Biopolitica. Il nuovo paradigma
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OGM
ed altri mostri
In
attesa di tali rivoluzionari sviluppi, è anche assolutamente
vero che conosciamo pochissimo sugli effetti imprevisti ed
indesiderati delle modificazioni genetiche già attuate
nell'agricoltura "normale", in particolare per ciò
che concerne gli alimenti, con riguardo alla salute dei consumatori.
Le
questioni in materia di OGM ("organismi geneticamente
modificati") sono comunque radicalmente mal poste, a partire
dalla polemica che vede insieme opposti gli Stati Uniti (principali
produttori di OGM) e i paesi "in via di sviluppo"
(principali consumatori, almeno potenziali) all'Unione Europea,
serrata dai patti GATT sulla globalizzazione dei commerci, riguardo
ai rischi degli stessi per i consumatori ().
Se
è per questo, infatti, non sappiamo molto neppure sugli
effetti a lungo termine delle sostanze chimiche utilizzate in
agricoltura o dall'industria alimentare.
Anzi,
in effetti, solo oggi cominciamo ad avere un'idea dei contenuti
nutritivi e tossici delle stesse pochissime varietà vegetali
"naturali" utilizzate a fini alimentari, e di una parte di
quelle invece deliberatamente ibridate e selezionate che sono da
sempre utilizzate in agricoltura; ma tuttora il numero di
composti che esse contengono, nonché gli effetti a medio-lungo
termine di una loro ingestione a scopi alimentari, restano incerti e
oggetto di dibattito, così come le differenze al riguardo
legate alle diverse varietà disponibili. Ai difensori anti-OGM
dell'agricoltura "tradizionale" gioverebbe ricordare come
la medesima agricoltura tradizionale in realtà si sia sempre
basata su null'altro che l'empirismo del "ciò che non
uccide ingrassa" ().
Neppure
sappiamo che succede a mangiare animali che sono stati allevati a
mangimi transgenici, o del resto nemmeno con alimenti molto più
tradizionali, quali quelli ricavati dalle carcasse, per nulla
transgeniche, cui è (presumibilmente) attribuibile la
diffusione della sindrome
della "mucca pazza" ().
Altrettanto poco sappiamo cosa succede con l'assunzione di farmaci
derivati da organismi transgenici, pacificamente diffusi anche in
Europa.
Ed
è probabile che continueremo a saperne meno di quanto sarebbe
possibile, ed auspicabile, sinché la rivoluzione biologica in
questione sarà governata dalle prospettive di profitto
immediato della società per azioni coinvolta, o peggio
dall'andamento dei suoi titolo in borsa nel corso della settimana
successiva ();
o sino che addirittura ogni ricerca al riguardo sarà, come in
Europa, scoraggiata o vietata.
In
realtà, la maggior parte degli alimenti di origine vegetale
provengono da millenni da versioni "geneticamente modificate"
di varietà selvatiche, realizzate in particolare attraverso
ibridazioni di specie non naturalmente interfeconde, innesti,
mutazioni provocate, selezioni orientate, clonazioni tramite talea,
etc. Negli stessi Stati Uniti, dove sono più forti non solo la lobby
agricolo-industriale ma anche il pregiudizio ideologico
avverso a queste pratiche (),
la soglia di attenzione resta semmai particolarmente elevata per le
nuove tecniche, e in fin dei conti, come nota Bernard Schwetz,
«quando si ha a che
fare con colture biotech, sono giusto uno o due geni ad essere
cambiati nella struttura della pianta, con l'ibridazione vi sono
molti più geni coinvolti e certamente più incertezze
sul risultato» ().
Le
principali differenze degli "OGM moderni" sono due, e
nessuna delle due ha direttamente a che fare con la salute di chi se
ne nutre: la prima, il fatto che la modifica al corredo genetico
della pianta avviene attraverso il trapianto diretto di porzioni di
DNA; la seconda, che viene oggi riconosciuta un'esclusiva ventennale
e soprattutto internazionale a chi le sviluppa, attraverso un titolo
brevettuale.
Ha
così perfettamente ragione Enzo
Caprioli quando scrive: «Per assumere adeguate posizioni
[riguardo agli OGM] non occorre e non basta sapere tutto di genetica,
occorre invece riconoscersi in una visione del mondo che sappia dare
alle cose il loro giusto valore e ai valori il loro giusto
riconoscimento» ().
Resta però ancora da capire quali comportamenti pratici
immediati tali valori debbano in effetti dettare, e comunque che
sorte possa attendere chi non disponga delle relative
tecnologie – tenuto anche conto che specie geneticamente modificate
possono comunque liberare materiale genetico nella biosfera, senza
alcun riguardo per le frontiere nazionali e le normative locali. E
qui esiste effettivamente un aspetto politico nel senso più
immediato del termine. Il problema non è infatti l'utilizzo in
sé degli OGM in agricoltura, che sono pericolosi o meno come
qualsiasi altra varietà vegetale commestibile o velenosa
"naturale", ma chi oggi detiene (o meglio, riesce a
farsi legalmente tutelare) posizioni oligopolistiche, privative e
segreti industriali al riguardo. Già nel 2002, infatti,
più di un quinto dell'area coltivata nel mondo a granoturco,
soia, cotone o cannella era già occupata da varietà
transgeniche, con un aumento da cinque a sei milioni dei coltivatori
che in sedici nazioni piantavano tali varietà rispetto
all'anno precedente; e il processo sta accelerando (),
checché ne pensi un ministro italiano come Alemanno,
che pare quasi sorpreso di poter assumere una posizione che risulta
in qualche modo connotata in un senso che la sua parte politica
ingenuamente considera "nazionalista" o "tradizionalista"
o "europeista", ma i cui esiti finali appaiono
profondamente incerti.
Nota
al riguardo Rifkin:
«Le prime dieci industrie agrochimiche, tutte multinazionali
amministrate dagli USA, nel 1996 controllavano già l'81% dei
29 miliardi di dollari del mercato agrochimico. Le prime dieci
industrie farmaceutiche controllano il 47% dei 197 miliardi di
dollari del mercato farmaceutico. Similmente, dieci aziende
multinazionali controllano oggi il 43% dei 15 miliardi di dollari del
mercato farmaceutico veterinario. Al top della lista ci sono dieci
compagnie alimentari internazionali i cui guadagni superavano di gran
lunga i 211 miliardi di dollari nel 1995. [...] Alcune delle più
grandi società operanti nel campo delle scienze della vita si
stanno posizionando strategicamente al fine di controllare la maggior
parte del mercato bioindustriale globale nel secolo [oggi appena
iniziato]. La Novartis,
un gigante mondale risultato dalla fusione della farmaceutica Sandoz
e dell'agrochimica Ciba-Geigy, è un esempio tipico di
concentrazione industriale della nuova era. La Novartis risulta oggi
la più grande società agrochimica del mondo, la seconda
nel campo delle sementi, e la quarta nel campo dei prodotti
veterinari. Sta inoltre accampando diritti nel nuovo settore della
genetica umana. Nel 1995 la Sandoz, poi confluita nella Novartis,
aveva comprato la Genetic Therapy Inc. per 295 milioni di dollari,
ditta che detiene il brevetto sulla tecnica usata per espiantare
cellule da un paziente, modificarne la struttura genetica e
reimpiantarle nel paziente. [...] La Monsanto ha acquistato la Holden Foundation Seeds nel 1997 per 1,2 miliardi di
dollari. Più del 35% delle piantagioni di mais degli Stati
Uniti deriva dal germoplasma sviluppato dalla Holden. La Monsanto
detiene inoltre il 40% della quota di una seconda grande industria di
sementi, la DeKalb.
Le recenti acquisizioni includono la Asgrow,
industria leader nella soia, la Agracetus e la Calgene, due ditte di biotecnologia agricola di notevole
levatura. La Dow
Elanco ha acquistato il 65% del capitale della Microgen,
una società con un numero di brevetti di potenziale valore in
campo agricolo. La DuPont, quinta ditta agrochimica del mondo, ha
acquistato nel 1997, per 1,7 miliardi di dollari, il 20% della Pioneer Hi-Bred,
l'industria di sementi più grande del mondo. La DuPont ha
inoltre acquisito la Protein Technology International dalla Alston
Purina per 1,5 miliardi di dollari».
E'
facile tirare le conclusioni di questa situazione, che dall'epoca del
quadro di Rifkin si è ulteriormente e notevolmente evoluta
nella direzione indicata. E il fatto che l'interesse in materia di
OGM non rappresenti un'esclusiva delle multinazionali, ma di chiunque
si renda conto dello scontro di potere che va delineandosi con
riguardo alla detenzione delle relative tecnologie, è
attestato dalla posizione di relativa avanguardia della Cina, per non
parlare della Cuba di Fidel Castro, che sta investendo in questo
campo buona parte delle sue (scarse) risorse, e ha da tempo
costituito un Centro
di Ingegneria Genetica e Biotecnologia all'Avana ().
In
questo quadro, per la discussione sugli OGM non ha alcuna
importanza se e quali varietà attuali mantengano le
promesse, se questa o quella ricerca darà esito positivo, se
gli OGM siano sempre e davvero economicamente più vantaggiosi
delle varietà non modificate, se questo o quel prodotto sarà
rifiutato dai consumatori, etc. Ciò che è impossibile,
o non funziona, o è economicamente sconveniente, o fallisce, o
è organoletticamente sgradevole, non ha ovviamente bisogno di
essere vietato ().
Ciò che crea un potenziale problema è invece tutto
quello che alla fine successo ce l'abbia, e si riveli
drasticamente competitivo da un punto di vista economico (e
biologico!), condizionando l'indipendenza agricola e le stesse
prospettive di autosufficienza alimentare dei paesi e delle aree
coinvolte ().
