardo sarà, come in Europa, scoraggiata o vietata.

In realtà, la maggior parte degli alimenti di origine vegetale provengono da millenni da versioni "geneticamente modificate" di varietà selvatiche, realizzate in particolare attraverso ibridazioni di specie non naturalmente interfeconde, innesti, mutazioni provocate, selezioni orientate, clonazioni tramite talea, etc. Negli stessi Stati Uniti, dove sono più forti non solo la lobby agricolo-industriale ma anche il pregiudizio ideologico avverso a queste pratiche (319), la soglia di attenzione resta semmai particolarmente elevata per le nuove tecniche, e in fin dei conti, come nota Bernard Schwetz, «quando si ha a che fare con colture biotech, sono giusto uno o due geni ad essere cambiati nella struttura della pianta, con l'ibridazione vi sono molti più geni coinvolti e certamente più incertezze sul risultato» (320).

Le principali differenze degli "OGM moderni" sono due, e nessuna delle due ha direttamente a che fare con la salute di chi se ne nutre: la prima, il fatto che la modifica al corredo genetico della pianta avviene attraverso il trapianto diretto di porzioni di DNA; la seconda, che viene oggi riconosciuta un'esclusiva ventennale e soprattutto internazionale a chi le sviluppa, attraverso un titolo brevettuale.

Ha così perfettamente ragione Enzo Caprioli quando scrive: «Per assumere adeguate posizioni [riguardo agli OGM] non occorre e non basta sapere tutto di genetica, occorre invece riconoscersi in una visione del mondo che sappia dare alle cose il loro giusto valore e ai valori il loro giusto riconoscimento» (321). Resta però ancora da capire quali comportamenti pratici immediati tali valori debbano in effetti dettare, e comunque che sorte possa attendere chi non disponga delle relative tecnologie – tenuto anche conto che specie geneticamente modificate possono comunque liberare materiale genetico nella biosfera, senza alcun riguardo per le frontiere nazionali e le normative locali. E qui esiste effettivamente un aspetto politico nel senso più immediato del termine. Il problema non è infatti l'utilizzo in sé degli OGM in agricoltura, che sono pericolosi o meno come qualsiasi altra varietà vegetale commestibile o velenosa "naturale", ma chi oggi detiene (o meglio, riesce a farsi legalmente tutelare) posizioni oligopolistiche, privative e segreti industriali al riguardo. Già nel 2002, infatti, più di un quinto dell'area coltivata nel mondo a granoturco, soia, cotone o cannella era già occupata da varietà transgeniche, con un aumento da cinque a sei milioni dei coltivatori che in sedici nazioni piantavano tali varietà rispetto all'anno precedente; e il processo sta accelerando (322), checché ne pensi un ministro italiano come Alemanno, che pare quasi sorpreso di poter assumere una posizione che risulta in qualche modo connotata in un senso che la sua parte politica ingenuamente considera "nazionalista" o "tradizionalista" o "europeista", ma i cui esiti finali appaiono profondamente incerti.

Nota al riguardo Rifkin: «Le prime dieci industrie agrochimiche, tutte multinazionali amministrate dagli USA, nel 1996 controllavano già l'81% dei 29 miliardi di dollari del mercato agrochimico. Le prime dieci industrie farmaceutiche controllano il 47% dei 197 miliardi di dollari del mercato farmaceutico. Similmente, dieci aziende multinazionali controllano oggi il 43% dei 15 miliardi di dollari del mercato farmaceutico veterinario. Al top della lista ci sono dieci compagnie alimentari internazionali i cui guadagni superavano di gran lunga i 211 miliardi di dollari nel 1995. [...] Alcune delle più grandi società operanti nel campo delle scienze della vita si stanno posizionando strategicamente al fine di controllare la maggior parte del mercato bioindustriale globale nel secolo [oggi appena iniziato]. La Novartis, un gigante mondale risultato dalla fusione della farmaceutica Sandoz e dell'agrochimica Ciba-Geigy, è un esempio tipico di concentrazione industriale della nuova era. La Novartis risulta oggi la più grande società agrochimica del mondo, la seconda nel campo delle sementi, e la quarta nel campo dei prodotti veterinari. Sta inoltre accampando diritti nel nuovo settore della genetica umana. Nel 1995 la Sandoz, poi confluita nella Novartis, aveva comprato la Genetic Therapy Inc. per 295 milioni di dollari, ditta che detiene il brevetto sulla tecnica usata per espiantare cellule da un paziente, modificarne la struttura genetica e reimpiantarle nel paziente. [...] La Monsanto ha acquistato la Holden Foundation Seeds nel 1997 per 1,2 miliardi di dollari. Più del 35% delle piantagioni di mais degli Stati Uniti deriva dal germoplasma sviluppato dalla Holden. La Monsanto detiene inoltre il 40% della quota di una seconda grande industria di sementi, la DeKalb. Le recenti acquisizioni includono la Asgrow, industria leader nella soia, la Agracetus e la Calgene, due ditte di biotecnologia agricola di notevole levatura. La Dow Elanco ha acquistato il 65% del capitale della Microgen, una società con un numero di brevetti di potenziale valore in campo agricolo. La DuPont, quinta ditta agrochimica del mondo, ha acquistato nel 1997, per 1,7 miliardi di dollari, il 20% della Pioneer Hi-Bred, l'industria di sementi più grande del mondo. La DuPont ha inoltre acquisito la Protein Technology International dalla Alston Purina per 1,5 miliardi di dollari».

E' facile tirare le conclusioni di questa situazione, che dall'epoca del quadro di Rifkin si è ulteriormente e notevolmente evoluta nella direzione indicata. E il fatto che l'interesse in materia di OGM non rappresenti un'esclusiva delle multinazionali, ma di chiunque si renda conto dello scontro di potere che va delineandosi con riguardo alla detenzione delle relative tecnologie, è attestato dalla posizione di relativa avanguardia della Cina, per non parlare della Cuba di Fidel Castro, che sta investendo in questo campo buona parte delle sue (scarse) risorse, e ha da tempo costituito un Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologia all'Avana (323).

In questo quadro, per la discussione sugli OGM non ha alcuna importanza se e quali varietà attuali mantengano le promesse, se questa o quella ricerca darà esito positivo, se gli OGM siano sempre e davvero economicamente più vantaggiosi delle varietà non modificate, se questo o quel prodotto sarà rifiutato dai consumatori, etc. Ciò che è impossibile, o non funziona, o è economicamente sconveniente, o fallisce, o è organoletticamente sgradevole, non ha ovviamente bisogno di essere vietato (324). Ciò che crea un potenziale problema è invece tutto quello che alla fine successo ce l'abbia, e si riveli drasticamente competitivo da un punto di vista economico (e biologico!), condizionando l'indipendenza agricola e le stesse prospettive di autosufficienza alimentare dei paesi e delle aree coinvolte (325).

La preoccupazione per l'impoverimento genetico connesso alla spinta verso la monocultura generata dal mercato (per altro da secoli) è legittima, così come quella per il fatto che le società menzionate stanno liberando nella biosfera migliaia di nuove specie, alterate geneticamente, con conseguenze ecologiche imprevedibili. Ma tutto ciò sta già succedendo, e non sarà certo sufficiente l'introduzione di una nuova forma di proibizionismo, foss'anche su scala continentale, a impedirlo. Solo maggiori investimenti europei, da un lato nella preservazione delle varietà naturali ancora disponibili e nel loro incremento, dall'altro in una ricerca concorrenziale con quella statunitense, possono limitare tali rischi.

Più immediati ancora sono gli spostamenti di potere che ciò comporta. Mentre come abbiamo visto non esiste alcuna garanzia che effettivamente non avvenga scambio genetico al di fuori dei territori coltivati con specie transgeniche (ivi compresi con le coltivazioni pretesamente naturali o addirittura "biologiche", e con le specie selvatiche), le pur legittime preoccupazioni per la sicurezza convergono purtroppo... con l'interesse economico delle società in questione a rendere naturalmente non-riproducibili le varietà vegetali commercializzate, nell'attribuire alle multinazionali in questione un monopolio di fatto nell'economia globalizzata, che tende a rendere definitiva la dipendenza economica dal Sistema dei singoli paesi e spazi continentali asserviti (326).

Ciò si aggancia con la questione della proprietà industriale sui portati delle biotecnologie. Rileva ancora Rifkin: «La restrizione commerciale sui semi del mondo è avvenuta in poco meno di un secolo. Appena un secolo fa, centinaia di milioni di contadini sparsi in tutto il pianeta controllavano i propri rifornimenti di semi, commercializzandoli liberamente tra i propri amici e vicini. Oggi, quasi tutti i rifornimenti delle sementi sono stati comprati, manipolati e brevettati dalle società attive nel settore e considerati come proprietà intellettuale» (327). A loro volta, tali sementi tendono ad essere le uniche compatibili con i prodotti (diserbanti, insetticidi, concimi,...) fabbricati dalla medesima società, e con gli equilibri ecologici modificati dall'utilizzo intensivo di tali prodotti, così che l'area e la stessa possibilità economica dell'agricoltura tradizionale ne viene progressivamente ristretta, prima ancora di ritrovarsi fuori mercato non appena esposta alla concorrenza dei nuovi metodi integrati.

La questione della proprietà intellettuale sulla biotecnologia non può d'altronde essere risolta facilmente, se non nel quadro di soluzioni radicali e di drastica rottura. Se il riconoscimento di un monopolio brevettuale consente ad un pugno di multinazionali di rafforzare il proprio potere su risorse essenziali a qualsiasi ipotesi di indipendenza politica, lo stesso monopolio brevettuale è anche quello che risulta necessario, almeno da parte del settore privato ed in un regime economico liberale, per consentire il finanziamento locale delle ricerche utili a combattere tale potere, in particolare attraverso una disponibilità indipendente delle conoscenze e delle tecnologie coinvolte. In altri termini, alcuni tipi di ricerca possono essere finanziati a livello privato solo ove il finanziatore abbia la certezza di poter godere in esclusiva i relativi risultati per un consistente lasso di tempo.

L'accanita resistenza "ideologica" del parlamento europeo ai brevetti biotecnologici 328, ha in questo senso svolto un ruolo profondamente ambiguo, nella misura in cui ha anche pregiudicato la capacità dell'industria europea di finanziare (attraverso l'aspettativa dei ritorni generati dal periodo di monopolio garantito dal brevetto) programmi di ricerca concorrenziali con quelli delle grandi multinazionali americane. Ciò è tanto più grave in mancanza di qualsiasi tutela nazionale della "materia prima" rappresentata dal materiale genetico autoctono (rappresentato dalle varietà locali, domestiche e selvatiche, per lo più predate nei paesi in via di sviluppo, specie equatoriali, ma che è ovviamente presente anche in Europa) (329); e nel quadro di un'integrazione mondialista nel "sistema economico della globalizzazione incondizionata", portato ad ulteriori conseguenze dall'Uruguay Round dell'Accordo Generale sulle Tariffe e sugli Scambi (GATT).

Perciò, per chi fa dell'Europa la propria comunità di riferimento, il problema non può certo essere risolto limitandosi a tentare velleitariamente di ritardare (del resto, solo per i prodotti alimentari) la messa in commercio nell'Unione Europea dei derivati di organismi geneticamente modificati altrui, o ritardare la produzione locale degli stessi, ma solo tentando di raggiungere un livello tecnologico autonomo in tale settore che sia equivalente e superiore a quello americano, cosa indispensabile non solo con riguardo ad una "concorrenzialità" nell'ambito di un sistema globalizzato (che si può ritenere comunque da superare ed abbattere), ma in termini di indipendenza, sovranità, e addirittura in termini di protezione, per quanto possibile, dagli esiti potenzialmente catastrofici del dispiegarsi puramente mercantilistico delle biotecnologie (330). Solo in tale contesto, che a questo stadio dovrebbe necessariamente prevedere un'incentivazione ed agevolazione della ricerca europea, la deliberata creazione di cartelli pubblici o sotto stretto controllo pubblico, ed accordi diretti con il Terzo Mondo per lo sfruttamento congiunto ed esclusivo del pool genetico delle rispettive ecosfere, può avere senso un protezionismo semi-autarchico in contrasto, ad esempio, alla diffusione di metodi di agricoltura integrata che sfuggano dal controllo politico ed economico della comunità di riferimento; o ancora può prendere significato l'adozione di politiche di licenza obbligatoria quanto a tecnologie e trovati in mani estere la cui disponibilità si riveli necessaria per l'economia nazionale/europea.

Il controllo delle tecnologie in questione appare cruciale anche al di fuori di una prospettiva "concorrenziale", o quale garanzia di effettiva sovranità dei paesi coinvolti, e riveste significato in termini di tutela del territorio e della comunità di riferimento in una chiave che trascende del tutto i pur opportuni controlli e cautele in materia di organismi geneticamente modificati, o la capacità di "combattere il fuoco con il fuoco" in caso di sviluppi incontrollati e distruttivi di questi ultimi. In realtà, infatti, l'inquinamento genetico è un rischio presente da sempre, e con cui l'Europa fa purtroppo i conti da secoli, ben prima che la biotecnologia si affacciasse all'orizzonte.