La
preoccupazione per l'impoverimento genetico connesso alla spinta
verso la monocultura generata dal mercato (per altro da secoli) è
legittima, così come quella per il fatto che le società
menzionate stanno liberando nella biosfera migliaia di nuove specie,
alterate geneticamente, con conseguenze ecologiche imprevedibili. Ma
tutto ciò sta già succedendo, e non sarà
certo sufficiente l'introduzione di una nuova forma di
proibizionismo, foss'anche su scala continentale, a impedirlo. Solo
maggiori investimenti europei, da un lato nella preservazione delle
varietà naturali ancora disponibili e nel loro incremento,
dall'altro in una ricerca concorrenziale con quella statunitense, possono limitare tali rischi.
Più
immediati ancora sono gli spostamenti di potere che ciò
comporta. Mentre come abbiamo visto non esiste alcuna garanzia che
effettivamente non avvenga scambio genetico al di fuori dei territori
coltivati con specie transgeniche (ivi compresi con le coltivazioni
pretesamente naturali o addirittura "biologiche", e con le
specie selvatiche), le pur legittime preoccupazioni per la sicurezza
convergono purtroppo... con l'interesse economico delle società
in questione a rendere naturalmente non-riproducibili le varietà
vegetali commercializzate, nell'attribuire alle multinazionali in
questione un monopolio di fatto nell'economia globalizzata, che tende
a rendere definitiva la dipendenza economica dal Sistema dei singoli
paesi e spazi continentali asserviti ().
Ciò
si aggancia con la questione della proprietà industriale sui
portati delle biotecnologie. Rileva ancora Rifkin:
«La restrizione commerciale sui semi del mondo è
avvenuta in poco meno di un secolo. Appena un secolo fa, centinaia di
milioni di contadini sparsi in tutto il pianeta controllavano i
propri rifornimenti di semi, commercializzandoli liberamente tra i
propri amici e vicini. Oggi, quasi tutti i rifornimenti delle sementi
sono stati comprati, manipolati e brevettati dalle società
attive nel settore e considerati come proprietà intellettuale»
().
A loro volta, tali sementi tendono ad essere le uniche compatibili
con i prodotti (diserbanti, insetticidi, concimi,...) fabbricati
dalla medesima società, e con gli equilibri ecologici
modificati dall'utilizzo intensivo di tali prodotti, così che
l'area e la stessa possibilità economica dell'agricoltura
tradizionale ne viene progressivamente ristretta, prima ancora di
ritrovarsi fuori mercato non appena esposta alla concorrenza dei
nuovi metodi integrati.
La
questione della proprietà intellettuale sulla biotecnologia
non può d'altronde essere risolta facilmente, se non nel
quadro di soluzioni radicali e di drastica rottura. Se il
riconoscimento di un monopolio brevettuale consente ad un pugno di
multinazionali di rafforzare il proprio potere su risorse essenziali
a qualsiasi ipotesi di indipendenza politica, lo stesso monopolio
brevettuale è anche quello che risulta necessario, almeno da
parte del settore privato ed in un regime economico liberale, per
consentire il finanziamento locale delle ricerche utili a combattere
tale potere, in particolare attraverso una disponibilità
indipendente delle conoscenze e delle tecnologie coinvolte. In altri
termini, alcuni tipi di ricerca possono essere finanziati a livello
privato solo ove il finanziatore abbia la certezza di poter godere
in esclusiva i relativi risultati per un consistente lasso di tempo.
L'accanita
resistenza "ideologica" del parlamento europeo ai brevetti
biotecnologici ,
ha in questo senso svolto un ruolo profondamente ambiguo, nella
misura in cui ha anche pregiudicato la capacità dell'industria
europea di finanziare (attraverso l'aspettativa dei ritorni generati
dal periodo di monopolio garantito dal brevetto) programmi di ricerca
concorrenziali con quelli delle grandi multinazionali americane. Ciò
è tanto più grave in mancanza di qualsiasi tutela
nazionale della "materia prima" rappresentata dal materiale
genetico autoctono (rappresentato dalle varietà locali,
domestiche e selvatiche, per lo più predate nei paesi in via
di sviluppo, specie equatoriali, ma che è ovviamente presente
anche in Europa) ();
e nel quadro di un'integrazione mondialista nel "sistema
economico della globalizzazione incondizionata", portato ad
ulteriori conseguenze dall'Uruguay
Round dell'Accordo Generale sulle Tariffe e sugli Scambi (GATT).
Perciò,
per chi fa dell'Europa la propria comunità di riferimento, il
problema non può certo essere risolto limitandosi a tentare
velleitariamente di ritardare (del resto, solo per i prodotti
alimentari) la messa in commercio nell'Unione Europea dei derivati di
organismi geneticamente modificati altrui, o ritardare la produzione
locale degli stessi, ma solo tentando di raggiungere un livello
tecnologico autonomo in tale settore che sia equivalente e superiore a quello americano, cosa indispensabile non solo con riguardo
ad una "concorrenzialità" nell'ambito di un sistema
globalizzato (che si può ritenere comunque da superare ed
abbattere), ma in termini di indipendenza, sovranità,
e addirittura in termini di protezione, per quanto possibile, dagli esiti potenzialmente
catastrofici del dispiegarsi puramente mercantilistico delle
biotecnologie ().
Solo in tale contesto, che a questo stadio dovrebbe necessariamente
prevedere un'incentivazione ed agevolazione della ricerca europea, la
deliberata creazione di cartelli pubblici o sotto stretto controllo
pubblico, ed accordi diretti con il Terzo Mondo per lo sfruttamento
congiunto ed esclusivo del pool genetico delle rispettive ecosfere,
può avere senso un protezionismo semi-autarchico in contrasto,
ad esempio, alla diffusione di metodi di agricoltura integrata che
sfuggano dal controllo politico ed economico della comunità di
riferimento; o ancora può prendere significato l'adozione di
politiche di licenza obbligatoria quanto a tecnologie e trovati in
mani estere la cui disponibilità si riveli necessaria per
l'economia nazionale/europea.
Il
controllo delle tecnologie in questione appare cruciale anche al di
fuori di una prospettiva "concorrenziale", o quale garanzia
di effettiva sovranità dei paesi coinvolti, e riveste
significato in termini di tutela del territorio e della comunità
di riferimento in una chiave che trascende del tutto i pur opportuni
controlli e cautele in materia di organismi geneticamente modificati,
o la capacità di "combattere il fuoco con il fuoco"
in caso di sviluppi incontrollati e distruttivi di questi ultimi. In
realtà, infatti, l'inquinamento genetico è un rischio
presente da sempre, e con cui l'Europa fa purtroppo i conti da
secoli, ben prima che la biotecnologia si affacciasse all'orizzonte.
Quando
gli europei riportarono dall'oriente nuove spezie e fibre tessili,
introdussero in Europa anche un pacchettino di geni chiamato Yersinia
pestis. L'Y.
pestis a sua volta si spostò
in un altro pacchetto di geni appartenente ad un organismo della
famiglia Siphonaptera comunemente noto come pulce. Questo a sua volta fece il giro
dell'Italia e dell'Europa in groppa ad un altro pacchetto di geni di
varie specie di ratto. Tale "inquinamento genetico", ben
prima che Crick [alias, alias]
e Watson scoprissero il DNA, condusse all'esplosione di quella che è
nota come peste bubbonica, o anche "morte nera", che in
quattro anni sterminò un terzo dell'intera
popolazione europea dell'epoca.
Similmente,
se oggi chiedessimo ad un biologo americano di indicare le quattro
peggiori infestazioni per vegetali, insetti ed altri animali, è
probabile che lo stesso citerebbe il kudzu,
le "api
assassine"
africanizzate, e i ratti ().
Nessuna di queste specie è nativa del nordamerica.
Il
kudzu fu portato negli Stati Uniti nel 1876 come dono del governo
giapponese. Durante la Grande Depressione il Soil Conservation Office
promosse la pianta per controllare l'erosione. I contadini venivano pagati per seminare
quest'erba. Ora copre circa sette milioni di acri nella parte
meridionale del paese, e spazza via qualsiasi pianta osi crescere sul
suo percorso. Il ratto norvegese è arrivato quasi certamente
sulle navi. Ma la storia dell'"ape assassina" è la
più interessante, perché mostra i rischi inerenti alle
tradizionali pratiche di selezione ed ibridazione che oggi gli OGM
vanno in parte a rimpiazzare. Alcuni allevatori brasiliani di api
tentarono in effetti di combinare l'"intraprendenza" e la
resistenza delle api africane con la produttività delle
varietà europee. Al contrario, ottennero api super-aggressive
che consumano il miele alla stessa velocità con cui lo
producono, non lasciando niente da raccogliere agli allevatori. Gli
insetti poi cominciarono un viaggio verso nord che produce ogni anno
dozzine di vittime umane, e che mette in pericolo l'apicoltura in
tutti gli
USA, dato che gli stessi soverchiano e schiacciano
rapidamente le più mansuete api da miele tradizionali.
Ugualmente, il flagello dei ratti trae origine dalla Norvegia, e tali
animali sono sono sbarcati in America dalle navi insieme con gli
immigranti europei.
Uno
studio federale su settantanove specie nocive negli Stati Uniti
calcola il danno arrecato da questi immigranti indesiderati in circa
novantasei miliardi di dollari, mentre un articolo apparso nel 1998
su Bioscience calcola i costi relativi in centotrentasei miliardi di dollari
all'anno. Neppure un dollaro ha qualcosa a che fare con
specie transgeniche (),
e diventa sempre più evidente che è il diretto
controllo della biologia del territorio l'unica risorsa in grado di
garantire davvero la sicurezza nazionale al riguardo a qualsiasi
paese.