Quando gli europei riportarono dall'oriente nuove spezie e fibre tessili, introdussero in Europa anche un pacchettino di geni chiamato Yersinia pestis. L'Y. pestis a sua volta si spostò in un altro pacchetto di geni appartenente ad un organismo della famiglia Siphonaptera comunemente noto come pulce. Questo a sua volta fece il giro dell'Italia e dell'Europa in groppa ad un altro pacchetto di geni di varie specie di ratto. Tale "inquinamento genetico", ben prima che Crick [alias, alias] e Watson scoprissero il DNA, condusse all'esplosione di quella che è nota come peste bubbonica, o anche "morte nera", che in quattro anni sterminò un terzo dell'intera popolazione europea dell'epoca.

Similmente, se oggi chiedessimo ad un biologo americano di indicare le quattro peggiori infestazioni per vegetali, insetti ed altri animali, è probabile che lo stesso citerebbe il kudzu, le "api assassine" africanizzate, e i ratti (331). Nessuna di queste specie è nativa del nordamerica.

Il kudzu fu portato negli Stati Uniti nel 1876 come dono del governo giapponese. Durante la Grande Depressione il Soil Conservation Office promosse la pianta per controllare l'erosione. I contadini venivano pagati per seminare quest'erba. Ora copre circa sette milioni di acri nella parte meridionale del paese, e spazza via qualsiasi pianta osi crescere sul suo percorso. Il ratto norvegese è arrivato quasi certamente sulle navi. Ma la storia dell'"ape assassina" è la più interessante, perché mostra i rischi inerenti alle tradizionali pratiche di selezione ed ibridazione che oggi gli OGM vanno in parte a rimpiazzare. Alcuni allevatori brasiliani di api tentarono in effetti di combinare l'"intraprendenza" e la resistenza delle api africane con la produttività delle varietà europee. Al contrario, ottennero api super-aggressive che consumano il miele alla stessa velocità con cui lo producono, non lasciando niente da raccogliere agli allevatori. Gli insetti poi cominciarono un viaggio verso nord che produce ogni anno dozzine di vittime umane, e che mette in pericolo l'apicoltura in tutti gli
USA, dato che gli stessi soverchiano e schiacciano rapidamente le più mansuete api da miele tradizionali. Ugualmente, il flagello dei ratti trae origine dalla Norvegia, e tali animali sono sono sbarcati in America dalle navi insieme con gli immigranti europei.

Uno studio federale su settantanove specie nocive negli Stati Uniti calcola il danno arrecato da questi immigranti indesiderati in circa novantasei miliardi di dollari, mentre un articolo apparso nel 1998 su Bioscience calcola i costi relativi in centotrentasei miliardi di dollari all'anno. Neppure un dollaro ha qualcosa a che fare con specie transgeniche (332), e diventa sempre più evidente che è il diretto controllo della biologia del territorio l'unica risorsa in grado di garantire davvero la sicurezza nazionale al riguardo a qualsiasi paese.

D'altro canto, le illusioni che sia semplicemente possibile "tenere il diavolo biotecnologico fuori dalla porta" sono, ancor più che nel caso della proliferazione nucleare, destinate a breve durata. Per chi non sia convinto di ciò con riguardo al caso già discusso dell'agricoltura, basti pensare all'aspetto, sempre decisivo, della tecnologia militare.

Alcune applicazioni, tipicamente quelle rese pubbliche, sembrano abbastanza innocenti. Per esempio, l'esercito americano sta inserendo in alcuni batteri vari geni artificiali simili a quelli responsabili nei ragni tessitori della produzione della ragnatela: capita infatti che il filo di ragno sia una delle più robuste fibre esistenti a parità di peso. Gli scienziati sperano di utilizzare i batteri per produrne quantità arbitrarie secondo specifiche variabili, in modo da poterlo adibire a vari utilizzi, dall'ingegneria aerospaziale alle protezioni fisiche dei soldati impegnati in operazioni sul campo (333)). come è ovvio con particolari ripercussioni sull'efficienza degli stessi in scenari "antiterrorismo", o di occupazione e controguerriglia.

Altre ricerche sono molto più minacciose. Le medesime banche dati e tecnologie sviluppate per l'ingegneria genetica commerciale nel campo dell'agricoltura, dell'allevamento e della medicina è facilmente convertibile, ed è certamente già utilizzata, per lo sviluppo di una vasta serie di nuovi agenti patogeni che possano attaccare le piante, gli animali e gli uomini.

La guerra biologica, come noto, è quella che implica l'utilizzo di organismi viventi e composti organici per scopi militari. Le armi biologiche tradizionali consistono sostanzialmente in virus, batteri, funghi, protozoi e tossine, che in quanto tali non sono mai stati usati finora su larga scala. La ragione storica del ristretto utilizzo di tali strumenti è inerente tra l'altro ai costi e ai pericoli che comporta il trattamento e lo stoccaggio di grandi quantità di agenti patogeni e la difficoltà di indirizzarne la diffusione, ma anche la tracciabilità relativamente facile di attacchi biologici e la probabilità che il vantaggio connesso venisse annullato dall'inevitabile ritorsione nemica. Ora tale panorama è radicalmente cambiato.

In un rapporto risalente al maggio 1986, presentato al Committee on Appropriation della Camera dei Rappresentanti, il Dipartimento della Difesa americano già sottolineava come la biotecnologia sta rendendo molti tipi di guerra biologica realistici e vantaggiosi (334). Nel rapporto tra l'altro si legge: «Le conquiste fatte nel campo della biotecnologia permettono l'elaborazione di un'estesa varietà di nuovi materiali che possono essere usati nella guerra biologica. [...] I nuovi agenti sono il prodotto della recente capacità di modificare, migliorare o produrre grandi quantità di materiali naturali o di organismi che in passato erano considerati di nessuna importanza militare a causa di problemi quali la disponibilità, la stabilità nel tempo, il potere infettivo e la riproducibilità». Continua il rapporto: «Potenti tossine che sino ad ora erano disponibili solo in piccole quantità, e solo grazie all'estrazione delle stesse da enormi quantità di materiali biologici, adesso possono essere preparate in quantità industriali in un tempo relativamente breve. Questo processo deriva dall'identificazione dei geni che codificano la produzione della molecola desiderata e consiste nel trasferimento della sequenza in un microrganismo ricevente che in tal modo acquista la capacità di produrre la sostanza. L'organismo ricombinante può quindi essere allevato e riprodotto in qualsiasi scala desiderata. [...] Composti che precedentemente erano disponibili solo in quantità infinitesimali in questo modo diventano producibili in grande quantità a costi notevolmente bassi. [Con la tecnologia del DNA ricombinante è ora possibile sviluppare] una quantità pressoché infinita di ciò che potrebbe essere definito come "agente modellante". [...] I nuovi sviluppi dell'ingegneria genetica rendono possibile il rapido sfruttamento delle risorse della natura per scopi di guerra biologica che erano impensabili dieci o quindici anni fa».

Solo pochi mesi dopo, nell'Agosto dello stesso anno, il sottosegretario alla Difesa Douglas Feith dichiara al comitato parlamentare americano sui servizi segreti: «Adesso è possibile sintetizzare agenti per la guerra biologica pensati appositamente per scopi militari. La tecnologia che rende possibile i cosiddetti farmaci su misura rende possibile modellare tali agenti. [...] E' piuttosto semplice produrre nuovi agenti, anche se resta ancora un problema trovare degli antidoti, che possono richiedere anni, mentre gli agenti possono essere prodotti in poche ore» (335).

In effetti le tecniche biotecnologiche possono essere usate per una varietà di scopi militari, dal terrorismo di stato, alle operazioni controinsurrezionali, alle campagne su vasta scala per distruggere le economie dei paesi nemici o la loro popolazione civile, e richiedono l'allocazione di un potenziale industriale e di investimenti molto minore rispetto alla guerra convenzionale o alle armi nucleari. Un utilizzo banale degli strumenti disponibili è ad esempio quello volto a creare deliberatamente ceppi batterici alterati in modo da aumentarne la virulenza, renderne facile la conservazione, e incorporare una resistenza agli antibiotici. Un approccio più raffinato è quello di introdurre geni letali in microorganismi naturalmente innocui, che non generano alcuna risposta immunitaria negli animali o negli uomini da colpire. L'ingegneria genetica può ancora essere specificamente mirata alla distruzione di specie o ceppi specifici di piante coltivate ed animali, e persino allo sfruttamento della sensibilità diversa, geneticamente programmata, dei gruppi etnici umani a malattie specifiche. Inutile dire che ancora più facile è concepire "cavalli di troia" genetici, in particolare in campo agricolo, ovvero varietà coltivabili, alterate geneticamente e destinate a soppiantare le varietà autoctone, di cui sia attivabile l'autodistruzione. Ancora, è possibile produrre e liberare specie animali o vegetali modificate capace di sconvolgere l'equilibrio ecologico del territorio nemico, ma con incorporati meccanismi di controllo utili ad evitare l'interferenza con le proprie coltivazioni.

Naturalmente, ciò che traspira di queste ricerche riguarda sempre la "difesa" dalla guerra biologica. D'altronde, come nota uno studio dell'International Peace Research Institute di Stoccolma, «alcune comuni forme di produzione di vaccini sono tecnicamente molto vicine alla produzione di agenti utili come armi biologiche, offrendo così facili opportunità di conversione e copertura» 336. In particolare, come ammetteva Richard Goldstein, già professore di microbiologia ad Harvard, il Dipartimento della Difesa degli USA «può oggi giustificare il fatto di lavorare con gli agenti più patogeni al mondo, producendo ceppi alterati e molto più virulenti, al fine della ricerca di vaccini e sieri per proteggere le proprie truppe contro un utilizzo ostile di tali agenti [...], e allo stesso tempo studiando sistemi di diffusione degli stessi fino a quando non sia in grado di proteggersi contro qualsiasi simile forma di diffusione. Così, quello che il Dipartimento della Difesa si ritrova in mano alla fine è un nuovo sistema di armi biologiche, composto da un organismo virulento, un vaccino contro di esso e un sistema per diffonderlo. Come è facile rilevare, esiste una linea molto sottile tra un tale sistema di difesa (permesso dalle convenzioni internazionali) e un vero e proprio sistema (proibito) di attacco» (337).

Tali programmi sono sostenuti da una propaganda capillare e costante. Già nella prima guerra del Golfo, fonti americane attribuivano all'Iraq la disponibilità di quello che il "dittatore pazzo", noto anche come Saddam Hussein, avrebbe definito il "grande livellatore", ovvero un arsenale di venticinque testate di missili Scud per complessive cinque tonnellate di agenti biologici, tra cui la tossina botulinica e i germi del carbonchio, ed altre quindici tonnellate da collocare in dispositivi destinati al bombardamento aereo. Uno studio dell'Office Technology Assessment del 1993 segnalerà poi che la liberazione di soli cento chili di spore di carbonchio da un aereo sopra la città di Washington avrebbe potuto uccidere più di tre milioni di persone (338). L'apocalisse non si scatena, scopriremo, solo perché il Segretario di Stato James Baker avrebbe riservatamente fatto presente al presidente Saddam Hussein, "in toni cortesi ma fermi", che l'uso effettivo delle armi pretesamente approntate per difendere la sovranità irachena, nel momento appunto in cui questa era oggetto dell'attacco occidentale, sarebbe stata fronteggiata con "misure estreme", ovvero lo sgancio di ordigni nucleari su Bagdad 339.

Questo tipo di affabulazioni fantapolitiche, ovviamente non "ufficiali", ma accreditate da stampa prestigiosa, non spiegano come sia possibile che un'efficace arma di deterrenza in mano ad un "pazzo" non abbia sortito alcun effetto sull'avventurismo militare americano nella regione, o come il pazzo in questione avrebbe potuto essere intimidito da minacce... su una popolazione civile dal medesimo dittatore notoriamente disprezzata e tiranneggiata. Simili leggende restano nondimeno utili, da più di dieci anni, a creare un vantaggioso clima di paranoia (vedi il martellamento propagandistico sulle "armi di distruzioni di massa", di cui per altro Stati Uniti ed altri paesi dispongono indisturbati sin dagli anni cinquanta), clima che giustifica a sua volta gli enormi finanziamenti dispiegati per preparare la guerra biologica 340. Già in uno studio del 1995, la CIA attribuiva a diciassette paesi ricerche di biotecnologia militare, e precisamente a Iraq, Iran, Libia, Siria, Corea del Nord, Taiwan, Israele, Egitto, Vietnam, Laos, Cuba, Bulgaria, India, Corea del Sud, Sudafrica, nonché ovviamente Cina e Russia (341).

D'altronde, secondo un rapporto pubblicato nel 2002 dalla National Academy of Science americana «sarebbero sufficienti pochi individui dotati di competenze specialistiche e di un laboratorio adeguato per produrre, in modo economico e semplice, un'intera serie di armi batteriologiche mortali in grado di costituire una grave minaccia per la popolazione degli Stati Uniti. Inoltre, gli agenti biologici possono essere prodotti utilizzando apparecchiature disponibili sul mercato, le stesse attrezzature che vengono impiegate nella produzione di sostanze chimiche, farmaci, cibi o birra, e quindi passare inosservate. [...] La decodifica della sequenza del genoma umano e la spiegazione completa di quello di numerosi agenti patogeni... consentono di abusare della scienza per creare nuovi strumenti di distruzione di massa» (342).