D'altro
canto, le illusioni che sia semplicemente possibile "tenere il
diavolo biotecnologico fuori dalla porta" sono, ancor più
che nel caso della proliferazione nucleare, destinate a breve durata.
Per chi non sia convinto di ciò con riguardo al caso già
discusso dell'agricoltura, basti pensare all'aspetto, sempre
decisivo, della tecnologia militare.
Alcune
applicazioni, tipicamente quelle rese pubbliche, sembrano abbastanza
innocenti. Per esempio, l'esercito americano sta inserendo in alcuni
batteri vari geni artificiali simili a quelli responsabili nei ragni
tessitori della produzione della ragnatela: capita infatti che il
filo di ragno sia una delle più robuste fibre esistenti a
parità di peso. Gli scienziati sperano di utilizzare i batteri
per produrne quantità arbitrarie secondo specifiche variabili,
in modo da poterlo adibire a vari utilizzi, dall'ingegneria
aerospaziale alle protezioni fisiche dei soldati impegnati in
operazioni sul campo ()).
come è ovvio con particolari ripercussioni sull'efficienza
degli stessi in scenari "antiterrorismo", o di occupazione
e controguerriglia.
Altre
ricerche sono molto più minacciose. Le medesime banche dati e
tecnologie sviluppate per l'ingegneria genetica commerciale nel campo
dell'agricoltura, dell'allevamento e della medicina è
facilmente convertibile, ed è certamente già
utilizzata, per lo sviluppo di una vasta serie di nuovi agenti
patogeni che possano attaccare le piante, gli animali e gli uomini.
La
guerra biologica, come noto, è quella che implica l'utilizzo
di organismi viventi e composti organici per scopi militari. Le armi
biologiche tradizionali consistono sostanzialmente in virus, batteri,
funghi, protozoi e tossine, che in quanto tali non sono mai stati
usati finora su larga scala. La ragione storica del ristretto
utilizzo di tali strumenti è inerente tra l'altro ai costi e
ai pericoli che comporta il trattamento e lo stoccaggio di grandi
quantità di agenti patogeni e la difficoltà di
indirizzarne la diffusione, ma anche la tracciabilità
relativamente facile di attacchi biologici e la probabilità
che il vantaggio connesso venisse annullato dall'inevitabile
ritorsione nemica. Ora tale panorama è radicalmente cambiato.
In
un rapporto risalente al maggio 1986, presentato al Committee
on Appropriation della Camera
dei Rappresentanti, il Dipartimento
della Difesa americano già sottolineava come la
biotecnologia sta rendendo molti tipi di guerra biologica realistici
e vantaggiosi ().
Nel rapporto tra l'altro si legge: «Le conquiste fatte nel
campo della biotecnologia permettono l'elaborazione di un'estesa
varietà di nuovi materiali che possono essere usati nella
guerra biologica. [...] I nuovi agenti sono il prodotto della recente
capacità di modificare, migliorare o produrre grandi quantità
di materiali naturali o di organismi che in passato erano considerati
di nessuna importanza militare a causa di problemi quali la
disponibilità, la stabilità nel tempo, il potere
infettivo e la riproducibilità». Continua il rapporto:
«Potenti tossine che sino ad ora erano disponibili solo in
piccole quantità, e solo grazie all'estrazione delle stesse da
enormi quantità di materiali biologici, adesso possono essere
preparate in quantità industriali in un tempo relativamente
breve. Questo processo deriva dall'identificazione dei geni che
codificano la produzione della molecola desiderata e consiste nel
trasferimento della sequenza in un microrganismo ricevente che in tal
modo acquista la capacità di produrre la sostanza. L'organismo
ricombinante può quindi essere allevato e riprodotto in
qualsiasi scala desiderata. [...] Composti che precedentemente erano
disponibili solo in quantità infinitesimali in questo modo
diventano producibili in grande quantità a costi notevolmente
bassi. [Con la tecnologia del DNA ricombinante è ora possibile
sviluppare] una quantità pressoché infinita di ciò
che potrebbe essere definito come "agente modellante".
[...] I nuovi sviluppi dell'ingegneria genetica rendono possibile il
rapido sfruttamento delle risorse della natura per scopi di guerra
biologica che erano impensabili dieci o quindici anni fa».
Solo
pochi mesi dopo, nell'Agosto dello stesso anno, il sottosegretario
alla Difesa Douglas
Feith dichiara al comitato parlamentare americano sui servizi
segreti: «Adesso è possibile sintetizzare agenti per la
guerra biologica pensati appositamente per scopi militari. La
tecnologia che rende possibile i cosiddetti farmaci su misura rende
possibile modellare tali agenti. [...] E' piuttosto semplice produrre
nuovi agenti, anche se resta ancora un problema trovare degli
antidoti, che possono richiedere anni, mentre gli agenti possono
essere prodotti in poche ore» ().
In
effetti le tecniche biotecnologiche possono essere usate per una
varietà di scopi militari, dal terrorismo di stato, alle
operazioni controinsurrezionali, alle campagne su vasta scala per
distruggere le economie dei paesi nemici o la loro popolazione
civile, e richiedono l'allocazione di un potenziale industriale e di
investimenti molto minore rispetto alla guerra convenzionale o alle
armi nucleari. Un utilizzo banale degli strumenti disponibili è
ad esempio quello volto a creare deliberatamente ceppi batterici
alterati in modo da aumentarne la virulenza, renderne facile la
conservazione, e incorporare una resistenza agli antibiotici. Un
approccio più raffinato è quello di introdurre geni
letali in microorganismi naturalmente innocui, che non generano
alcuna risposta immunitaria negli animali o negli uomini da colpire.
L'ingegneria genetica può ancora essere specificamente mirata
alla distruzione di specie o ceppi specifici di piante coltivate ed
animali, e persino allo sfruttamento della sensibilità
diversa, geneticamente programmata, dei gruppi etnici umani a
malattie specifiche. Inutile dire che ancora più facile è
concepire "cavalli di troia" genetici, in particolare in
campo agricolo, ovvero varietà coltivabili, alterate
geneticamente e destinate a soppiantare le varietà autoctone,
di cui sia attivabile l'autodistruzione. Ancora, è possibile
produrre e liberare specie animali o vegetali modificate capace di
sconvolgere l'equilibrio ecologico del territorio nemico, ma con
incorporati meccanismi di controllo utili ad evitare l'interferenza
con le proprie coltivazioni.
Naturalmente,
ciò che traspira di queste ricerche riguarda sempre la
"difesa" dalla guerra biologica. D'altronde, come nota uno
studio dell'International
Peace Research Institute di Stoccolma, «alcune comuni forme
di produzione di vaccini sono tecnicamente molto vicine alla
produzione di agenti utili come armi biologiche, offrendo così
facili opportunità di conversione e copertura» .
In particolare, come ammetteva Richard Goldstein, già
professore di microbiologia ad Harvard,
il Dipartimento
della Difesa degli USA «può oggi giustificare il
fatto di lavorare con gli agenti più patogeni al mondo,
producendo ceppi alterati e molto più virulenti, al fine della
ricerca di vaccini e sieri per proteggere le proprie truppe contro un
utilizzo ostile di tali agenti [...], e allo stesso tempo studiando
sistemi di diffusione degli stessi fino a quando non sia in grado di
proteggersi contro qualsiasi simile forma di diffusione. Così,
quello che il Dipartimento della Difesa si ritrova in mano alla fine
è un nuovo sistema di armi biologiche, composto da un
organismo virulento, un vaccino contro di esso e un sistema per
diffonderlo. Come è facile rilevare, esiste una linea molto
sottile tra un tale sistema di difesa (permesso dalle convenzioni
internazionali) e un vero e proprio sistema (proibito) di attacco»
().
Tali
programmi sono sostenuti da una propaganda capillare e costante. Già
nella prima guerra del Golfo, fonti americane attribuivano all'Iraq
la disponibilità di quello che il "dittatore pazzo",
noto anche come Saddam Hussein, avrebbe definito il "grande
livellatore", ovvero un arsenale di venticinque testate di
missili Scud per complessive cinque tonnellate di agenti biologici,
tra cui la tossina
botulinica e i germi del carbonchio,
ed altre quindici tonnellate da collocare in dispositivi destinati al
bombardamento aereo. Uno studio dell'Office
Technology Assessment del 1993 segnalerà poi che la
liberazione di soli cento chili di spore di carbonchio da un aereo
sopra la città di Washington avrebbe potuto uccidere più
di tre milioni di persone ().
L'apocalisse non si scatena, scopriremo, solo perché il
Segretario di Stato James
Baker avrebbe riservatamente fatto presente al presidente Saddam
Hussein, "in toni cortesi ma fermi", che l'uso effettivo
delle armi pretesamente approntate per difendere la sovranità
irachena, nel momento appunto in cui questa era oggetto dell'attacco
occidentale, sarebbe stata fronteggiata con "misure estreme",
ovvero lo sgancio di ordigni nucleari su Bagdad .
Questo
tipo di affabulazioni fantapolitiche, ovviamente non "ufficiali",
ma accreditate da stampa prestigiosa, non spiegano come sia possibile
che un'efficace arma di deterrenza in mano ad un "pazzo"
non abbia sortito alcun effetto sull'avventurismo militare americano
nella regione, o come il pazzo in questione avrebbe potuto essere
intimidito da minacce... su una popolazione civile dal medesimo
dittatore notoriamente disprezzata e tiranneggiata. Simili leggende
restano nondimeno utili, da più di dieci anni, a creare un
vantaggioso clima di paranoia (vedi il martellamento propagandistico
sulle "armi di distruzioni di massa", di cui per altro
Stati Uniti ed altri paesi dispongono indisturbati sin dagli anni
cinquanta), clima che giustifica a sua volta gli enormi finanziamenti
dispiegati per preparare la guerra biologica .
Già in uno studio del 1995, la CIA attribuiva a diciassette
paesi ricerche di biotecnologia militare, e precisamente a Iraq,
Iran, Libia, Siria, Corea del Nord, Taiwan, Israele, Egitto, Vietnam,
Laos, Cuba, Bulgaria, India, Corea del Sud, Sudafrica, nonché
ovviamente Cina e Russia ().
D'altronde,
secondo un rapporto pubblicato nel 2002 dalla National
Academy of Science americana «sarebbero sufficienti pochi
individui dotati di competenze specialistiche e di un laboratorio
adeguato per produrre, in modo economico e semplice, un'intera serie
di armi batteriologiche mortali in grado di costituire una grave
minaccia per la popolazione degli Stati Uniti. Inoltre, gli agenti
biologici possono essere prodotti utilizzando apparecchiature
disponibili sul mercato, le stesse attrezzature che vengono impiegate
nella produzione di sostanze chimiche, farmaci, cibi o birra, e
quindi passare inosservate. [...] La decodifica della sequenza del
genoma umano e la spiegazione completa di quello di numerosi agenti
patogeni... consentono di abusare della scienza per creare nuovi
strumenti di distruzione di massa» ().
Se
non esiste alcun dubbio sull'attivismo del complesso
militar-industriale statunitense in questo campo, l'allarmismo
occidentalista sulla diffusione delle applicazioni di questo tipo
ovviamente non si basa soltanto su dati inventati ().
E dal momento che, in questo campo, capacità d'attacco,
capacità di difesa e deterrenza costituiscono solo aspetti
diversi della disponibilità delle medesime tecnologie, è
ben chiaro cosa significa per la reale sovranità dei paesi
interessati esserne sprovvisti.
La
capacità di difesa e di attacco risulta del resto determinante
non solo in scenari di aperta aggressione militare, ma anche con
riguardo a forme più subdole di guerra economica a bassa
intensità, o addirittura a rilasci accidentali e non voluti di agenti patogeni. La teoria della provenienza del virus dell'AIDS da laboratori militari americani (),
per quanto rappresenti probabilmente una "leggenda
metropolitana", dimostra con la sua stessa diffusione la
crescente verosimiglianza di ipotesi di questo tipo, cui è
possibile rispondere unicamente con la capacità di produrre e
selezionare ceppi immuni, e di programmare secondo necessità
tale immunità nelle popolazioni umane, vegetali ed animali
().
D'altronde,
la guerra biologica non è che un aspetto di scontri
tecnologici, economici e demografici di carattere più
generale, nel quadro del mutamento generale del "paradigma"
epocale già più volte evidenziato. Se abbiamo già
discusso delle prospettive e delle applicazioni riguardanti il mondo
vegetale e l'utilizzo industriale di microorganismi modificati o
insetti, le ricerche in corso abbracciano applicazioni molto più
ampie e tecnicamente complesse di quelle che coinvolgono sementi e
protozoi, venendo ad incidere direttamente sugli animali superiori e
sull'uomo.
Riporta
ancora Rifkin: «All'Università
di Adelaide, è stata sviluppata un nuova generazione
biotecnologica di maiali che sono più efficienti del 30% nella
produzione di carne, e che giungono a maturazione sette settimane
prima di quelli normali. L'Australian
Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation ha
similmente prodotto pecore trattate geneticamente che crescono più
velocemente di un terzo di quelle normali e sta attualmente
trapiantando geni nelle pecore al fine di far crescere una lana più
abbondante e di migliore qualità. Nell'Università
del Wisconsin, gli scienziati hanno alterato i tacchini da cova
per aumentarne la produttività. I tacchini da cova producono
da un quarto ad un terzo in meno di uova rispetto a quelli che non
covano. Visto che cova quasi il 20% nelle razze attuali, i
ricercatori sperano di eliminare del tutto l'istinto della cova
bloccando il gene che codifica la prolattina, ormone che regola
l'istinto della cova. I tacchini transgenici non mostrano più
l'istinto materno, ma producono molte più uova» ().
Uno
dei progetti più strani dell'era biotecnologia è quello
della canadese Nexia,
che lavora sull'ipotesi di far produrre quantità massiccie di
tela di ragno a capre in cui sono stati inseriti geni di ragno.
Abbiamo già accennato alle particolari proprietà di
questa fibra. Ora, capita che il latte delle capre transgeniche
contenga una quantità della relativa proteina
incommensurabilmente superiore a quella ottenibile tramite un
ipotetico allevamento di ragni – che non sarebbe comunque
industrialmente fattibile essendo i ragni cannibali. «Mettete
un gruppo insieme e ciò che ne ricavate è un singolo,
felice e grasso ragno»,
nota Jeffrey Turner, il genetista molecolare amministratore della
Nexia ().
Nel
frattempo una società del Texas, la Yorktown Technologies, ha
messo in vendita un pesce d'acquario, chiamato Glofish,
di colore rosso brillante alla luce del giorno e che diventa
fluorescente alla luce ultravioletta (),
basato sull'innesto "decorativo" di geni provenienti
dall'anemone di mare su un pesce tropicale, il pesce zebra, in natura
a strisce nere e argento. Di per sé la notizia sarebbe
interessante solo da un punto di vista legale, perché nessuno
sa quale organo amministrativo americano sarebbe eventualmente
chiamato ad esprimere la sua opinione sul fatto che siano messi in
circolazione tali pesci geneticamente modificati: la Food
& Drug Administration ritiene infatti di non aver alcun
potere in materia in quanto a differenza del salmone transgenico non
si tratta né di un alimento, né di un farmaco o di
altra sostanza destinata al consumo umano; l'Environmental
Protection Agency e il Dipartimento
dell'Agricoltura similmente ritengono che i pesci ornamentali non
rientrino propriamente nelle proprie competenze. Ma il Glofish non è
altro che la ricaduta "americanizzata" di una tecnologia
sviluppata fin dal 1999 da un ricercatore dell'Università
di Singapore, che scoprì come dei pesci modificati con
vari gruppi di geni tratti da meduse siano in grado di "accendersi"
di un determinato colore solo in presenza di metalli pesanti,
estrogeni o tossine, realizzando così un "rilevatore
biologico" utilizzabile in qualsiasi specchio d'acqua, e capace
di assumere una particolare colorazione, come una cartina di
tornasole, a seconda dell'inquinante presente.
D'altronde,
a parte casi particolari come quello ricordato, la maggior parte
delle ricerche sugli animali che non riguardano l'industria
alimentare interessano il settore della medicina. La prima idea –
che rilancia la tradizione, ormai quasi superata a favore dei
prodotti di sintesi, di utilizzare gli animali per produrre sieri,
ottenere vaccini od estrarre ormoni – è quella di
trasformare parte degli allevamenti tradizionali in bioindustrie atte
a produrre medicinali. Nell'aprile del 1996, la Genzyme
Transgenic annunciava ad esempio la nascita di Grace, una capra
transgenica con un gene che codifica il BR-96, un anticorpo
monoclonale che è stato sviluppato dalla Bristol-Myers
Squibb come farmaco antitumorale. La stessa società sta
anche realizzando una capra capace di produrre antitrombina, una
sostanza anticoagulante, e conta di lanciare nuovi prodotti e
dimezzare i propri costi di fabbricazione di prodotti di sintesi
complessi tramite l'utilizzo di animali transgenici, contando ad
esempio con il farmaco utilizzato per curare la sindrome
di Gaucher di raggiungere con un gregge di sole dodici capre la
medesima produttività dell'impianto da dieci milioni di
dollari ancora oggi in funzione ().
Da
parte sua, una società della Virginia, la PPL
Therapeutics, crea nel 1997 Rosie, una mucca transgenica il cui
latte contiene alfa-lactalbumina, alimento essenziale per i neonati
prematuri che non possano essere allattati naturalmente, mentre in
Colorado la Somatogen crea un maiale che produce emoglobina umana
().
Nel
frattempo, nell'immediato, le applicazioni dell'ingegneria genetica
si estendono come abbiamo detto alla biologia marina. E' stato ad
esempio trapiantato con successo un gene, che previene la formazione
di cristalli di ghiaccio nel sangue, da un pesce artico alla trota e
al branzino, consentendo la crescita di questi pesci in acque molto
più fredde. Il trapianto invece del gene che sovrintende alla
produzione dell'ormone della crescita nei mammiferi ha prodotto pesci
che si sviluppano più rapidamente e raggiungono taglie
maggiori. Altre ricerche hanno prodotto salmoni sterili, privi
dell'istinto suicida di smettere di mangiare e risalire la corrente
per deporre le uova.
Anche
qui, c'è chi ha parlato, per analogia con la "rivoluzione
verde" del secolo scorso, di questo secolo come quello della
"rivoluzione blu", in cui grazie a clonazione ed ingegneria
genetica la produzione dell'"acquacoltura" supererà
quella della pesca, come da millenni l'agricoltura ha superato quella
della raccolta dei prodotti spontanei della natura e ancora prima
l'allevamento degli animali terrestri ha superato il contributo (oggi
risibile) della caccia alla soddisfazione dei fabbisogni alimentari
umani ().
Tale prospettiva può piacere o meno, ma mentre alcuni
neoprimitivisti o tradizionalisti possono essere vegetariani, e
perciò non sentirsi particolarmente toccati dall'alternativa
caccia-allevamento, pochi tra loro suggerirebbero l'abbandono della
pratica dell'agricoltura – modo di vita cui da essi vengono
attribuite tutte le virtù, eppure "artificiale" e
"tecnico" per definizione sin dalla sua nascita nel
neolitico – a favore di una mera raccolta dei frutti spontanei
della "natura". Ci si deve chiedere allora perché la
pesca non potrebbe essere confinata (e d'altra parte forse deliberatamente continuata) in ambiti analoghi a quelli in cui
è oggi praticata la caccia, cosa tra l'altro che consentirebbe
un diverso rispetto e protezione dell'ecologia marina.