Se non esiste alcun dubbio sull'attivismo del complesso militar-industriale statunitense in questo campo, l'allarmismo occidentalista sulla diffusione delle applicazioni di questo tipo ovviamente non si basa soltanto su dati inventati (343). E dal momento che, in questo campo, capacità d'attacco, capacità di difesa e deterrenza costituiscono solo aspetti diversi della disponibilità delle medesime tecnologie, è ben chiaro cosa significa per la reale sovranità dei paesi interessati esserne sprovvisti.

La capacità di difesa e di attacco risulta del resto determinante non solo in scenari di aperta aggressione militare, ma anche con riguardo a forme più subdole di guerra economica a bassa intensità, o addirittura a rilasci accidentali e non voluti di agenti patogeni. La teoria della provenienza del virus dell'AIDS da laboratori militari americani (344), per quanto rappresenti probabilmente una "leggenda metropolitana", dimostra con la sua stessa diffusione la crescente verosimiglianza di ipotesi di questo tipo, cui è possibile rispondere unicamente con la capacità di produrre e selezionare ceppi immuni, e di programmare secondo necessità tale immunità nelle popolazioni umane, vegetali ed animali (345).

D'altronde, la guerra biologica non è che un aspetto di scontri tecnologici, economici e demografici di carattere più generale, nel quadro del mutamento generale del "paradigma" epocale già più volte evidenziato. Se abbiamo già discusso delle prospettive e delle applicazioni riguardanti il mondo vegetale e l'utilizzo industriale di microorganismi modificati o insetti, le ricerche in corso abbracciano applicazioni molto più ampie e tecnicamente complesse di quelle che coinvolgono sementi e protozoi, venendo ad incidere direttamente sugli animali superiori e sull'uomo.

Riporta ancora Rifkin: «All'Università di Adelaide, è stata sviluppata un nuova generazione biotecnologica di maiali che sono più efficienti del 30% nella produzione di carne, e che giungono a maturazione sette settimane prima di quelli normali. L'Australian Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation ha similmente prodotto pecore trattate geneticamente che crescono più velocemente di un terzo di quelle normali e sta attualmente trapiantando geni nelle pecore al fine di far crescere una lana più abbondante e di migliore qualità. Nell'Università del Wisconsin, gli scienziati hanno alterato i tacchini da cova per aumentarne la produttività. I tacchini da cova producono da un quarto ad un terzo in meno di uova rispetto a quelli che non covano. Visto che cova quasi il 20% nelle razze attuali, i ricercatori sperano di eliminare del tutto l'istinto della cova bloccando il gene che codifica la prolattina, ormone che regola l'istinto della cova. I tacchini transgenici non mostrano più l'istinto materno, ma producono molte più uova» (346).

Uno dei progetti più strani dell'era biotecnologia è quello della canadese Nexia, che lavora sull'ipotesi di far produrre quantità massiccie di tela di ragno a capre in cui sono stati inseriti geni di ragno. Abbiamo già accennato alle particolari proprietà di questa fibra. Ora, capita che il latte delle capre transgeniche contenga una quantità della relativa proteina incommensurabilmente superiore a quella ottenibile tramite un ipotetico allevamento di ragni – che non sarebbe comunque industrialmente fattibile essendo i ragni cannibali. «Mettete un gruppo insieme e ciò che ne ricavate è un singolo, felice e grasso ragno», nota Jeffrey Turner, il genetista molecolare amministratore della Nexia (347).

Nel frattempo una società del Texas, la Yorktown Technologies, ha messo in vendita un pesce d'acquario, chiamato Glofish, di colore rosso brillante alla luce del giorno e che diventa fluorescente alla luce ultravioletta (348), basato sull'innesto "decorativo" di geni provenienti dall'anemone di mare su un pesce tropicale, il pesce zebra, in natura a strisce nere e argento. Di per sé la notizia sarebbe interessante solo da un punto di vista legale, perché nessuno sa quale organo amministrativo americano sarebbe eventualmente chiamato ad esprimere la sua opinione sul fatto che siano messi in circolazione tali pesci geneticamente modificati: la Food & Drug Administration ritiene infatti di non aver alcun potere in materia in quanto a differenza del salmone transgenico non si tratta né di un alimento, né di un farmaco o di altra sostanza destinata al consumo umano; l'Environmental Protection Agency e il Dipartimento dell'Agricoltura similmente ritengono che i pesci ornamentali non rientrino propriamente nelle proprie competenze. Ma il Glofish non è altro che la ricaduta "americanizzata" di una tecnologia sviluppata fin dal 1999 da un ricercatore dell'Università di Singapore, che scoprì come dei pesci modificati con vari gruppi di geni tratti da meduse siano in grado di "accendersi" di un determinato colore solo in presenza di metalli pesanti, estrogeni o tossine, realizzando così un "rilevatore biologico" utilizzabile in qualsiasi specchio d'acqua, e capace di assumere una particolare colorazione, come una cartina di tornasole, a seconda dell'inquinante presente.

D'altronde, a parte casi particolari come quello ricordato, la maggior parte delle ricerche sugli animali che non riguardano l'industria alimentare interessano il settore della medicina. La prima idea – che rilancia la tradizione, ormai quasi superata a favore dei prodotti di sintesi, di utilizzare gli animali per produrre sieri, ottenere vaccini od estrarre ormoni – è quella di trasformare parte degli allevamenti tradizionali in bioindustrie atte a produrre medicinali. Nell'aprile del 1996, la Genzyme Transgenic annunciava ad esempio la nascita di Grace, una capra transgenica con un gene che codifica il BR-96, un anticorpo monoclonale che è stato sviluppato dalla Bristol-Myers Squibb come farmaco antitumorale. La stessa società sta anche realizzando una capra capace di produrre antitrombina, una sostanza anticoagulante, e conta di lanciare nuovi prodotti e dimezzare i propri costi di fabbricazione di prodotti di sintesi complessi tramite l'utilizzo di animali transgenici, contando ad esempio con il farmaco utilizzato per curare la sindrome di Gaucher di raggiungere con un gregge di sole dodici capre la medesima produttività dell'impianto da dieci milioni di dollari ancora oggi in funzione (349).

Da parte sua, una società della Virginia, la PPL Therapeutics, crea nel 1997 Rosie, una mucca transgenica il cui latte contiene alfa-lactalbumina, alimento essenziale per i neonati prematuri che non possano essere allattati naturalmente, mentre in Colorado la Somatogen crea un maiale che produce emoglobina umana (350).

Nel frattempo, nell'immediato, le applicazioni dell'ingegneria genetica si estendono come abbiamo detto alla biologia marina. E' stato ad esempio trapiantato con successo un gene, che previene la formazione di cristalli di ghiaccio nel sangue, da un pesce artico alla trota e al branzino, consentendo la crescita di questi pesci in acque molto più fredde. Il trapianto invece del gene che sovrintende alla produzione dell'ormone della crescita nei mammiferi ha prodotto pesci che si sviluppano più rapidamente e raggiungono taglie maggiori. Altre ricerche hanno prodotto salmoni sterili, privi dell'istinto suicida di smettere di mangiare e risalire la corrente per deporre le uova.

Anche qui, c'è chi ha parlato, per analogia con la "rivoluzione verde" del secolo scorso, di questo secolo come quello della "rivoluzione blu", in cui grazie a clonazione ed ingegneria genetica la produzione dell'"acquacoltura" supererà quella della pesca, come da millenni l'agricoltura ha superato quella della raccolta dei prodotti spontanei della natura e ancora prima l'allevamento degli animali terrestri ha superato il contributo (oggi risibile) della caccia alla soddisfazione dei fabbisogni alimentari umani (351). Tale prospettiva può piacere o meno, ma mentre alcuni neoprimitivisti o tradizionalisti possono essere vegetariani, e perciò non sentirsi particolarmente toccati dall'alternativa caccia-allevamento, pochi tra loro suggerirebbero l'abbandono della pratica dell'agricoltura – modo di vita cui da essi vengono attribuite tutte le virtù, eppure "artificiale" e "tecnico" per definizione sin dalla sua nascita nel neolitico – a favore di una mera raccolta dei frutti spontanei della "natura". Ci si deve chiedere allora perché la pesca non potrebbe essere confinata (e d'altra parte forse deliberatamente continuata) in ambiti analoghi a quelli in cui è oggi praticata la caccia, cosa tra l'altro che consentirebbe un diverso rispetto e protezione dell'ecologia marina.

Milioni di persone stanno inoltre dagli anni novanta utilizzando medicinali di origine biotecnologica, al posto di prodotti sintetizzati chimicamente, per la terapia di patologie cardiache, tumori, e AIDS. L'insulina prodotta con l'ingegneria genetica ha virtualmente eliminato l'uso dell'insulina "naturale" estratta da grandi numeri di mucche e di maiali. Con metodi simili, l'Amgen produce l'eritropoietina, la Genentech l'attivatore tissutale del plasminogeno, altre società l'interferone usato per la terapia dei tumori e della sclerosi multipla, etc. (352).

Abbiamo già parlato delle ricerche sugli agenti patogeni. In questo campo, un lavoro interessante riguarda l'alterazione dei vettori. Sono state create zanzare in grado di mescolarsi con quelle libere in natura e di trasmettere un gene dominante per ghiandole salivari modificate che le rende incapaci quando pungono la vittima di inoculare la malaria. All'Università di Yale, un gruppo di scienziati ha introdotto batteri geneticamente modificati nell'intestino di un insetto sudamericano chiamato "scarafaggio del bacio", che trasmette un parassita responsabile della letale sindrome di Chagas. Tali batteri secernono un antibiotico che uccide il parassita direttamente nell'intestino dell'insetto (353).

Infine, sotto l'aspetto ambientale, lo sviluppo di modelli sempre più raffinati di descrizione degli ecosistemi, e le risorse di calcolo via via rese disponibili dall'elaborazione a parallelismo massivo e dalla legge di Moore, consentono di ipotizzare che possano essere in futuro deliberati interventi che vadano al di là dell'azione più o meno alla cieca su una singola caratteristica, un organismo, o una specie, ma integrino sistemicamente intere ecologie.

Essendo però impensabile ripetere le delicate operazioni di ingegneria genetica su ogni singolo individuo animale coinvolto nel caso degli animali superiori, mancava però un tassello essenziale, che viene presto aggiunto. Le prospettive per la coltura intensiva di animali superiori dalle caratteristiche stabili, esattamente come si fa in agricoltura da secoli con le varietà vegetali, si aprono infatti con la nascita di Dolly, la prima pecora clonata, avvenuta il 22 Febbraio 1997 ad opera di un embriologo scozzese (354). La tecnica utilizzata ha per la prima volta dimostrata la possibilità di produrre una grande quantità di copie geneticamente identiche di mammiferi ed altri animali superiori, e sancito una pietra miliare con riguardo alla stessa clonazione umana (355). Il significato di tale risultato non passa inosservato, e diventa oggetto di vivaci discussioni sui media e nei comitati di "bioetica", Italia compresa, e suscita notevoli emozioni anche nel pubblico, al punto che un maglione fabbricato con la lana di Dolly viene venduto ad un'asta per venticinquemila dollari. Subito dopo, sempre la PPL annuncia la nascita di una seconda pecora clonata, Polly, che però contiene già un gene umano modificato, contraddicendo le previsioni secondo cui sarebbe stata necessaria all'uopo ancora una ventina d'anni (356).

Scrive Alexander: «C'è sempre stata opposizione al fatto di "pasticciare con la Natura". All'inizio del Rinascimento, la chiesa sosteneva che la dissezione dei cadaveri fosse un sacrilegio. Frankenstein venne scritto come un'arringa per la supremazia del sublime in natura sulla possibilità che i nuovi esperimenti sull'elettricità potessero sfidarla "rianimando" dei tessuti. La fecondazione artificiale sperimentata da John Hammond era stata messa al bando dalla Chiesa di Inghilterra. E, naturalmente, ci fu il Mondo Nuovo di Huxley [alias] dopo Haldane. Ma fino alle cellule staminali, a Dolly, all'ingegneria del gene, e al movimento verso l'informazione genetica come prodotto di largo consumo, questi argomenti erano del tutto accademici. L'elettricità in effetti non rianima affatto tessuti morti. Ora, d'altra parte, la science fiction di colpo non sembra più tanto fiction» (357).

Ed aggiunge: «La realtà della clonazione e delle cellule staminali tirò fuori i bio-ludditi come Kass dal margine del dibattito politico e galvanizzò una strana coalizione tra politicanti conservatori, cristiani evangelici, la chiesa cattolica, intellettuali di sinistra ed ambientalisti verdi, i quali tutti realizzavano, come d'altra parte il piccolo movimento bioutopista, che le tecnologie dei geni, applicate alle cellule staminali ed alla clonazione, potrebbero finalmente permettere agli umani di decidere del loro futuro biologico. Con la tecnica della clonazione è possibile ingegnerizzare una cellula con un tratto desiderato, inserire questa cellula in un uovo, ed ottenere una creatura su misura. E' per questo che è stata inventata. Le cellule staminali rendono la cosa ancora più semplice, come è successo per i topi di laboratorio customizzati. Questa prospettiva guida l'improbabile alleanza. [...] Nessuna iperbole è eccessiva se ottiene il risultato di spaventare a morte il pubblico. Kass ha persino parificato la lotta contro i mali della biotecnologia con la lotta contro il terrorismo internazionale: "il futuro umano riposa sulla nostra capacità di navigare evitando gli inumani Osama Bin Laden e i post-umani adepti del Mondo Nuovo"» (358).

In effetti, per il capo del Consiglio Presidenziale sulla Bioetica di Bush, jr., come per Fukuyama, siamo sull'orlo di trasformarci in post-umani. Leggiamo così all'inizio della sua opera più nota: «Non ci rendiamo ancora conto della gravità della nostra situazione... Il processo postumanista è già cominciato. La "pillola". La fecondazione in vitro. Embrioni in bottiglia. Uteri in affitto. Clonazione. Diagnosi prenatale e screeening genetico. Manipolazione genetica. Coltivazione di organi. Parti di ricambio meccaniche. Chimere. Impianti cerebrali. Ritalin per i bambini, Viagra per i vecchi, Prozac per tutti. E, per lasciare questa vale di lacrime, un po' di morfina in più accompagnata da Muzak» (359). Nota Alexander: «Nello spazio di due pagine, Kass riesce ad evocare praticamente tutti i babau del ventesimo secolo, persino i nazisti».

I poveri emuli italiani di Kass hanno a loro volta trovato la grande occasione di impersonare come "esperti" della lotta contro il transumanismo un "potere dei chierici" difficilmente immaginabile fino a qualche anno fa. Malgrado i considerevoli risultati di anni di costante campagna metapolitica delle gerarchie ecclesiastiche e dell'Università Cattolica di Milano, il "bioetico" Francesco d'Agostino, si lamenta anzi che non sia ancora abbastanza, e rivendica per sé e per i suoi colleghi ruoli da sinedrio talmudico: «Per formulare [la legge italiana sulla procreazione assistita] credo sarebbe stato saggio chiedere un parere all'organismo che dirigo, il Comitato Nazionale per la Bioetica, che è l'organo consultivo della Presidenza del Consiglio su questioni etiche [sic!]. L'ultimo parere del Consiglio sull'argomento risale a più di dieci anni fa. Avremmo potuto suggerire, ad esempio, la costituzione di una Authority delegata ad esprimersi e ad autorizzare certe ricerche sull'embrione in casi estremi nei quali si ponga con urgenza il bisogno di trovare una terapia salva-vita» (360).

Naturalmente la popolarizzazione di queste "battaglie" continua a generare mostri. Nel dibattito sulle leggi americane contro la clonazione umane, che l'amministrazione Bush tenta di estendere al mondo tramite l'ONU (361), il parlamentare relatore, Cliff Stearns della Florida, ha brillantemente spiegato: «Quando fai un clone ci sono questi tentacoli, parte dell'ovulo. Loro li tolgono. C'è un termine per questo. Quando cloni, non hai un esatto clone del materiale degli ovuli. I tentacoli vengono tutti rimossi... Il clone non li avrebbe, eppure io e voi li abbiamo quando nasciamo. Avremmo una categoria di qualcuno, di gente che non ha questi tentacoli e questa potrebbe essere gente inferiore o superiore» (362).

Commenta Alexander: «Questa è la sorta di spiegazione che fa sì che gli scienziati nascondano la testa tra le mani e restino senza parole. Ma queste concezioni sono diffuse. Nell'aprile 2002, l'"esperto" George Will è apparso in televisione sulla rete ABC nella trasmissione This Week con George Stephanopoulos e ha sostenuto che tutte le forme di clonazione, terapeutica e non, dovrebbero essere bandite perché "le cellule sono entità con un genoma umano completo". Di fatto, praticamente tutte le cellule umane, i globuli rossi rappesentando un'eccezione, hanno un genoma umano completo. Secondo la logica di Will, dovremmo rispettare ogni possibile cellula del nostro corpo, incluse eventuali cellule cancerogene» (363).

Ma in tale epoca, il bio-luddismo, almeno per la biologia umana, era già ufficialmente consacrato dal governo americano, in particolare dal famoso ed esilarante discorso televisivo di Bush del 9 agosto 2001, in cui il presidente, parlando dal suo ranch in Texas, ha descritto il "viaggio" che lo ha condotto verso le sue attuali conclusioni, dicendo di aver dedicato alla questione «un mucchio di pensieri, preghiera, e considerevole riflessione», per poi aggiungere «siamo giunti al Mondo Nuovo che sembrava così distante quando nel 1932 Aldous Huxley [alias] ha scritto di esseri umani creati in provetta in quello che chiamava un'incubazionificio», ed annunciare alla fine forti limitazioni al finanziamento federale di ulteriori ricerche e la costituzione del famoso Comitato presieduto da Kass.

Anche se vi è chi come Rahul K. Dhanda vorrebbe "guidare Icaro" e mettere d'accordo nella più pura tradizione americana ideologia e buoni affari, "Bible and business" (364), tale clima è ovviamente un invito a nozze per tutte le correnti a vario titolo orientate in senso anti-faustiano, il cui manifesto si può dire sia ben riassunto dal titolo di un saggio del 2003 di Bill McKibben, Enough, ove l'autore dichiara apertamente che la questione ormai è di "decidere che in ogni campo la ricerca tecnica e scientifica è andata avanti abbastanza, e che non è veramente necessario andare oltre", di "saper dire di no, saper restare umani", e di «guardare il nostro mondo, e proclamarlo buono, buono abbastanza. Abbastanza intelligenza, abbastanza capacità. Abbastanza» (365). Eppure, come nota Ramez Naam, «per tutta la nostra storia, abbiamo oltrepassato i nostri limiti e incrementato le nostre possibilità. Se, come pensa McKibben, sono i nostri limiti a definirci, allora abbiamo smesso di essere umani molto tempo fa, quando abbiamo inventato gli utensili, il linguaggio e la scienza che ha esteso il potere delle nostre menti e dei nostri corpi oltre quello con cui i nostri antenati cacciatori e raccoglitori erano nati» (366).

In ogni modo, siamo nel frattempo giunti alla prospettiva di una pianificazione della produzione in massa di animali selezionati, mutati e clonati, cui è possibile far produrre enzimi, ormoni, sostanze organiche, latte e carne dalle caratteristiche arbitrarie e strettamente controllate, mentre altri parlano addirittura di programmare la crescita negli animali di organi compatibili per xenotrapianti sugli esseri umani (367), tecnologia per altro destinata ad avere poco futuro rispetto all'alternativa di produrre invece organi non solo umani, ma clonati direttamente da cellule del paziente, e perciò privi di rigetto e perfettamente analoghi a quelli donati da un gemello identico. Ciò supera nettamente gli esperimenti odierni legati alla coltura di cellule su un'impalcatura di polimeri biodegradabili – ad esempio con riguardo a mammelle, fegati od orecchie -, e la stessa promettente sperimentazione sulle cellule staminali, ad esempio con riguardo al morbo di Parkinson o alla sindrome di Alzheimer, che oggi fa tanto rumore in connessione alla loro estrazione da embrioni umani abbandonati, che per altro sarebbero diversamente destinati a non trovare alcun'altra utilizzazione pratica (368).

Quello degli "organi" umani ed il loro futuro a medio e lungo termine resta comunque un campo tutto da esplorare. Se oggi gli "organi artificiali" e le protesi sono oggetti relativamente rudimentali e ben distinti dall'organismo di chi ne fa uso, così come gli strumenti che da sempre ampliano le capacità fisiche, sensoriali e mentali degli esseri umani sani, esiste una plausibile convergenza futura della tecnologia biomeccanica, robotica ed informatica con le acquisizioni della biologia, della medicina, dell'ergonomia, della genetica, della neurologia, etc. Reti neuronali, nanotecnologie, realtà virtuale, interfacce dirette tra sistema nervoso e dispositivi digitali, intelligenza artificiale, servomeccanismi, stimolazione diretta dei centri cerebrali umani ed animali, apparati autoriparanti e/o con capacità di autoriprodursi, biochip, emulazione delle funzioni cerebrali superiori, sono tutti elementi che convergono verso un'attenuazione della distinzione tra la sfera "organica" e la sfera "meccanica" e verso una ridefinizione dei confini e della natura dell'organismo e della sua esperienza.

John Holston, uno dei direttori del Progetto Genoma, si è chiesto: «Quanti componenti di origine non biologica possiamo impiantare su un corpo umano e continuare a definirlo umano? [...] Forse una piccola espansione di memoria? Un'aggiunta di capacità di elaborazione? Perché no? Se è così, forse una sorta di immortalità è potenzialmente dietro l'angolo». (369). L'ipotesi di poter ad esempio ricavare una copia completa dell'esperienza di un essere umano su un supporto artificiale, magari nel suo funzionamento con accentuate caratteristiche biotroniche, di ricostruirla artificialmente e/o di riversarla di nuovo in un altro cervello (370), apre ad esempio prospettive molto complesse, così come quella di trasformare radicalmente la percezione-del-mondo selezionata da un apparato sensoriale sostanzialmente immutato da milioni di anni. Certamente sono già mutate le modalità con cui gli esseri umani comunicano od accedono alle informazioni, ed è prevedibile che il processo sia destinato a continuare; e non c'è bisogno di richiamare ulteriormente il ruolo di tutto ciò con riguardo alla possibilità stessa di esplorare e modificare la realtà biologica dell'uomo e delle altre specie, ad esempio attraverso la sequenziazione genica, largamente basata sull'utilizzo di risorse di calcolo e tecniche di precisione impensabili sino a pochi decenni orsono.

La bionica, uno dei luoghi di questa convergenza, si ricollega del resto alle questioni già discusse sulla modifica dell'ambiente umano ed alle pressioni selettive che questo comporta a livello sociologico e genetico. Abbiamo già scimmie in grado di pilotare braccia robotiche mediante elettrodi impiantati nel cervello (371). A partire dall'innesto dei primi pacemakers nel 1958, oggi sono comuni gli impianti cocleari, che restituiscono l'udito a persone completamente sorde, e chips sperimentali impiantati sulla retina già provvedono qualcosa di simile alla vista a ciechi congeniti. Similmente, sono oggi progettati supplementi cerebrali, di cui sono stati testati modelli in simulazione con qualche decina di migliaia di neuroni (372). Il loro scopo non è solo quello di trattare disfunzioni cerebrali, ma di estendere l'esperienza sensoriale, aumentare la memoria, permettere forme di comunicazione diretta per via elettromagnetica che non pare eccessivo definire telepatica, e consentire un accesso wireless diretto e delocalizzato all'informazione ed alle reti in questa si trovi conservata (373).

Per una integrazione reale dell'attività cerebrale con dispositivi artificiali di tipo digitale, ovvero senza passare dall'apparato sensoriale e motorio tradizionale, sono necessarie tre condizioni: «poter descrivere l'attività elettrica neuronale legata a una facoltà o a un comportamento particolare; saper tradurre tale descrizione in una forma algoritmica integrabile in un processore; realizzare processori al tempo stesso abbastanza piccoli per stimolare precisamente la zona coinvolta (da cui l'importanza della questione delle interfaccie neuronali) e abbastanza potente per trattare l'algoritmo che riproduca la facolta mentale voluta» (374). E' improbabile che processori elettronici tradizionali possano mai soddisfare pienamente a tali condizioni, ed è molto probabile che qualche tipo di bio o nanochip sia destinato piuttosto ad essere coinvolto. ma in ogni modo il quadro di vita che ciò ci consegna ne viene radicalmente mutato (375).

Non sorprende in tale scenario che gli scambi umani, culturali e finanziari tra informatica e biotecnologia diventino già oggi sempre più stretti, in particolare nel campo della ricerca.

Scrive Rodney Brooks: «Al Laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT di cui sono direttore vedo segni di questa trasformazione ogni giorno. Abbiamo smontato "clean rooms" in cui usavamo lavorare su processori al silicio per installare al loro posto "laboratori bagnati" dove compiliamo programmi in sequenze di DNA che incorporiamo in genomi per allevare robot batterici. Il nostro obbiettivo nei prossimi trent'anni è riuscire, invece di coltivare un albero, abbatterlo e fare un tavolo con quanto ricavato, a far crescere direttamente un tavolo. Abbiamo trasformato laboratori in cui assemblavamo silicio e robot d'acciaio in laboratori in cui assembliamo robot da silicio, acciaio e cellule viventi. Coltiviamo cellule muscolari e le usiamo come attuatori in dispositivi semplici, precursori di protesi che potranno entrare a far parte integrante di corpi umani. Alcuni ricercatori nel campo della IA che studiano come far sì che le macchine imparino hanno smesso di costruire migliori motori di ricerca per il Web e hanno cominciato ad inventare programmi in grado di imparare le correlazioni nel genoma umano, e fare così predizioni sulle cause genetiche delle malattie» (376).

Larry Ellison, fondatore di Oracle e reputato per un certo periodo, prima dello scoppio della bolla della New Economy nel tardo 2000, il secondo o terzo uomo più ricco del mondo, ha da parte sua stabilito la Ellison Medical Foundation per studiare la biologia umana, con particolare riguardo ai geni che governano l'invecchiamento, ed ha avuto modo di dichiare a Business Week: «se avessi vent'anni, mi orienterei alla biotecnologia o all'ingegneria genetica» (377).