Milioni
di persone stanno inoltre dagli anni novanta utilizzando medicinali
di origine biotecnologica, al posto di prodotti sintetizzati
chimicamente, per la terapia di patologie cardiache, tumori, e AIDS.
L'insulina prodotta con l'ingegneria genetica ha virtualmente
eliminato l'uso dell'insulina "naturale" estratta da grandi
numeri di mucche e di maiali. Con metodi simili, l'Amgen produce l'eritropoietina, la Genentech l'attivatore tissutale del plasminogeno, altre società
l'interferone usato per la terapia dei tumori e della sclerosi
multipla, etc. ().
Abbiamo
già parlato delle ricerche sugli agenti patogeni. In questo
campo, un lavoro interessante riguarda l'alterazione dei vettori.
Sono state create zanzare in grado di mescolarsi con quelle libere in
natura e di trasmettere un gene dominante per ghiandole salivari
modificate che le rende incapaci quando pungono la vittima di
inoculare la malaria. All'Università
di Yale, un gruppo di scienziati ha introdotto batteri
geneticamente modificati nell'intestino di un insetto sudamericano
chiamato "scarafaggio del bacio", che trasmette un
parassita responsabile della letale sindrome
di Chagas. Tali batteri secernono un antibiotico che uccide il
parassita direttamente nell'intestino dell'insetto ().
Infine,
sotto l'aspetto ambientale, lo sviluppo di modelli sempre più
raffinati di descrizione degli ecosistemi, e le risorse di calcolo
via via rese disponibili dall'elaborazione a parallelismo massivo e
dalla legge
di Moore, consentono di ipotizzare che possano essere in futuro
deliberati interventi che vadano al di là dell'azione più
o meno alla cieca su una singola caratteristica, un organismo, o una
specie, ma integrino sistemicamente intere ecologie.
Essendo
però impensabile ripetere le delicate operazioni di ingegneria
genetica su ogni singolo individuo animale coinvolto nel caso degli
animali superiori, mancava però un tassello essenziale, che
viene presto aggiunto. Le prospettive per la coltura intensiva di
animali superiori dalle caratteristiche stabili, esattamente come si
fa in agricoltura da secoli con le varietà vegetali, si aprono
infatti con la nascita di Dolly,
la prima pecora clonata, avvenuta il 22 Febbraio 1997 ad opera di un
embriologo scozzese ().
La tecnica utilizzata ha per la prima volta dimostrata la possibilità
di produrre una grande quantità di copie geneticamente
identiche di mammiferi ed altri animali superiori, e sancito una
pietra miliare con riguardo alla stessa clonazione umana ().
Il significato di tale risultato non passa inosservato, e diventa
oggetto di vivaci discussioni sui media e nei comitati di "bioetica",
Italia compresa, e suscita notevoli emozioni anche nel pubblico, al
punto che un maglione fabbricato con la lana di Dolly viene venduto
ad un'asta per venticinquemila dollari. Subito dopo, sempre la PPL annuncia la nascita di una seconda pecora clonata, Polly, che però
contiene già un gene umano modificato, contraddicendo le
previsioni secondo cui sarebbe stata necessaria all'uopo ancora una
ventina d'anni ().
Scrive
Alexander: «C'è sempre stata opposizione al fatto
di "pasticciare con la Natura". All'inizio del
Rinascimento, la chiesa sosteneva che la dissezione dei cadaveri
fosse un sacrilegio. Frankenstein venne scritto come un'arringa per la supremazia del sublime in natura
sulla possibilità che i nuovi esperimenti sull'elettricità
potessero sfidarla "rianimando" dei tessuti. La
fecondazione artificiale sperimentata da John Hammond era stata messa
al bando dalla Chiesa
di Inghilterra. E,
naturalmente, ci fu il Mondo
Nuovo di Huxley [alias]
dopo Haldane.
Ma fino alle cellule staminali, a Dolly, all'ingegneria del gene, e
al movimento verso l'informazione genetica come prodotto di largo
consumo, questi argomenti erano del tutto accademici. L'elettricità
in effetti non rianima affatto tessuti morti. Ora, d'altra parte, la science fiction di
colpo non sembra più tanto fiction» ().
Ed
aggiunge: «La realtà
della clonazione e delle cellule staminali tirò fuori i
bio-ludditi come Kass dal margine del dibattito politico e galvanizzò una strana
coalizione tra politicanti conservatori, cristiani evangelici, la
chiesa cattolica, intellettuali di sinistra ed ambientalisti verdi, i
quali tutti realizzavano, come d'altra parte il piccolo movimento
bioutopista, che le tecnologie dei geni, applicate alle cellule
staminali ed alla clonazione, potrebbero finalmente permettere agli
umani di decidere del loro futuro biologico. Con la tecnica della
clonazione è possibile ingegnerizzare una cellula con un
tratto desiderato, inserire questa cellula in un uovo, ed ottenere
una creatura su misura. E' per questo che è stata inventata.
Le cellule staminali rendono la cosa ancora più semplice, come
è successo per i topi di laboratorio customizzati. Questa
prospettiva guida l'improbabile alleanza. [...] Nessuna iperbole è
eccessiva se ottiene il risultato di spaventare a morte il pubblico. Kass ha persino parificato la lotta contro i mali della biotecnologia con
la lotta contro il terrorismo internazionale: "il futuro umano
riposa sulla nostra capacità di navigare evitando gli inumani
Osama Bin Laden e i post-umani adepti del Mondo
Nuovo"»
().
In
effetti, per il capo del Consiglio
Presidenziale sulla Bioetica di Bush, jr., come per Fukuyama, siamo sull'orlo
di trasformarci in post-umani. Leggiamo così all'inizio della
sua opera più nota: «Non
ci rendiamo ancora conto della gravità della nostra
situazione... Il processo postumanista è già
cominciato. La "pillola". La fecondazione in vitro.
Embrioni in bottiglia. Uteri in affitto. Clonazione. Diagnosi
prenatale e screeening genetico. Manipolazione genetica. Coltivazione
di organi. Parti di ricambio meccaniche. Chimere. Impianti cerebrali.
Ritalin per i bambini, Viagra per i vecchi, Prozac per tutti. E, per
lasciare questa vale di lacrime, un po' di morfina in più
accompagnata da Muzak» (). Nota Alexander: «Nello
spazio di due pagine, Kass riesce ad evocare praticamente tutti i babau del ventesimo secolo,
persino i nazisti».
I
poveri emuli italiani di Kass hanno a loro volta trovato la grande
occasione di impersonare come "esperti" della lotta contro
il transumanismo un "potere dei chierici" difficilmente
immaginabile fino a qualche anno fa. Malgrado i considerevoli
risultati di anni di costante campagna metapolitica delle gerarchie
ecclesiastiche e dell'Università
Cattolica di Milano, il "bioetico" Francesco
d'Agostino, si lamenta anzi che non sia ancora abbastanza, e
rivendica per sé e per i suoi colleghi ruoli da sinedrio
talmudico: «Per
formulare [la legge italiana sulla procreazione assistita] credo
sarebbe stato saggio chiedere un parere all'organismo che dirigo, il Comitato
Nazionale per la Bioetica, che è l'organo consultivo della Presidenza
del Consiglio su questioni etiche [sic!]. L'ultimo parere
del Consiglio sull'argomento risale a più di dieci anni fa.
Avremmo potuto suggerire, ad esempio, la costituzione di una
Authority delegata ad esprimersi e ad autorizzare certe ricerche
sull'embrione in casi estremi nei quali si ponga con urgenza il
bisogno di trovare una terapia salva-vita»
().
Naturalmente
la popolarizzazione di queste "battaglie" continua a
generare mostri. Nel dibattito sulle leggi americane contro la
clonazione umane, che l'amministrazione
Bush tenta di estendere al mondo tramite l'ONU (),
il parlamentare relatore, Cliff
Stearns della Florida, ha brillantemente spiegato: «Quando
fai un clone ci sono questi tentacoli, parte dell'ovulo. Loro li
tolgono. C'è un termine per questo. Quando cloni, non hai un
esatto clone del materiale degli ovuli. I tentacoli vengono tutti
rimossi... Il clone non li avrebbe, eppure io e voi li abbiamo quando
nasciamo. Avremmo una categoria di qualcuno, di gente che non ha
questi tentacoli e questa potrebbe essere gente inferiore o
superiore» ().
Commenta
Alexander: «Questa è
la sorta di spiegazione che fa sì che gli scienziati
nascondano la testa tra le mani e restino senza parole. Ma queste
concezioni sono diffuse. Nell'aprile 2002, l'"esperto" George
Will è apparso in televisione sulla rete ABC nella
trasmissione This
Week con George
Stephanopoulos e ha
sostenuto che tutte le forme di clonazione, terapeutica e non,
dovrebbero essere bandite perché "le cellule sono entità
con un genoma umano completo". Di fatto, praticamente tutte le cellule umane, i globuli rossi rappesentando un'eccezione, hanno
un genoma umano completo. Secondo la logica di Will, dovremmo
rispettare ogni possibile cellula del nostro corpo, incluse eventuali
cellule cancerogene»
().