Un altro punto cruciale è stato superato nel 1997 quando il laboratorio di ricerca giapponese sponsorizzato dalla divisione farmaceutica dei produttori della birra Kirin è riuscito per la prima volta a trapiantare un intero cromosoma umano, in particolare nel corredo genetico di una cavia, impresa ritenuta da taluni irrealizzabile. Sino ad allora, era stato infatti trasferito DNA solo in piccole quantità, cinquanta volte inferiori ad un cromosoma. In particolare, il cromosoma trasferito è quello che negli uomini riguarda la produzione di anticorpi, e puntualmente, nelle cavie, l'introduzione di proteine estranee ha provocato la produzione degli anticorpi stessi (378). Contemporaneamente, alla Case Western Reserve University, in Ohio, viene annunciata la creazione per la prima volta di un cromosoma umano artificiale (379). Commenta Rifkin: «Ciò che rende il cromosoma artificiale umano così importante, è che esso contiene quella prevedibilità che nel passato era sfuggita agli scienziati che lavoravano nel campo dell'ingegneria genetica. Fino ad oggi, gli scienziati hanno dovuto inserire singoli geni all'interno di un virus, e poi utilizzare il virus come vettore per inserire a loro volta i geni nei cromosomi della cellula (380). Con questo metodo, tuttavia, non è possibile sapere quale cromosoma acquisirà il gene aggiunto, né dove il gene si andrà ad integrare nella cellula una volta al suo interno; non esiste infatti alcuna possibilità di indirizzare il gene in un punto preciso. Con l'uso dei cromosomi 'artificiali', è possibile inserire un intero pacchetto coordinato di geni. Ogni gene si trova già al posto giusto nel suo cromosoma, e questo elimina la necessità di ripetere l'esperimento nella speranza che ciò alla fine si produca per caso. I cromosomi artificiali aprono la strada a infinite possibilità di modificazione delle strutture genetiche sia delle cellule somatiche, sia di quelle della linea germinale. La prassi di introdurre dei cambiamenti genetici in un bambino, sia prima del concepimento nelle cellule sessuali, sia subito dopo il concepimento nelle cellule embrionali, molto probabilmente diventerà una realtà nei prossimi dieci anni» (381).

Gregory Stock [alias] è d'accordo sul ruolo critico dei cromosomi artificiali, che rinvierebbero per lunghissimo tempo, in particolare con riguardo all'ingegneria genetica, la necessità di "pasticciare" davvero con l'incredibile complessità dei cromosomi esistenti, che per le specie vegetali ed animali viene oggi affrontata semplicemente selezionando ed affinando, per approssimazioni progressive, i prodotti più o meno casuali di tentativi che coinvolgono un grandissimo numero di gameti ed embrioni. Uno o più cromosomi artificiali potrebbero prestarsi in particolare a fare da vettori di un certo numero di geni aggiuntivi, presumibilmente sviluppabili in modo indipendente, disattivabili a richiesta, e con un minimo di interazioni indesiderate: «Immaginate che un padre futuro dia alla sua figliolina un cromosoma 47, versione 2.0, un modello di linea alta con una dozzina di moduli genetici terapeutici. Al momento che la stessa cresce ed ha a sua volta dei figli, non può non trovare tale cromosoma assolutamente primitivo. Il suo modulo anticancro a tre geni impallidisce rispetto al cluster ad otto geni e ad alta capacità della nuova versione 5.9, che regola meglio l'espressione dei geni, è attivo contro un maggior numero di tipi di cancro, ed ha minori effetti collaterali. Il modulo anti-obesità è rimasto più o meno lo stesso della versione 2.0, ma la 5.9 ha un entusiasmante set di diciannove moduli antivirus rispetto ai quattro che lei ha installati, e un modulo anti-age che con un po' di fortuna riesce a mantenere livelli giovanili di ormone della crescita per un decennio supplementare, e conserva più a lungo anche il sistema immunitario. La figlia può essere troppo apprensiva per optare per alcuni dei modelli più sperimentali quando è il suo bambino ad essere coinvolto, ma non può immaginare di trasmettergli tale e quale il suo antico cromosoma e forzarlo più avanti nella sua vita a dover prendere farmaci o sostenere altri trattamenti per compensare le sue deficienze. E quanto al fatto di ritornare allo stato naturale, pre-terapia, di ventitrè coppie di cromosomi, ebbene, solo dei Ludditi fanatici farebbero una cosa del genere ai loro figli» (382).

Abbiamo già trattato del compimento del Progetto Genoma umano, che è la base di partenza per identificare non solo i geni responsabili delle circa quattromila malattie genetiche note, ma per capire il funzionamento dei geni, la loro attivazione e disattivazione nonché la loro interazione con l'ambiente, sia l'ambiente epigenetico che l'ambiente più in generale in cui si trova a svilupparsi l'organismo. Se i test di screening per alcune malattie genetiche più comuni sono già facilmente accessibili ed in uso quotidiano (383), è ugualmente aperta la strada allo studio delle complesse determinanti poligenetiche che influiscono sui tratti morfologici, nonché su carattere, personalità, comportamento, attitudini, intelligenza, etc.; e di conseguenza alla manipolazione di tutte le caratteristiche che abbiano una componente genetica qualsivoglia nelle specie vegetali ed animali, uomo non escluso.

Riferisce Gregory Stock [alias] che ad un famoso simposio dallo stesso moderato nel 1998 (384) alla presenza di alcuni grandi biologi molecolari come Leroy Hood, che ha sviluppato la tecnica per sequenziare automaticamente i dati genetici, o French Anderson, fondatore della terapia genetica umana, dove veniva intonata la consueta litania tra l'ingegneria genetica "buona", volta a "curare", e quella "cattiva", volta a modificare o migliorare, il settantaduenne Watson, padre del Progetto Genoma e scopritore del DNA, è sbottato dicendo: «Capisco che nessuno abbia le palle per dirlo, ma se potessimo creare esseri umani migliori sapendo come aggiungere dei geni, perché mai non dovremmo farlo?». Aggiunge Stock: «La semplice domanda di Watson, "se potessimo, perché non dovremmo farlo?" va al cuore della controversia sulla modifica generica degli esseri umani. Le preoccupazioni sulla fattibilità o la sicurezza delle procedure sbagliano il bersaglio... Nessuno è davvero preoccupato da ciò che è impossibile... Ciò che i critici come Leon R. Kass, il noto bioetico dell'Università di Chicago, temono non è che questa tecnologia fallisca, ma che abbia successo, ed un successo clamoroso» (385).

In effetti, già in un sondaggio internazionale condotto nel 1993 Daryl Macer, direttore in Giappone dell'Eubios Ethics Institute, aveva modo di constatare come un sostanziale segmento della popolazione dell'epoca in tutti i paesi in cui il sondaggio si è svolto risconosceva che avrebbe voluto avere a disposizione l'ingegneria genetica tanto per prevenire patologie che per incrementare le capacità fisiche e mentali ereditate dai propri figli. E' interessante notare come i numeri forniti andassero dal 22% riscontrato in Israele al 43% degli Stati Uniti all'83% in India (386). Nota Ramez Naam: «Ironicamente, una delle reazioni più ovvie di chi si preoccupa della "sicurezza" delle tecniche volte a migliorare le prestazioni umane, ovvero quella di bandirla, risulta solo controproducente. Qualsiasi tecnica di questo è probabile diventi molto popolare. Consideriamo i precedenti: in aggiunta ai più di otto milioni di interventi di chirurgia plastica cui si sono sottoposti, i consumatori americani nel 2002 hanno speso diciassette miliardi di dollari in supplementi alimentari e rimedi naturali volti a migliorare lo stato generale di salute o incrementare le capacità fisiche e mentali. Molti di questi hanno effetti modesti o nulli, eppure sono incredibilmente popolari. Quando tecniche di miglioramento fisico o mentale saranno disponibili, non faranno altro che rispondere ad una vasta domanda in essere. Ora, il bando di beni o servizi di cui esista un'ampia richiesta non sembra eliminare il mercato per tali cose: si limita a crearne un commercio sottobanco. [...] In un regime di mercato nero, la prima a soffrire è proprio la sicurezza. Non vi è nessuno che assicuri il rispetto di standard qualitativi. Non vi è la minaccia legale di una responsabilità del produttore di servizi o procedure approssimativi.Diventa difficile compiere studi per verificare problemi emergenti» (387).

Il proibizionismo ha del resto di fronte una strada assolutamente impervia. Le statistiche provano che già oggi il 90% delle coppie negli Stati Uniti che scoprono dai test prenatali di attendere un bambino affetto da fibrosi cistica scelgono di abortire, cattolici compresi (388). Ovviamente, la percentuale che accetterebbe di farsi deliberatamente impiantare un embrione affetto da tale patologia, come la legge italiana sulla procreazione assistita vorrebbe demenzialmente imporre, sarebbe di gran lunga inferiore allo stesso modesto 10% di americani che sono disposti a portare avanti malgrado tutto la gravidanza di un feto affetto.

Le tecniche relative alla manipolazione delle linee germinali, dovessero anche rimanere vietate nella maggiorparte dei paesi industrializzati, sono destinate comunque ad emergere se non altro come sottoprodotto della ricerca sulle cellule staminali adulte e sulla terapie somatiche a base genetica (389), che hanno di fronte sfide molto più difficili. Aggiunge Stock [alias]: «Paragonati agli interventi genici a livello somatico, le inserzioni sulla linea germinale sono in un certo senso più "naturali", se non altro per il fatto che la loro regolazione è come quella del resto del nostro genoma. [D'altro canto,] la terapia genetica somatica è ben inserita nel quadro della medicina generalmente accettata. Nessuno che ha visto persone sofferenti di gravi sindromi come lafibrosi cistica o l'anemia falciforme negherebbe loro una cura sulla base di una vaga apprensione filosofica relativamente al fatto di alterare i nostri geni... L'ingegneria germinale rappresenta un cambio di paradigma nella riproduzione umana, ma quando efficaci terapie somatiche diverranno comuni, la banalizzazione in generale degli interventi genetici tra il pubblico aprirà la strada al passaggio dallo screening e selezione degli embrioni alla loro manipolazione [perché in effetti negare ad un embrione una terapia disponibile per adulto, e perché non estendere la guarigione non solo all'individuo, ma anche alla sua prole? (390)]. Inoltre, la ricerca sulle terapie genetiche somatiche produrrà inevitabilmente il know-how utilizzabile nell'ingegneria delle linee germinali» (391).

Questo porta con sé inevitabilmente l'idea di una responsabilità umana riguardo le caratteristiche in generale della propria discendenza. La American Academy for the Advancement of Science, editore della rivista Science e nota per la sua prudenza, malgrado gli anatemi bio-ludditi ha avuto così già modo di dichiarare: «Un più grande conoscenza della genetica rende possibile contemplare non solo il fatto di trattare o eliminare malattie, ma anche di "incrementare" caratteristiche umane al di là di quello che è necessario per restare o tornare in buona salute. Esempi potrebbero essere sforzi volti ad accrescere altezza o intelligenza, o ad intervenire per cambiare certe caratteristiche come il colore degli occhi o dei capelli». A sua volta, la National Science Foundation ha dichiarato nel 1991, in un simposio con il Dipartimento del Commercio americano intitolato "Converging Technologies to Improve Human Performance" [alias], che i partecipanti al convegno «raccomandavano una priorità nazionale in termini di ricerca e sviluppo sulle tecnologie convergenti nel miglioramento delle prestazioni umane, in particolare nei campi "nano, bio, info, cogno"» (392) (nanotecnologia, biotecnologia, informatica e scienze cognitive) (393) .

Personaggi come lo stesso Craig Venter, che come già ricordato con la Celera Genomics ha per primo completato la mappatura del genoma umano, e il premio Nobel Hamilton Smith, sono oggi impegnati nella ricreazione da zero del genoma funzionante di un microorganismo. Fino ad ora, era stato riprodotto il "genoma" di alcuni virus, come il phiX174 su cui ha lavorato Arthur Kornberg: il progetto di Venter riguarda invece la ricostruzione del genoma del mycoplasma genitalis, microbo molto semplice ma che presenta tutte le normali funzioni cellulari. Tra l'altro ciò rappresenta, come è ovvio, un passo fondamentale verso il vecchio obbiettivo della "creazione della vita in laboratorio" (394); ma le sue ricadute potenziali a termine con riguardo alla comprensione e gestione della genetica degli animali superiori e dell'uomo sono altrettanto evidenti.

In tale quadro, per quanto riguarda l'intervento diretto sul genoma umano, giova notare che allo stesso non risulta più in alcun modo applicabile l'"obiezione Beethoven" (395) avanzata contro le misure eugenetiche tradizionali, secondo cui politiche volte a limitare la procreazione dei portatori di caratteristiche indesiderabili potrebbero portare stocasticamente alla perdita di tratti genetici o fenotipi eccezionali, buttando per così dire il bambino con l'acqua calda. Tale intervento infatti è letteralmente terapeutico, limitandosi a modificare quanto deliberatamente preso di mira, e consentendo viceversa in potenza la conservazione di tratti positivi casualmente associati con altri incompatibili con la sopravvivenza o altrimenti indesiderabili.

«Così, la mutazione tecnologica è molto probabilmente durevole», scrive Kempf. «Bisogna abituarci all'idea di manipolare fortemente l'essere umano, di coltivarne le parti, di clonarlo, di programmarlo, di impiantarvi dispositivi bionici, di interagire con macchine sempre più dotate, etc. Non è che tutto sarà fatto, ma tutto sarà possibile. La trasformazione artificiale degli esseri si impone all'orizzonte della società» 396.