Ma
in tale epoca, il bio-luddismo, almeno per la biologia umana, era già
ufficialmente consacrato dal governo americano, in particolare dal
famoso ed esilarante discorso televisivo di Bush del 9 agosto 2001, in cui il presidente, parlando dal suo ranch in
Texas, ha descritto il "viaggio" che lo ha condotto verso
le sue attuali conclusioni, dicendo di aver dedicato alla questione
«un mucchio di
pensieri, preghiera, e considerevole riflessione»,
per poi aggiungere «siamo giunti al Mondo
Nuovo che sembrava così distante quando nel 1932 Aldous
Huxley [alias]
ha scritto di esseri umani creati in provetta in quello che chiamava
un'incubazionificio», ed annunciare alla fine forti limitazioni
al finanziamento federale di ulteriori ricerche e la costituzione del
famoso Comitato presieduto da Kass.
Anche
se vi è chi come Rahul K. Dhanda vorrebbe "guidare Icaro"
e mettere d'accordo nella più pura tradizione americana
ideologia e buoni affari, "Bible and business" (),
tale clima è ovviamente un invito a nozze per tutte le
correnti a vario titolo orientate in senso anti-faustiano, il cui
manifesto si può dire sia ben riassunto dal titolo di un
saggio del 2003 di Bill
McKibben, Enough,
ove l'autore dichiara apertamente che la questione ormai è di
"decidere che in ogni campo la ricerca tecnica e scientifica è
andata avanti abbastanza, e che non è veramente necessario
andare oltre", di "saper dire di no, saper restare umani",
e di «guardare il nostro
mondo, e proclamarlo buono, buono abbastanza. Abbastanza
intelligenza, abbastanza capacità. Abbastanza»
().
Eppure, come nota Ramez Naam, «per
tutta la nostra storia, abbiamo oltrepassato i nostri limiti e
incrementato le nostre possibilità. Se, come pensa McKibben,
sono i nostri limiti a definirci, allora abbiamo smesso di essere
umani molto tempo fa, quando abbiamo inventato gli utensili, il
linguaggio e la scienza che ha esteso il potere delle nostre menti e
dei nostri corpi oltre quello con cui i nostri antenati cacciatori e
raccoglitori erano nati» ().
In
ogni modo, siamo nel frattempo giunti alla prospettiva di una
pianificazione della produzione in massa di animali selezionati,
mutati e clonati, cui è possibile far produrre enzimi, ormoni,
sostanze organiche, latte e carne dalle caratteristiche arbitrarie e
strettamente controllate, mentre altri parlano addirittura di
programmare la crescita negli animali di organi compatibili per
xenotrapianti sugli esseri umani (),
tecnologia per altro destinata ad avere poco futuro rispetto
all'alternativa di produrre invece organi non solo umani, ma clonati
direttamente da cellule del paziente, e perciò privi di
rigetto e perfettamente analoghi a quelli donati da un gemello
identico. Ciò supera nettamente gli esperimenti odierni legati
alla coltura di cellule su un'impalcatura di polimeri biodegradabili
– ad esempio con riguardo a mammelle, fegati od orecchie -, e la
stessa promettente sperimentazione sulle cellule staminali, ad
esempio con riguardo al morbo di Parkinson o alla sindrome di
Alzheimer, che oggi fa tanto rumore in connessione alla loro
estrazione da embrioni umani abbandonati, che per altro sarebbero
diversamente destinati a non trovare alcun'altra utilizzazione
pratica ().
Quello
degli "organi" umani ed il loro futuro a medio e lungo
termine resta comunque un campo tutto da esplorare. Se oggi gli
"organi artificiali" e le protesi sono oggetti
relativamente rudimentali e ben distinti dall'organismo di chi ne fa
uso, così come gli strumenti che da sempre ampliano le
capacità fisiche, sensoriali e mentali degli esseri umani
sani, esiste una plausibile convergenza futura della tecnologia
biomeccanica, robotica ed informatica con le acquisizioni della
biologia, della medicina, dell'ergonomia, della genetica, della
neurologia, etc. Reti neuronali, nanotecnologie, realtà
virtuale, interfacce dirette tra sistema nervoso e dispositivi
digitali, intelligenza artificiale, servomeccanismi, stimolazione
diretta dei centri cerebrali umani ed animali, apparati autoriparanti
e/o con capacità di autoriprodursi, biochip, emulazione delle
funzioni cerebrali superiori, sono tutti elementi che convergono
verso un'attenuazione della distinzione tra la sfera "organica"
e la sfera "meccanica" e verso una ridefinizione dei
confini e della natura dell'organismo e della sua esperienza.
John
Holston, uno dei direttori del Progetto
Genoma, si è chiesto: «Quanti componenti di origine
non biologica possiamo impiantare su un corpo umano e continuare a
definirlo umano? [...] Forse una piccola espansione di memoria?
Un'aggiunta di capacità di elaborazione? Perché no? Se
è così, forse una sorta di immortalità è
potenzialmente dietro l'angolo». ().
L'ipotesi di poter ad esempio ricavare una copia completa
dell'esperienza di un essere umano su un supporto artificiale, magari
nel suo funzionamento con accentuate caratteristiche biotroniche, di
ricostruirla artificialmente e/o di riversarla di nuovo in un altro
cervello (),
apre ad esempio prospettive molto complesse, così come quella
di trasformare radicalmente la percezione-del-mondo selezionata da un
apparato sensoriale sostanzialmente immutato da milioni di anni.
Certamente sono già mutate le modalità con cui gli
esseri umani comunicano od accedono alle informazioni, ed è
prevedibile che il processo sia destinato a continuare; e non c'è
bisogno di richiamare ulteriormente il ruolo di tutto ciò con
riguardo alla possibilità stessa di esplorare e modificare la
realtà biologica dell'uomo e delle altre specie, ad esempio
attraverso la sequenziazione genica, largamente basata sull'utilizzo
di risorse di calcolo e tecniche di precisione impensabili sino a
pochi decenni orsono.
La
bionica, uno dei luoghi di questa convergenza, si ricollega del resto
alle questioni già discusse sulla modifica dell'ambiente umano
ed alle pressioni selettive che questo comporta a livello sociologico
e genetico. Abbiamo già scimmie in grado di pilotare braccia
robotiche mediante elettrodi impiantati nel cervello ().
A partire dall'innesto dei primi pacemakers nel 1958, oggi sono
comuni gli impianti cocleari, che restituiscono l'udito a persone
completamente sorde, e chips sperimentali impiantati sulla retina già
provvedono qualcosa di simile alla vista a ciechi congeniti.
Similmente, sono oggi progettati supplementi cerebrali, di cui sono
stati testati modelli in simulazione con qualche decina di migliaia
di neuroni ().
Il loro scopo non è solo quello di trattare disfunzioni
cerebrali, ma di estendere l'esperienza sensoriale, aumentare la
memoria, permettere forme di comunicazione diretta per via
elettromagnetica che non pare eccessivo definire telepatica, e
consentire un accesso wireless diretto e delocalizzato
all'informazione ed alle reti in questa si trovi conservata ().
Per
una integrazione reale dell'attività cerebrale con dispositivi
artificiali di tipo digitale, ovvero senza passare dall'apparato
sensoriale e motorio tradizionale, sono necessarie tre condizioni:
«poter descrivere
l'attività elettrica neuronale legata a una facoltà o a
un comportamento particolare; saper tradurre tale descrizione in una
forma algoritmica integrabile in un processore; realizzare processori
al tempo stesso abbastanza piccoli per stimolare precisamente la zona
coinvolta (da cui l'importanza della questione delle interfaccie
neuronali) e abbastanza potente per trattare l'algoritmo che
riproduca la facolta mentale voluta»
().
E' improbabile che processori elettronici tradizionali possano mai
soddisfare pienamente a tali condizioni, ed è molto probabile
che qualche tipo di bio o nanochip sia destinato piuttosto ad essere
coinvolto. ma in ogni modo il quadro di vita che ciò ci
consegna ne viene radicalmente mutato ().
Non
sorprende in tale scenario che gli scambi umani, culturali e
finanziari tra informatica e biotecnologia diventino già oggi
sempre più stretti, in particolare nel campo della ricerca.
Scrive Rodney
Brooks: «Al Laboratorio
di Intelligenza Artificiale del MIT di cui sono direttore vedo segni di questa trasformazione ogni
giorno. Abbiamo smontato "clean rooms" in cui usavamo
lavorare su processori al silicio per installare al loro posto
"laboratori bagnati" dove compiliamo programmi in sequenze
di DNA che incorporiamo in genomi per allevare robot batterici. Il
nostro obbiettivo nei prossimi trent'anni è riuscire, invece
di coltivare un albero, abbatterlo e fare un tavolo con quanto
ricavato, a far crescere direttamente un tavolo. Abbiamo trasformato
laboratori in cui assemblavamo silicio e robot d'acciaio in
laboratori in cui assembliamo robot da silicio, acciaio e cellule
viventi. Coltiviamo cellule muscolari e le usiamo come attuatori in
dispositivi semplici, precursori di protesi che potranno entrare a
far parte integrante di corpi umani. Alcuni ricercatori nel campo
della IA che studiano come far sì che le macchine imparino
hanno smesso di costruire migliori motori di ricerca per il Web e
hanno cominciato ad inventare programmi in grado di imparare le
correlazioni nel genoma umano, e fare così predizioni sulle
cause genetiche delle malattie» ().
Larry
Ellison, fondatore di Oracle e reputato per un certo periodo, prima dello scoppio della bolla
della New Economy nel tardo 2000, il secondo o terzo uomo più
ricco del mondo, ha da parte sua stabilito la Ellison
Medical Foundation per studiare la biologia umana, con
particolare riguardo ai geni che governano l'invecchiamento, ed ha
avuto modo di dichiare a Business
Week: «se
avessi vent'anni, mi orienterei alla biotecnologia o all'ingegneria
genetica» ().