Anche le obbiezioni basate sulla complessità delle sfide che ci stanno di fronte mancano sostanzialmente il bersaglio. E' assolutamente vero che ci sfugge del tutto il meccanismo genetico di alcune caratteristiche, pure certamente ereditarie, e che la ricostruzione ingenua che immaginava il DNA codificasse in modo semplice e lineare le caratteristiche del fenotipo è soggetta oggi ad importanti revisioni. Ma la nostra capacità di manipolare i geni è definita non dalla nostra ignoranza di molti geni e combinazioni di geni che non capiamo, ma dalla profondità della nostra conoscenza dei pochi che capiamo già. Mano mano che la genetica umana, animale e vegetale continua a dipanarsi, troveremo che molti tratti sono troppo opachi per ipotizzarne un'alterazione in tempi prevedibili, per altri la cosa è in qualche misura oscura ma fattibile a medio termine, e altri ancora risultano sorprendentemente semplici.

La natura apparente di un tratto fenotipico del resto non ci dice nulla quanto alla complessità della genetica che vi sta alla base. «L'"orecchio musicale assoluto", o intonazione perfetta, è la capacità di identificare una nota musicale senza alcun termine di paragone con cui fare una comparazione [ad esempio un diapason, o la nota emessa da uno strumento musicale]. I meccanismi cognitivi e fisiologici posti in opera da chi ne gode per raggiungere tale risultato sono senza dubbio complicati, così che ci si potrebbe aspettare che tale abilità sia la risulta di contributi genetici numerosi, ma alcuni studi di associazione familiare suggeriscono che il potenziale di sviluppare un "orecchio assoluto" potrebbe dipendere da un singolo allele (ovvero la variante presente negli interessati di un singolo gene). E ciò benche l'acquisizione concreta di tale dote dipenda da un precoce addestramento musicale, tipicamente a partire dall'infanzia, così che come molte altre doti dipende insieme da una predisposizione generica e da un allenamento specifico» 397.

Come scrive Stock [alias], «Nessuna persona ragionevole nega la complessità dei sistemi biologici, così che una certa dose di scetticismo in mezzo all'esuberanza scandalistica dei titoli dei quotidiani sulla rivoluzione genomica è salutare. Ma concludere [o sperare] che non potremo mai superare le difficoltà scientifiche e tecniche è prematuro, a dir poco. Oggi, la manipolazione della linea germinale umana non è né fattibile né tantomeno sicura. Tra un decennio potrebbe ancora non esserlo. A due o tre decenni di distanza la storia potrebbe essere diversa. Interventi concretamente praticabili sulla linea germinale umana non richiederanno scoperte rivoluzionarie [fundamental breakthroughs], solo un avanzamento costante nella scala della nostra esplorazione del genoma umano. Nel giro dieci anni, ne sapremo molto di più su come le nostre predisposizioni e vulnerabilità genetiche si manifestano. Molte di queste influenze saranno probabilmente impossibili da manipolare utilizzando la tecnologia attuale, altre risulteranno difficili da decifrare ma non impossibili da maneggiare, ed altre ancora potranno essere cambiate in modo relativamente facile» (398).

Rileva Alexander: «Dal punto di vista biotech, ci sono quanto meno 1500 buone ragioni per ritoccare la biologia umana. Questo è il numero minimo di malattie con una riconosciuta determinante genetica. Di fatto, quando ti fermi a pensarci, siamo ben malcombinati. Sì, ce l'abbiamo fatta attraverso quattro milioni di anni di evoluzione, ma abbiamo raccolto un sacco di spazzatura lungo la strada. Il genoma di ogni persona ha qualcosa di sbagliato. Gli europei bianchi soffrono di fibrosi cistica, con i polmoni che si riempiono di muco lasciando i corpi senza fiato. Gli africani hanno l'anemia falciforme, un gene mutante che trasforma i loro globuli rossi in piccoli boomerang quasi incapaci di trasportare ossigeno. Italiani e greci e ciprioti hanno la talassemia. Gli ebrei hanno la sindrome di Tay-Sachs. Ci sono labbri leporini, bambini mongoloidi, cromosomi X "fragili". La gente nasce con dozzine di possibili sindromi come quelle di Marfans, Kleinfelter, Rett, Wiscott-Aldridge, Kartageners, Pelizaeus-Merzbacher, Leigh, il Cri du Chat,. L'evoluzione, diceva Watson "può essere dannatamente crudele"... Oggi i medici vedono molti pazienti che vogliono sapere tutto sui test genetici, sulla PGD (pre-implantion genetic diagnosis). Spesso, tali genitori non hanno problemi di fertilità, ma per ragioni familiari preferiscono sottoporsi ai rigori della procrezione assistita così che i loro embrioni comincino a crescere in un piattino, non in un utero» (399). Oggi questo consente una manipolazione puramente diagnostica, a fini di selezione degli embrioni (400), ma la tecnica apre la strada alla modifica diretta del genoma. Continua Alexander: «Che differenza c'è tra dare a un bambino insulina per il resto della sua vita ed inserire un gene per la produzione di insulina in un embrione che ne è sprovvisto? Non solo il bambino sarebbe definitivamente curato, ma non passerebbe il difetto genetico ai suoi figli, né questi ai loro».


Stefano Vaj

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(315) Per un riassunto del dibattito scientifico e politico al riguardo, vedi Zuccato e Fanelli, "Processo ai cibi OGM", in Le Scienze, n. 425, gennaio 2004, pag. 56.
(316) Cfr. Giovanni Monastra, "Maschera e volto" degli OGM, op. cit. In effetti, la "natura", per quanto possa essere considerata "madre e maestra", e in particolare il regno vegetale, offrono di per sé una vastissima gamma di veleni, sostanze allergizzanti, sostanze che distorcono il metabolismo umano, inducono dipendenza, alterano le percezioni, provocano patologie ben documentate, etc.
(317) L'isterismo che tale patologia, rara e di lunghissimo decorso, ha suscitato, non è estraneo alla percezione simbolica di un "sacrilegio" che sarebbe stato commesso nutrendo dei bovini con proteine animali – come se in natura le mucche si nutrissero di mangimi o fieno! Mentre l'origine del prione responsabile della malattia resta tuttora dubbia, giova notare che esattamente come gli esseri umani possono digerire il pane – pur non essendo i chicchi di frumento di per sé commestibili o parte della dieta naturale della specie – così gli erbivori sono fisologicamente e metabolicamente in grado di nutrirsi di carne, e talora in condizioni estreme lo fanno, ivi compreso mediante il ricorso al cannibalismo. Cfr. il comportamento delle pecore in Australia in periodi di grande siccità.
(318) E' giusto d'altronde osservare che la modifica genetica delle varietà coltivate, pur oggi orientata unicamente al profitto, non mira unicamente a superiori rese per ettaro o caratteristiche organolettiche (cioè gradevolezza per il consumatore), ma anche all'arricchimento ed integrazione dei fattori nutritivi in esse contenuti, o all'eliminazione dei componenti nocivi o tossici in esse presenti. In tal senso, l'ingegneria genetica tenta di "riparare" in qualche modo ai danni apportati dalla modifica delle abitudini alimentari seguita all'abbandono delle culture di caccia e raccolta a favore di alimenti ricchi di calorie, in particolare sotto forma di zuccheri complessi, ma poveri in micronutrienti e proteine.
(319) Vedi la campagna contro i "Frankenfoods" della potente Union of Concerned Scientists, associazione in realtà composta da ben pochi "scienziati" e pressoché unicamente da militanti ecologisti ed esponenti del movimento "bioetico".
(320) In Julianne Johnston, "FDA Official: Biotech Foods Safer than Hybridization", in AGB News, 13/10/2000.
(321) Enzo Caprioli, "Cibo geneticamente modificato: innovazione scientifica o scontro tra civiltà", art. cit.
(322) Michael Fumento, Bioevolution. How Biotechnology Is Changing the World, op. cit., pag. 200.http://www.dupont.com/
(323) Come ricorda lo stesso Giovanni Monastra ("Maschera e volto" degli OGM, op. cit., pag. 48) per fustigare i suoi "correligionari" di sinistra, a suo giudizio non abbastanza pronti nel denunciare le pratiche in tal senso quando hanno luogo in paesi non ancora completamente dominati dal capitalismo mondialista
(324) Sarà al limite necessario, e sufficiente, reprimere le frodi in commercio al riguardo, nonché assicurare l'informazione dei soggetti economici coinvolti e dei consumatori finali del prodotto.
(325) L'opposizione italiana "di destra" agli OGM risulta al tempo stesso demagogica e legata a radicati pregiudizi ideologici radicati. In questo senso, come nel citato pamphlet di Giovanni Monastra, evade del tutto il problema politico di fondo, a lungo termine, che la questione pone, per richiamarsi ad interessi immediati particolaristici, certo evidenti, ma che non possono trovare in tale prospettiva alcuna soluzione definitiva. Tale atteggiamento ricorda quello di chi, nel legittimo rifiuto di un'Unione Europea burocratica, mercantilista e impotente, oltre che priva di qualsiasi legittimazione popolare, cui preferirebbero la costituzione di un'entità politica sovrana in senso forte, si accontentano di resistere quanto più lungo possibile ad ulteriori trasferimenti di sovranità da parte dei vecchi Stati nazionali. Monastra, membro della commissione tecnico-scientifica sugli OGM del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, si fa così portavoce apertamente prevenuto di temi propagandistici di varia provenienza, senza curarsi troppo della loro portata e coerenza interna: "una varietà OGM ha danneggiato alcune farfalle"; "gli OGM non funzionano, ed anzi la scienza sbagliata e riduzionista alla loro base impedisce di modificare davvero gli organismi viventi"; "gli OGM sono sotto il controllo delle multinazionali perché non sanno riprodursi, e del resto non sono neanche biologicamente stabili", ma al tempo stesso "minacciano di sfuggire dalle gabbie e prendere il controllo del pianeta"; "i test sugli OGM andrebbero resi più severi", ma "la ricerca stessa sugli OGM andrebbe evitata, in quanto di per sé pericolosa, e comunque non può dirci nulla sulla sicurezza degli stessi"; "gli OGM sono impoveriti da un punto di vista nutritivo", ma "quelli come il Golden Rice che sono invece deliberatamente arricchiti sotto questo profilo sono inutili per ciò che riguarda la salute delle popolazioni che li utilizzano per rimediare a carenze alimentari", e "corrispondono alla creazione di un 'falso bisogno'". Anzi, a quest'ultimo proposito, il vero "livello scientifico" dell'esposizione, al di là dell'accumulo di dettagli tecnici più o meno "brillantemente esemplificati" per il volgo, è esemplificato dalla osservazione dell'autore, pure biologo ricercatore, secondo cui «la soia ha un alto valore proteico che, anche se non raggiunge quello delle proteine animali di uova e carne, lo può eguagliare se la si accompagna a cereali come pasta, pane e riso» (!). E' vero d'altronde che è idea propria di una "sapienza alchemica" cui l'autore non è evidentemente estraneo, e precisamente il tipo secondo cui il contenuto in oro di un dato miscuglio può aumentare se lo stesso è associato ad un altro dato miscuglio che di oro non ne contiene affatto.
(326) L'argomento è ripreso, anche se marginalmente, da Gianantonio Valli in "Le radici ideologiche dell'invasione", l'Uomo libero n. 52, nel capitolo su "La distruzione sociale e alimentare del Terzo Mondo".
(327) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, op. cit., pag. 186.
(328) La questione non si estende d'altronde di per sé alle varietà vegetali, già difendibili da lungo tempo anche in Italia attraverso una protezione brevettuale sui generis.
(329) La stessa possibilità di un'ingegneria genetica, e comunque anche delle tecniche tradizionali di ibridazione, selezione, etc., è condizionata dalla disponibilità di materiale su cui operare, che è... ridotta dalla medesima tendenza alla monocultura che da essa si sviluppa. Risulta perciò evidente l'importanza che ha la protezione della biodiversità, non solo nel senso di assicurarne la permanenza, attraverso banche dei semi, etc. ma anche nel senso della tutela dall'impossessamento altrui di quella che è una specifica risorsa della comunità che controlla il relativo territorio, alla stessa stregua delle risorse idroelettriche o di un giacimento minerario. Non a caso, in alcuni paesi della fascia equatoriale, la più ricca di materiale genetico selvatico, è in corso proprio oggi un'importante presa di coscienza politica, economica e culturale in questo senso.
(330) Eloquente in tal senso quanto è dato di leggere in David W. Versailles, Valérie Merindol, Patrice Cardot, La Recherche et la Technologie, Enjeux de Puissance, op. cit. Lo studio dà atto altresì della progressiva evoluzione ed integrazione, dal punto di vista dell'indipendenza e capacità di sopravvivenza di una comunità politica, del concetto di Difesa in quello di Sicurezza, ove l'aspetto militare tradizionale viene ad essere assunto in una prospettiva in cui in termini pratici rischia di diventare elusiva la differenza tra un'epidemia e un attacco batteriologico, tra una rappresaglia militare ed un atto di terrorismo, tra un embargo ed uno strangolamento tecno-economico effettuato con mezzi commerciali, tra un bombardamento e una catastrofe naturale.
(331) Riprendiamo gli esempi da Michael Fumento, Bioevolution. How Biotechnology Is Changing the World, op. cit., pag. 284.
(332) Anzi, la maggiorparte delle catastrofi ecologiche verificatesi in passato, ed ovviamente ancora possibili in futuro, non hanno neppure nulla a che fare con un intervento umano di qualsiasi tipo. Anche senza contare mutamenti climatici spontanei e catastrofi geologiche, la penetrazione ad esempio di specie estranee in nuovi habitat è un fenomeno che può verificarsi spontaneamente in natura, e che ha avuto talora conseguenze esplosive e devastanti sull'ecosistema preesistente, con buona pace dell'irenismo ecologista.
(333) Philip Ball, "Living Factories", in New Scientist, 03/02/1996, pag. 28-31.
(334) US Department of Defence, "Biological Defence Program", in Report to the Committee of Appropriation, House of Representative, 1986, menzionato tra l'altro da Jeremy Rifkin, op. cit.
(335) Deposizione di Douglas Feith al Subcomittee on Oversight and Evaluation dell'House Permanent Select Comittee on Intelligence, Agosto 1986. Chi si oppone agli OGM perché "tanto non funzionano", naturalmente non ha di che preoccuparsi...
(336) Riportato in Jeremy Rifkin, Declaration of a Heretic, Routledge & Kegan, Boston 1985, pag. 58.
(337) Ibidem, pag. 59.
(338) La vicenda è ricordata da Horlock, "The New Terror Fear. Biological Weapons, Detecting an Attack is Only The First Problem", in US News and World Report,
12/05/1997, pag. 36.
(339) Dickey, "His Secret Weapon. Iraq: Saddam Has a Big Germ-Warfare Arsenal", in Newsweek, 04/09/1995, pag. 34.
(340) La vicenda, mai chiarita, delle "lettere all'antrace" indirizzate in primo luogo contro il Senato americano, appare plausibilmente un episodio della stessa saga, nel clima post-11 Settembre e nell'accanita concorrenza successiva per accaparrarsi i ricchi budget della "sicurezza contro il terrorismo", oltre che eventualmente evitare la formazione di una commissione d'inchiesta sugli "attacchi aerei". Già ai tempi dell'amministrazione Reagan, comunque, per far fronte ad un immaginario "gap batteriologico" con l'allora Unione Sovietica, il Dipartimento della Difesa era riuscito a far passare al Congresso gli investimenti sulla guerra biologica dai 15 milioni di dollari del 1981 ai 90 milioni del 1987 (valori in moneta dell'epoca).
(341) Leonard A. Cole, "The Specter of Biological Weapons", in Scientific American, dicembre 1996, pag. 92.
(342) A cura di Bruce Alberts, William A. Wulf, Making the Nation Safer: the Role of Science and Technology in Countering Terrorism, National Academy Press 2002.
(343) Nel Luglio del 2002, ad esempio, Eckard Wimmer dell'Università di New York annunciò di aver ricreato in laboratorio il virus della poliomelite utilizzando le basi di DNA e la mappa che aveva ottenuto su Internet (cfr. J. Cello, A.V. Paul e E. Wimmer in Science n. 207, 2002, pag. 1016). Certo la maggior parte della popolazione oggi è vaccinata, ma come nota Martin Rees [alias], Il secolo finale. Perché l'umanità rischia di autodistruggersi nei prossimi cento anni, op. cit., pag. 62, non sarebbe stato affatto più difficile creare una variante tale da rivelarsi infettiva e letale.
(344) Tale teoria, che era stata attribuita ora a "maniaci della cospirazione" (i cosiddetti conspiracy nuts) americani, ora all'Ufficio Disinformazione del KGB, ha avuto a suo tempo una discreta diffusione, ed era stata echeggiata nella seconda metà degli anni ottanta, sia pure in forma dubitativa, da Eléments, la rivista più "impegnata" e "politicizzata" della Nouvelle Droite francese. Per quello che ne sappiamo potrebbe anche essere vera. Certamente le misure di sicurezza dell'epoca non erano un granché, e del resto l'AIDS, sia pure a costi e rischi molto elevati, si è rilevato un meraviglioso strumento di controllo sociale per la classe dirigente americana, sia sulle minoranze interne che sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo.
(345) Un'alternativa, valida solo per i batteri, è la cosiddetta "guerra antibatteriologica", ovvero lo sviluppo di agenti patogeni che attaccano specificamente gli organismi portatori dell'epidemia, e in particolari di virus cosiddetti "batteriofagi", che sono attualmente oggetto di ricerca anche a scopi più generali, ad esempio medici od agricoli. Cfr. Paroma Basu, "The New Fage", in Technology Review 17/07/2001. Le conclusioni riguardo alla sorte di chi possiede e non possiede la tecnologia relativa comunque non cambiano.
(346) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, op. cit., pag. 50.
(347) Da Christopher Helman, "Charlotte's Goat", in Forbes, 19/02/2001.
(348) Annuncia tra gli altri la lieta novella Luca Sciortino, in "Il primo animale transgenico da compagnia", Le Scienze, Gennaio 2004, n. 425, pag. 24. Ma più recentemente pare che analoghi esperimenti a Taiwan abbiano condotto alla creazione di... maiali fluorescenti, che si ipotizza possano rilvarsi utile per studiare varie malattie data la facilità di individuare il materiale di provenienza da tali maiali, appunto fluorescente, senza esami invasivi. Vedi Lester Haines "Boffins breed fluorescent pig" in The Register, 12/02/2006.
(349) Ann Thayer, "Firms Boost Prospects for Transgenic Drugs", Chemical and Engineering News, 26/98/1996, pag. 23; Johannes, "Biotech Cow Is Created to Produce Drug", Wall Street Journal, 09/04/1997, pag. B1.
(350) Martha Groves, "Transgenic Livestock May Become Biotech's Cash Cow", Los Angeles Times, 01/05/1997, pag. A12.
(351) Smith et al., "How Genetics May Multiply the Bounty of the Sea", Business Week, 15/12/1985, pag. 94.
(352) Per una panoramica, risalente però ormai a quasi dieci anni fa, Holmes, "Blue Revolutionaries", New Scientist, Dicembre 1996, pag. 82. Da allora, il ritmo delle scoperte e delle applicazioni industriali è accelerato esponenzialmente.
(353) Esempi citati in Rick Weiss, "Mutant Bugs: Genetically Altered Heroes or Spineless Menaces?", Washington Post, 18/12/1995, pag. A3.
(354) Curiosamente, il creatore di Dolly, Ian Wilmut [alias], è un oppositore radicale della clonazione umana, ed ancor più dell'ingegneria genetica, che con la sua opera ha ampiamente contribuito ad avvicinare. Cfr. Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 6. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(355) Il primo annuncio della nascita di un clone umano è stato diffuso alla fine del 2002 da Clonaid, la società già citata vicina alla setta dei Raeliani, ma la sua credibilità è stata messa in discussione dopo che la setta ha deciso di non dare agli esperti accesso ad Eva, la bambina asseritamente clonata dalla madre (vedi "Clonazione, abbandona il 'garante' dei raeliani", Corriere della Sera 07/01/2003). Ulteriori annunci sono seguiti però da parte di personaggi meno folkloristici, come il genetista Panos Zavos del Kentucky, che riferisce di aver impiantato su una donna di trentacinque anni un embrione ottenuto mediante clonazione dalle cellule della pelle del marito sterile ("Annuncio choc: impiantato un embrione clonato", Corriere della Sera 17/01/2004). Nel frattempo, mentre molte legislazioni nazionali si affannano a mettere fuori legge la sperimentazione umana, sta diventanto banale, ed è entrata nella sua fase commerciale, la clonazione di singoli animali da compagnia, servizio di lusso, e tuttora molto costoso, che lavora sulla durata molto inferiore della vita di un gatto o di un cane rispetto a quella di un essere umano. Tale servizio, se non può ovviamente restituire alla sua padrona l'adorato Fido o o l'amato Fuffy può d'altronde fornire un gemello monozigote molto più giovane, contribuendo così alla realizzazione di come un clone non sia niente di particolarmente più mostruoso di un gemello. Anzi, pare stia nascendo un business relativo alla preservazione del DNA di "exceptional pets" per un'eventuale clonazione futura, cfr. il sito della Genetic Savings & Clone. Benché paia che numerosi animali clonati siano già in circolazione negli Stati Uniti, la prima conferma accademica di una clonazione canina riguarda Snuppy, prodotto da un'ormai famosa équipe coreana all'avanguardia anche nella ricerca sulle cellule staminali umane (vedi ad esempio Rick Weiss, "In a Furry First, A Dog Is Cloned In South Korea", in Washington Post, 04/08/2005; Rowan Hooper, "World’s first canine clone is revealed"). Benche la lobby mondiale anticlonazione, supportata tra l'altro in questo caso da chi non vede di buon occhio la leadership coreana nel settore, sia riuscita a coinvolgere Woo Suk Hwang e il suo gruppo in vari "scandali" (non ultimo, quello di aver usato, orrore!, le uova di alcuni membri femminili del team), la notizia è stata confermata (cfr. ad esempio Lester Haines, "Koreans did actually clone dog, panel declares", in The Register, 10/01/2006). Infine, il 19 Maggio 2005 viene rilasciata la conferma ufficiale che un'équipe di Newcastle e quella già citata di Seoul hanno contemporaneamente realizzato la clonazione "ufficiale" di embrioni umani ricavati da pazienti che sperano di potersi valere a scopo terapeutico delle relative cellule staminali (vedi ad esempio "Clonato un embrione umano in Inghilterra", in Il Corriere della sera, 20/05/2005).
(356) Gina Kolata, "Lab Yields Lamb with Human Gene", New York Times, 25/07/1997, pag. A18
(357) Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, op. cit., pag. 124.