Un
altro punto cruciale è stato superato nel 1997 quando il
laboratorio di ricerca giapponese sponsorizzato dalla divisione
farmaceutica dei produttori
della birra Kirin è riuscito per la prima volta a
trapiantare un intero cromosoma umano, in particolare nel corredo
genetico di una cavia, impresa ritenuta da taluni irrealizzabile.
Sino ad allora, era stato infatti trasferito DNA solo in piccole
quantità, cinquanta volte inferiori ad un cromosoma. In
particolare, il cromosoma trasferito è quello che negli uomini
riguarda la produzione di anticorpi, e puntualmente, nelle cavie,
l'introduzione di proteine estranee ha provocato la produzione degli
anticorpi stessi ().
Contemporaneamente, alla Case
Western Reserve University, in Ohio, viene annunciata la
creazione per la prima volta di un cromosoma umano artificiale ().
Commenta Rifkin:
«Ciò che rende il cromosoma artificiale umano così
importante, è che esso contiene quella prevedibilità
che nel passato era sfuggita agli scienziati che lavoravano nel campo
dell'ingegneria genetica. Fino ad oggi, gli scienziati hanno dovuto
inserire singoli geni all'interno di un virus, e poi utilizzare il
virus come vettore per inserire a loro volta i geni nei cromosomi
della cellula ().
Con questo metodo, tuttavia, non è possibile sapere quale
cromosoma acquisirà il gene aggiunto, né dove il gene
si andrà ad integrare nella cellula una volta al suo interno;
non esiste infatti alcuna possibilità di indirizzare il gene
in un punto preciso. Con l'uso dei cromosomi 'artificiali', è
possibile inserire un intero pacchetto coordinato di geni. Ogni gene
si trova già al posto giusto nel suo cromosoma, e questo
elimina la necessità di ripetere l'esperimento nella speranza
che ciò alla fine si produca per caso. I cromosomi artificiali
aprono la strada a infinite possibilità di modificazione delle
strutture genetiche sia delle cellule somatiche, sia di quelle della
linea germinale. La prassi di introdurre dei cambiamenti genetici in
un bambino, sia prima del concepimento nelle cellule sessuali, sia
subito dopo il concepimento nelle cellule embrionali, molto
probabilmente diventerà una realtà nei prossimi dieci
anni» ().
Gregory
Stock [alias]
è d'accordo sul ruolo critico dei cromosomi artificiali, che
rinvierebbero per lunghissimo tempo, in particolare con riguardo
all'ingegneria genetica, la necessità di "pasticciare"
davvero con l'incredibile complessità dei cromosomi esistenti,
che per le specie vegetali ed animali viene oggi affrontata
semplicemente selezionando ed affinando, per approssimazioni
progressive, i prodotti più o meno casuali di tentativi che
coinvolgono un grandissimo numero di gameti ed embrioni. Uno o più
cromosomi artificiali potrebbero prestarsi in particolare a fare da
vettori di un certo numero di geni aggiuntivi, presumibilmente
sviluppabili in modo indipendente, disattivabili a richiesta, e con
un minimo di interazioni indesiderate: «Immaginate
che un padre futuro dia alla sua figliolina un cromosoma 47, versione
2.0, un modello di linea alta con una dozzina di moduli genetici
terapeutici. Al momento che la stessa cresce ed ha a sua volta dei
figli, non può non trovare tale cromosoma assolutamente
primitivo. Il suo modulo anticancro a tre geni impallidisce rispetto
al cluster ad otto geni e ad alta capacità della nuova
versione 5.9, che regola meglio l'espressione dei geni, è
attivo contro un maggior numero di tipi di cancro, ed ha minori
effetti collaterali. Il modulo anti-obesità è rimasto
più o meno lo stesso della versione 2.0, ma la 5.9 ha un
entusiasmante set di diciannove moduli antivirus rispetto ai quattro
che lei ha installati, e un modulo anti-age che con un po' di fortuna
riesce a mantenere livelli giovanili di ormone della crescita per un
decennio supplementare, e conserva più a lungo anche il
sistema immunitario. La figlia può essere troppo apprensiva
per optare per alcuni dei modelli più sperimentali quando è
il suo bambino ad essere coinvolto, ma non può immaginare di
trasmettergli tale e quale il suo antico cromosoma e forzarlo più
avanti nella sua vita a dover prendere farmaci o sostenere altri
trattamenti per compensare le sue deficienze. E quanto al fatto di
ritornare allo stato naturale, pre-terapia, di ventitrè coppie
di cromosomi, ebbene, solo dei Ludditi fanatici farebbero una cosa
del genere ai loro figli» ().
Abbiamo
già trattato del compimento del Progetto
Genoma umano, che è la base di partenza per identificare
non solo i geni responsabili delle circa quattromila malattie
genetiche note, ma per capire il funzionamento dei geni, la loro
attivazione e disattivazione nonché la loro interazione con
l'ambiente, sia l'ambiente epigenetico che l'ambiente più in
generale in cui si trova a svilupparsi l'organismo. Se i test di
screening per alcune malattie genetiche più comuni sono già
facilmente accessibili ed in uso quotidiano (),
è ugualmente aperta la strada allo studio delle complesse
determinanti poligenetiche che influiscono sui tratti morfologici,
nonché su carattere, personalità, comportamento,
attitudini, intelligenza, etc.; e di conseguenza alla manipolazione
di tutte le caratteristiche che abbiano una componente genetica
qualsivoglia nelle specie vegetali ed animali, uomo non escluso.
Riferisce Gregory
Stock [alias]
che ad un famoso simposio dallo stesso moderato nel 1998 ()
alla presenza di alcuni grandi biologi molecolari come Leroy
Hood, che ha sviluppato la tecnica per sequenziare
automaticamente i dati genetici, o French
Anderson, fondatore della terapia genetica umana, dove veniva
intonata la consueta litania tra l'ingegneria genetica "buona",
volta a "curare", e quella "cattiva", volta a
modificare o migliorare, il settantaduenne Watson,
padre del Progetto
Genoma e scopritore del DNA, è sbottato dicendo: «Capisco
che nessuno abbia le palle per dirlo, ma se potessimo creare esseri
umani migliori sapendo come aggiungere dei geni, perché mai
non dovremmo farlo?».
Aggiunge Stock: «La
semplice domanda di Watson,
"se potessimo, perché non dovremmo farlo?" va al
cuore della controversia sulla modifica generica degli esseri umani.
Le preoccupazioni sulla fattibilità o la sicurezza delle
procedure sbagliano il bersaglio... Nessuno è davvero
preoccupato da ciò che è impossibile... Ciò che
i critici come Leon
R. Kass, il noto bioetico dell'Università
di Chicago, temono non è che questa tecnologia
fallisca, ma che abbia successo, ed un successo clamoroso»
().
In
effetti, già in un sondaggio internazionale condotto nel 1993 Daryl
Macer, direttore in Giappone dell'Eubios
Ethics Institute, aveva modo di constatare come un sostanziale
segmento della popolazione dell'epoca in tutti i paesi in cui il
sondaggio si è svolto risconosceva che avrebbe voluto avere a
disposizione l'ingegneria genetica tanto per prevenire patologie che
per incrementare le capacità fisiche e mentali ereditate dai
propri figli. E' interessante notare come i numeri forniti andassero
dal 22% riscontrato in Israele al 43% degli Stati Uniti all'83% in
India ().
Nota Ramez
Naam: «Ironicamente,
una delle reazioni più ovvie di chi si preoccupa della
"sicurezza" delle tecniche volte a migliorare le
prestazioni umane, ovvero quella di bandirla, risulta solo
controproducente. Qualsiasi tecnica di questo è probabile
diventi molto popolare. Consideriamo i precedenti: in aggiunta ai più
di otto milioni di interventi di chirurgia plastica cui si sono
sottoposti, i consumatori americani nel 2002 hanno speso diciassette
miliardi di dollari in supplementi alimentari e rimedi naturali volti
a migliorare lo stato generale di salute o incrementare le capacità
fisiche e mentali. Molti di questi hanno effetti modesti o nulli,
eppure sono incredibilmente popolari. Quando tecniche di
miglioramento fisico o mentale saranno disponibili, non faranno altro
che rispondere ad una vasta domanda in essere. Ora, il bando di beni
o servizi di cui esista un'ampia richiesta non sembra eliminare il
mercato per tali cose: si limita a crearne un commercio sottobanco.
[...] In un regime di mercato nero, la prima a soffrire è
proprio la sicurezza. Non vi è nessuno che assicuri il
rispetto di standard qualitativi. Non vi è la minaccia legale
di una responsabilità del produttore di servizi o procedure
approssimativi.Diventa difficile compiere studi per verificare
problemi emergenti» ().
Il
proibizionismo ha del resto di fronte una strada assolutamente
impervia. Le statistiche provano che già oggi il 90% delle
coppie negli Stati Uniti che
scoprono dai test prenatali di attendere un bambino affetto da fibrosi
cistica scelgono di
abortire, cattolici compresi ().
Ovviamente, la percentuale che accetterebbe di farsi deliberatamente
impiantare un embrione affetto da tale patologia, come la legge
italiana sulla procreazione assistita vorrebbe demenzialmente imporre, sarebbe di gran lunga inferiore allo
stesso modesto 10% di americani che sono disposti a portare avanti
malgrado tutto la gravidanza di un feto affetto.
Le
tecniche relative alla manipolazione delle linee germinali, dovessero
anche rimanere vietate nella maggiorparte dei paesi industrializzati,
sono destinate comunque ad emergere se non altro come sottoprodotto
della ricerca sulle cellule staminali adulte e sulla terapie
somatiche a base genetica (),
che hanno di fronte sfide molto più difficili. Aggiunge Stock [alias]:
«Paragonati agli interventi
genici a livello somatico, le inserzioni sulla linea germinale sono
in un certo senso più "naturali", se non altro per
il fatto che la loro regolazione è come quella del resto del
nostro genoma. [D'altro canto,] la terapia genetica somatica è
ben inserita nel quadro della medicina generalmente accettata.