(358) Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, pag. 128.
(359) Leon R. Kass, Life, Liberty, and the Defense of Dignity: The Challenge for Bioethics, Encounter Books., San Francisco 2002.
(360) "Il bioetico cattolico", intervista a cura di Franca Porciani in Il Corriere della Sera, art. cit.
(361) Cfr. la United Nations Declaration on Human Cloning. E' importante rilevare che se la dichiarazione dell'ONU è intitolata alla clonazione umana, o la legge Cè (parimenti qui riportata in calce) alla "procreazione medicalmente assistita", entrambe si occupano anche di tutt'altro, e di questioni di portata molto più generale anche se meno immediata, dall'eugenetica alla manipolazione della linea germinale.
(362) Testualmente riportato da Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, op. cit., pag. 140.
(363) Ibidem.
(364) Rahul K. Dhanda, Guiding Icarus : Merging Bioethics with Corporate Interests, Wiley-Liss 2002.
(365) Bill McKibben, Enough : Staying Human in an Engineered Age, ult. ed. Owl Books, 2004. Interessanti (e convergenti nelle conclusioni, sia pure da una prospettiva opposta, con quanto sostenuto nel presente saggio) sono anche le opere precedenti dell'autore, ed in particolare The End of Nature, che pure risale al 1987 (ult. ed. Anchor, 1997).
(366) Ramez Naam, More than Human. Embracing the Promise of Biological Enhancement, op. cit. [sito collegato], pag. 227.
(367) Scandalo ha d'altronde sollevato l'ipotesi recenti che differenti razze umane presentino gradi di compatibilità diversi con organi provenienti da specie diverse: in particolare secondo alcuni ricercatori americani i negroidi con le scimmie superiori e i "caucasici" (gli europoidi) con il maiale. Cfr. Le Scienze, Marzo 2004, n. 427, pag. 32. La riuscita clonazione di embrioni umani a scopo terapeutico toglie però appunto importanza alla questione: l'ideale resta sempre un organo clonato dal paziente stesso...
(368) Cfr. Hervé Kempf, La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, op. cit., pag. 30. Vedi anche Lucy Sherriff, "Scientists hail stem cell breakthrough", in The Register 20/05/2005 (anche se i risultati saranno successivamente ridimensionati).
(369) Citato da Harriet Swaine (ed.), The Big Questions in Science, Jonathan Cape, Londra 2002, pagg. 159 e segg.
(370) Richiama l'ipotesi, tra gli altri, Martin Rees [alias], Il secolo finale. Perché l'umanità rischia di autodistruggersi nei prossimi cento anni, op.cit., pag. 23. Il tema è d'altronde particolarmente trattato da Ray Kurzweil, in The Age of the Spiritual Machines, op. cit., The Singularity Is Near. When Human Transcend Biology, op. cit. [sito collegato], e soprattutto Fantastic Voyage. Live Long Enough to Live Forever, Rodale Books, New York 2004 [sito collegato]. Secondo l'autore, una persona già oggi vivente che fosse davvero motivata avrebbe almeno qualche chance di estendere la sua esistenza attraverso quelli che definisce i tre "ponti". Il primo, basato, sull'attuale migliore conoscenza della biochimica e del metabolismo umani, nonché dall'integrazione tra la prevenzione e le medicine alternative, avrebbe come meta quella di conservare il soggetto in discreta forma per i prossimi trenta o quarant'anni, più che sufficienti per consentire l'affermazione delle terapie anti-invecchiamento basate sulle cellule staminali, sull'intervento genetico e, se necessario, sul trapianto di organi clonati. A sua volta, tale secondo ponte dovrebbe consentire facilmente di guadagnare ulteriori venti o trent'anni utili al perfezionamento della riparazione e ripristino dei tessuti e degli organi (o il loro miglioramento) tramite la nanotecnologia. Quest'ultima infine rappresenterebbe il terzo ponte in grado di mantenere in vita l'interessato sino al momento in cui non gli diventi possibile realizzare "copie di sicurezza" di se stesso, o trasferirsi su altri "supporti", biologici, digitali e misti, eventualmente anche virtuali e "distribuiti, a piacere.
(371) Sandra Blakeslee, "Brain Signals Shown to Move a Robot Arm", in New York Times, 16/11/2000, pag. A20.
(372) Anne Eisemberg, "A Chip Mimicking Neurons Firing Up the Memory", in New York Times, 20/06/2002, pag. A7.
(373) C.Q. Maquire, "Implantable Brain Chips? Time for Debate", in Hastings Center Report, 01/01/1999.
(374) Hervé Kempf, La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, op. cit., pag. 144.
(375) Gregory Stock [alias] (cfr. Redesigning Humans, op. cit., pag. 19 e segg., trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005), in contrasto con le visioni già più volte citate di Ray Kurzweil, ritiene d'altra parte molto improbabile che la tendenza sia verso una trasformazione degli uomini in cyborg, e la sostituzione o integrazione di organi sani con organi "meccanici", e riprende la distinzione di Alexander Chislenko tra il cyborg, che inclusw stabilmente le macchine nel proprio corpo, e il fyborg (o functional cyborg), in cui tale fusione non è fisica, ma funzionale. Chi si farebbe sostituire gli arti inferiori con protesi in grado di correre a cinquanta chilometri all'ora quando una motocicletta ottiene facilmente lo stesso scopo? Perché impiantare nella cornea un visore agli infrarossi, quanto un visore esterno è parimenti efficace in termini di visione notturna? A che scopo ricorrere ad una qualche rudimentale interfaccia neuronale, quando i nostri sensi sono stati affinati come meccanismo di input e programmazione cerebrale da milioni di anni di evoluzione? D'altronde, una otturazione dentaria o un'anca artificiale sono certamente preferibili ad una dentiera e a una stampella. In via generale, però, il principale rivale della tecnica relativamente rozza dell'incremento umano o animale tramite l'incorporazione di dispositivi artificiali è esattamente l'ottenimento degli stessi risultati attraverso una modifica della nostra biologia. Così, il trend che si disegna va molto più nel senso di rimpiazzare le macchine con sistemi biologici, o misti, o che simulino alcune caratteristiche degli organismi viventi, che nel senso di incorporare stabilmente dispositivi artificiali nel corpo degli uomini e di altri esseri viventi. La cosa d'altronde non è assolutamente sicura: la penetrazione esplosiva della chirurgia estetica addittiva o della cosiddetta body modification, dalle unghie e capelli artificiali per arrivare agli impianti sottocutanei, ai tatuaggi alle marchiature a fuoco al piercing (che del resto espandono tradizioni molto antiche) lascia pensare che la modificazione estetica e funzionale del corpo sano anche con elementi non-biologici incontra in fondo resistenze meno forti di quanto immaginabile, almeno in alcuni strati della popolazione. La distinzione è inoltre destinata a scomparire al limite se la nanotecnologia dovesse davvero acquisire la capacità di sostituire, riparare, costruire o rimpiazzare ogni singola cellula e tessuto del corpo umano molecola per molecola (cfr. Josh Storrs Hall, Nanofuture: What's Next For Nanotechnology, Prometheus Books, 2005).
(376) Rodney Brooks, "The Merger of Flesh and Machines", in John Brockman, The Next Fifty Years, op. cit., pag. 186.
(377) Citato in Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality , op. cit., pag. 231. Uno dei fondatori della Sun Microsystems, Bill Joy, ha d'altronde assunto in un famoso articolo ("Why the future doesn't need us", in<b class="small"><a href="http://www.amazon.fr/exec/obidos/tg/browse/-/603020/18/ref=br_lpsp_pg/403-1370053-3763628?">18</a></b> Wired, Aprile 2000) una posizione del tutto opposta. Joy condivide le posizioni di Kurzweil e Moravec in materia di "GNR" (genetica, nanotecnologia, robotica), ma proprio per questo ritiene che i governi debbano forzare quello che chiama eufemisticamente "relinquishment", ovvero non solo l'abbandono di ogni idea di utilizzarle, ma la «limitazione dello sviluppo di tecnologie che sono troppo pericolose, attraverso la limitazione del nostro perseguimento di certi tipi di conoscenza» mediante una regolamentazione intrusiva, preventiva e ferreamente centralizzata, da affidare innanzitutto al governo federale americano (!). Ciò che è singolare di tali posizioni è che le stesse siano state propagandate su una rivista che si occupa di tecnologia, da parte di un imprenditore già attivo in una delle più grandi società di informatica del mondo.
(378) Rick Weiss, "Human Cromosome Transplanted into Mice", Washington Post, 30/05/1997, pag. A1.
(379) Rick Weiss, "Artificial Human Cromosome That Replicates Developed in Lab", Washington Post, 01/04/1997, pag. A1.
(380) Tale tecnica può sembrare esoterica, ma viene ipotizzato che i virus siano o siano stati responsabili anche in natura di un certo grado di scambio genetico tra specie tra loro non diversamente apparentate (per definizione non sessualmente interfeconde), e che tale fenomeno abbia svolto un ruolo significativo nel processo evolutivo.
(381) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, op. cit., pag. 62. Ricordiamo che il libro è stato scritto nel 1998!
(382) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 76. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(383) In particolare e tra l'altro per la sindrome di Down, la fibrosi cistica, la corea di Huntington [alias], la sindrome di Tay-Sachs e l'anemia falciforme.
(384) Il convegno, intitolato "Engineering the Human Germline" è stato organizzato il 20 Marzo 1998 dal Program on Science, Technology and Society, sotto gli auspici dello UCLA Center for the Study of Evolution and the Origin of Life, che ne ha anche pubblicato il Summary Report nel giugno successivo.
(385) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 12. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(386) Daryl Macer et al., "International Perceptions and Approval of Gene Therapy", in Human Gene Therapy n. 6, pagg. 791-803. E' difficile, quanto alla distribuzione "polare" di Israele ed India, sfuggire alla conclusione di un'influenza significativa del contesto culturale e religioso dei due paesi, il secondo tuttora dominato da un politeismo di sia pure lontana matrice indoeuropea, e dalla visione dell'uomo che tale contesto determina. Uno studio comparativo tra USA e India riguardo le percentuali di approvazione delle tecniche di ingegneria genetica sull'uomo, con risultati del tutto analoghi a favore della seconda, pure paese certamente più "tradizionalista" e "religioso" del primo secondo le grossolane categorie illuministe, è quello del 2002 di Johns Hopkins Genetic and Public Policy Center e Princeton Survey Research Associates, Public Awareness and Attitudes about Reproductive Genetic Technology. Anche sotto questo profilo, pare che eventuali, velleitari divieti negli USA e per estensione in Europa occidentale avranno ben poco effetto sullo sviluppo delle tecniche in questione e sulla loro adozione da parte di vasti settori dell'umanità.
(387) Ramez Naam, More than Human. Embracing the Promise of Biological Enhancement, op. cit. [sito collegato], pag. 39. Il panorama della società attuale disegna del resto una totale schizofrenia riguardo il rapporto tra "sicurezza" e "risultati". Se abbiamo già rilevato che l'atteggiamento paranoide riguardo la sperimentazione umana ha radici ideologiche rispetto a cui le stesse ossessive preoccupazioni per la "sicurezza" (per cui oggi per portare un nuovo principio attivo sul banco di una farmacia è necessario più di un lustro e un investimento di almeno venti milioni di dollari) risultano secondarie, capita d'altronde che secondo quando riferisce Bill McKibben (in Enough : Staying Human in an Engineered Age, op. cit., pag. 4) in un sondaggio condotto tra le squadre olimpiche su chi sarebbe stato disposto ad assumere un farmaco che conducesse a morte sicura, ma dopo cinque anni di vittorie consecutive senza rischi di squalifica, il cinquanta per cento (!) degli intervistati ha risposto che sarebbe stato tentato.
(388) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 130. 
(389) Quelle cioè che mirano ad inserire geni determinati, ad esempio necessari alla produzione di un particolare enzima, nelle cellule di un individuo adulto. Tali inserzioni non hanno ovviamente alcuna conseguenza sulla discendenza del paziente, ma risultano particolarmente difficili in connessione alla necessità di trovare metodi utili a mirare e raggiungere specificamente i tessuti o gli organi interessati, e a modificarne in sostanza il funzionamento attivando in luogo i geni stessi. D'altronde, un altro campo di ricerca che nessuno oserebbe vietare e che non può non avere ricadute pressoché immediate sull'uomo è quello che riguarda i già discussi interventi sulla linea germinale degli altri mammiferi, e degli animali superiori in generale.
(390) La galleria degli orrori di origine genetica, e non prodotti da qualche oscura combinazione di centinaia di fattori e magari dalla loro interazione con fattori ambientali, ma che sappiamo risultanti in modo del tutto deterministico da un singolo gene aberrante e di cui è stato interamente chiarito il meccanismo, è molto vasta. Ricordiamo, in aggiunta a quanto discusso nel capitolo sul rischio disgenico, la sindrome di Lesch-Nyhan [alias] (il "bambino-lupo"), che conduce al ritardo mentale ed all'automutilazione, la sindrome di Tay-Sachs, che porta con sé la degenerazione neurale e la morte nella prima infanzia, e quella di Werner, che comporta un invecchiamento rapidissimo ed irreversibile dei bambini affetti.
(391) E ancora: «Il grado dell'apertura della popolazione alle terapie somatiche è reso evidente dallo studio di Michael Blaese sui test di terapia genetica tra i bambini Amish [alias] con la sindrome di Krigler-Najjar, una malattia potenzialmente fatale in cui l'enzima del fegato che scinde la bilorubina, un prodotto del ciclo dei globuli rossi, è mancante. Nessun gruppo è più cauto degli Amish nell'abbracciare nuove tecnologie, ma benché essi possano mettere al bando televisori ed automobili e fare uso di cavalli e calessi, non hanno esitato a dare il benvenuto alle possibilità della terapia genetica» (Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 39, trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005). Vedi anche Denise Grady, "At Gene Therapy's Frontier, the Amish Build a Clinic", in The New Your Times, 29/06/1999.
(392) Entrambe le citazioni sono riportate da Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, op. cit., pag. 244.
(393) In effetti, in coincidenza con la rivoluzione biotecnologica ed informatica, per la prima volta le scienze cognitive e la neuropsicologia si stanno davvero avvicinando ad integrare e verificare le nostre millenarie nozioni empiriche in materia di percezione, apprendimento, addestramento, memorizzazione, etc. Ciò appare tra l'altro funzionale ad una comprensione più profonda e ripetibile delle tecniche che consentono di oltrepassare i limiti "ordinari" della psicologia e fisiologia umana, e/o attivare stati alterati di coscienza, dall'ipnosi all'esperienza Zen e Ch'an al Tantra allo Yoga per arrivare alle trances marziali o mistiche o alle capacità degli "idiots savants" ben note anche alla tradizione europea. Tali acquisizioni convergono con il portato della già citata "programmazione neuro-linguistica", dell'etologia umana, della linguistica moderna, della psicologia applicata, nel disegnare un ulteriore vettore nel salto di qualità relativo al "potere dell'uomo su se stesso" che costituisce l'essenza stessa del possibile avvento del "terzo uomo" discusso in questo saggio.
(394) Vedi tra gli altri "Annuncio choc dagli Stati Uniti: 'Ecco la vita in laboratorio'. Il progetto è di creare un organismo artificiale in grado di sopravvivere e riprodursi", La Repubblica, 21/11/2002; Luigi Dell'Aglio, "Il microbo di Faust. Craig Venter annuncia: dopo la decifrazione del Dna stiamo puntando a produrre un microorganismo in laboratorio" in Avvenire, 22/11/2002; "Craig Venter will 'neue Form von Leben' erzeugen", in 3sat, 25/11/2002.
(395) Secondo la suddetta obiezione, le caratteristiche e l'anamnesi familiare dei genitori di Beethoven avrebbero loro sconsigliato di procreare secondo qualsiasi ragionevole conclusione empirica applicabile all'epoca, comportando l'irrimediabile perdita dell'opera del compositore per le generazioni future.
(396) Hervé Kempf, La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, op. cit., pag. 236.
(397) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 63. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(398) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 135. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(399) Brian Alexander, Rapture: How Biotech Became the New Religion. A Raucous Tour of Cloning, Transhumanism, and the New Era of Immortality, op. cit., pag. 149.
(400) Nota Gregory Stock [alias]: «La maggiorparte delle obiezioni etiche sono state polverizzate da un milione di bambini IVF [in-vitro fecondation] e da duemila bambini PGD (pre-implantion genetic diagnosis)» (in Redesigning Humans, op. cit., pag. 54). Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(401) Persino il cattolicissimo metodo Ogino-Knaus mantiene una qualche efficacia, almeno statistica, ed il suo "costo" soggettivo non eccede quello di pochi giorni di astinenza al mese in coincidenza con il periodo dell'ovulazione femminile, periodo del resto identificabile oggi con vari metodi di discreta accuratezza e praticità, ivi compreso per favorire, anziché prevenire, il concepimento (pratica quest'ultima reputata invece immorale, per ragioni non chiare).