Nessuno che ha visto persone sofferenti di gravi sindromi come lafibrosi
cistica o l'anemia
falciforme negherebbe
loro una cura sulla base di una vaga apprensione filosofica
relativamente al fatto di alterare i nostri geni... L'ingegneria
germinale rappresenta un cambio di paradigma nella riproduzione
umana, ma quando efficaci terapie somatiche diverranno comuni, la
banalizzazione in generale degli interventi genetici tra il pubblico
aprirà la strada al passaggio dallo screening e selezione
degli embrioni alla loro manipolazione [perché in effetti
negare ad un embrione una terapia disponibile per adulto, e perché
non estendere la guarigione non solo all'individuo, ma anche alla sua
prole? ()]. Inoltre, la ricerca sulle terapie
genetiche somatiche produrrà
inevitabilmente il know-how utilizzabile nell'ingegneria delle linee germinali» ().
Questo
porta con sé inevitabilmente l'idea di una responsabilità
umana riguardo le caratteristiche in generale della propria
discendenza. La American
Academy for the Advancement of Science, editore della rivista Science e nota per la sua prudenza, malgrado gli anatemi bio-ludditi ha avuto così già
modo di dichiarare: «Un
più grande conoscenza della genetica rende possibile
contemplare non solo il fatto di trattare o eliminare malattie, ma
anche di "incrementare" caratteristiche umane al di là
di quello che è necessario per restare o tornare in buona
salute. Esempi potrebbero essere sforzi volti ad accrescere altezza o
intelligenza, o ad intervenire per cambiare certe caratteristiche
come il colore degli occhi o dei capelli».
A sua volta, la National
Science Foundation ha dichiarato nel 1991, in un simposio con il Dipartimento del
Commercio americano intitolato "Converging
Technologies to Improve Human Performance" [alias],
che i partecipanti al convegno «raccomandavano
una priorità nazionale in termini di ricerca e sviluppo sulle
tecnologie convergenti nel miglioramento delle prestazioni umane, in
particolare nei campi "nano, bio, info, cogno"»
()
(nanotecnologia, biotecnologia, informatica e scienze cognitive) ()
.
Personaggi
come lo stesso Craig
Venter, che come già ricordato con la Celera
Genomics ha per primo completato la mappatura del genoma umano, e
il premio Nobel Hamilton
Smith, sono oggi impegnati nella ricreazione da zero del genoma
funzionante di un microorganismo. Fino ad ora, era stato riprodotto
il "genoma" di alcuni virus, come il phiX174 su cui ha
lavorato Arthur
Kornberg: il progetto di Venter riguarda invece la ricostruzione
del genoma del mycoplasma
genitalis, microbo molto semplice ma che presenta tutte le
normali funzioni cellulari. Tra l'altro ciò rappresenta, come
è ovvio, un passo fondamentale verso il vecchio obbiettivo
della "creazione della vita in laboratorio" ();
ma le sue ricadute potenziali a termine con riguardo alla
comprensione e gestione della genetica degli animali superiori e
dell'uomo sono altrettanto evidenti.
In
tale quadro, per quanto riguarda l'intervento diretto sul genoma
umano, giova notare che allo stesso non risulta più in alcun
modo applicabile l'"obiezione Beethoven" ()
avanzata contro le misure eugenetiche tradizionali, secondo cui
politiche volte a limitare la procreazione dei portatori di
caratteristiche indesiderabili potrebbero portare stocasticamente
alla perdita di tratti genetici o fenotipi eccezionali, buttando per
così dire il bambino con l'acqua calda. Tale intervento
infatti è letteralmente terapeutico, limitandosi a
modificare quanto deliberatamente preso di mira, e consentendo
viceversa in potenza la conservazione di tratti positivi casualmente
associati con altri incompatibili con la sopravvivenza o altrimenti
indesiderabili.
«Così,
la mutazione tecnologica è molto probabilmente durevole»,
scrive Kempf. «Bisogna
abituarci all'idea di manipolare fortemente l'essere umano, di
coltivarne le parti, di clonarlo, di programmarlo, di impiantarvi
dispositivi bionici, di interagire con macchine sempre più
dotate, etc. Non è che tutto sarà fatto,
ma tutto sarà possibile.
La trasformazione artificiale degli esseri si impone all'orizzonte
della società» .
Anche
le obbiezioni basate sulla complessità delle sfide che ci
stanno di fronte mancano sostanzialmente il bersaglio. E'
assolutamente vero che ci sfugge del tutto il meccanismo genetico di
alcune caratteristiche, pure certamente ereditarie, e che la
ricostruzione ingenua che immaginava il DNA codificasse in modo
semplice e lineare le caratteristiche del fenotipo è soggetta
oggi ad importanti revisioni. Ma la nostra capacità di
manipolare i geni è definita non dalla nostra ignoranza
di molti geni e combinazioni di geni che non capiamo, ma dalla
profondità della nostra conoscenza dei pochi che capiamo già.
Mano mano che la genetica umana, animale e vegetale continua a
dipanarsi, troveremo che molti tratti sono troppo opachi per
ipotizzarne un'alterazione in tempi prevedibili, per altri la cosa è
in qualche misura oscura ma fattibile a medio termine, e altri ancora
risultano sorprendentemente semplici.
La
natura apparente di un tratto fenotipico del resto non ci dice nulla
quanto alla complessità della genetica che vi sta alla base.
«L'"orecchio
musicale assoluto", o intonazione perfetta, è la
capacità di identificare una nota musicale senza alcun termine
di paragone con cui fare una comparazione [ad esempio un diapason, o
la nota emessa da uno strumento musicale]. I meccanismi cognitivi e
fisiologici posti in opera da chi ne gode per raggiungere tale
risultato sono senza dubbio complicati, così che ci si
potrebbe aspettare che tale abilità sia la risulta di
contributi genetici numerosi, ma alcuni studi di associazione
familiare suggeriscono che il potenziale di sviluppare un "orecchio
assoluto" potrebbe dipendere da un singolo allele (ovvero
la variante presente negli interessati di un singolo gene). E ciò
benche l'acquisizione concreta di tale dote dipenda da un precoce
addestramento musicale, tipicamente a partire dall'infanzia, così
che come molte altre doti dipende insieme da una predisposizione
generica e da un allenamento specifico» .
Come
scrive Stock [alias],
«Nessuna persona
ragionevole nega la complessità dei sistemi biologici, così
che una certa dose di scetticismo in mezzo all'esuberanza
scandalistica dei titoli dei quotidiani sulla rivoluzione genomica è
salutare. Ma concludere [o sperare] che non potremo mai superare le
difficoltà scientifiche e tecniche è prematuro, a dir
poco. Oggi, la manipolazione della linea germinale umana non è
né fattibile né tantomeno sicura. Tra un decennio
potrebbe ancora non esserlo. A due o tre decenni di distanza la
storia potrebbe essere diversa. Interventi concretamente praticabili
sulla linea germinale umana non richiederanno scoperte rivoluzionarie
[fundamental breakthroughs],
solo un avanzamento costante nella scala della nostra esplorazione
del genoma umano. Nel giro dieci anni, ne sapremo molto di più
su come le nostre predisposizioni e vulnerabilità genetiche
si manifestano. Molte di queste influenze saranno probabilmente
impossibili da manipolare utilizzando la tecnologia attuale, altre
risulteranno difficili da decifrare ma non impossibili da maneggiare,
ed altre ancora potranno essere cambiate in modo relativamente
facile» ().
Rileva
Alexander: «Dal
punto di vista biotech, ci sono quanto meno 1500 buone ragioni per
ritoccare la biologia umana. Questo è il numero minimo di
malattie con una riconosciuta determinante genetica. Di fatto, quando
ti fermi a pensarci, siamo ben malcombinati. Sì, ce l'abbiamo
fatta attraverso quattro milioni di anni di evoluzione, ma abbiamo
raccolto un sacco di spazzatura lungo la strada. Il genoma di ogni
persona ha qualcosa di sbagliato. Gli europei bianchi soffrono di fibrosi
cistica, con i polmoni che si riempiono di muco lasciando i corpi
senza fiato. Gli africani hanno l'anemia
falciforme, un gene mutante che trasforma i loro globuli rossi in
piccoli boomerang quasi incapaci di trasportare ossigeno. Italiani e
greci e ciprioti hanno la talassemia. Gli ebrei hanno la sindrome
di Tay-Sachs. Ci sono labbri leporini, bambini mongoloidi,
cromosomi X "fragili". La gente nasce con dozzine di
possibili sindromi come quelle di Marfans, Kleinfelter, Rett, Wiscott-Aldridge,
Kartageners, Pelizaeus-Merzbacher, Leigh,
il Cri
du Chat,. L'evoluzione, diceva Watson "può essere dannatamente crudele"... Oggi i medici
vedono molti pazienti che vogliono sapere tutto sui test genetici,
sulla PGD (pre-implantion genetic diagnosis). Spesso, tali genitori non hanno
problemi di fertilità, ma per ragioni familiari preferiscono
sottoporsi ai rigori della procrezione assistita così che i
loro embrioni comincino a crescere in un piattino, non in un utero»
().
Oggi questo consente una manipolazione puramente diagnostica, a fini
di selezione degli embrioni (),
ma la tecnica apre la strada alla modifica diretta del genoma.
Continua Alexander: «Che
differenza c'è tra dare a un bambino insulina per il resto
della sua vita ed inserire un gene per la produzione di insulina in
un embrione che ne è sprovvisto? Non solo il bambino sarebbe
definitivamente curato, ma non passerebbe il difetto genetico ai suoi
figli, né questi ai loro».
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