Biopolitica. Il nuovo paradigma


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La voce della reazione

Nel 1978, all'apice del successo mediatico della cosiddetta Nouvelle Droite, all'epoca fortemente caratterizzata dalle sue riflessioni su materie come l'etologia umana, i rapporti tra razza e intelligenza, l'evoluzione, la sociobiologia, la demografia, etc., ed in particolare dalla polemica contro la repressione culturale e scientifica in essere su questi argomenti (55), Albert Jacquard scrive per reazione un volumetto dal titolo paradossale di Eloge de la différence (56); tale testo è di grande interesse, perché pur essendo di qualche anno fa solleva già buona parte delle questioni decisive, e, senza davvero falsificare i dati rilevanti, che anzi riporta in abbondanza, cerca di trarne conforto per una posizione diametralmente opposta a quelle descritte nel presente studio.

Leggiamo nell'introduzione: «La caratteristica dell'Uomo è trasformare tutto ciò che lo circonda, la sua natura è vivere artificialmente. Egli manipola secondo i propri fini l'ambiente nel quale vive, fino a modificare le specie vegetali e animali che gli sono utili. Basata su una conoscenza sempre più precisa dei meccanismi del mondo inanimato e di quello organico, la sua azione è divenuta sempre più efficace. Questo nuovo potere, perché non utilizzarlo per raggiungere l'obiettivo più affascinante: il miglioramento dell'Uomo stesso?».

E l'autore continua: «È un'idea molto antica. L'Umanità è responsabile non solo della propria trasformazione morale o spirituale, del proprio progredire verso una civiltà migliore, ma lo è anche del proprio divenire biologico. Già gli Egiziani, gli Ebrei, i Greci si preoccupavano di difendere la loro "razza" da un'eventuale degenerazione, di migliorare, se non l'insieme, almeno una parte del gruppo, di giungere ad un Uomo nuovo, a facoltà superiori. L'abbandono nel XIX secolo delle teorie fissiste che vedevano in ogni specie una creazione specifica, definitiva, di Dio, e la scoperta del processo di trasmissione di caratteristiche biologiche fra una generazione e l'altra, la conoscenza progressivamente affinata del nesso tra la composizione del patrimonio genetico e le caratteristiche individuali hanno alimentato nuove speranze: diverremmo finalmente "novelli Pigmalione", in grado di plasmare la nostra specie? Al di là delle speranze e di timori imprecisati, è necessario fare il punto su quello che si sa, e soprattutto su quello che si vuole: di cosa si tratta veramente?».

È fin troppo facile rimarcare qui una serie di luoghi comuni. Per coloro per cui l'"Umanità" non esiste, esistono solo gli uomini e le civiltà concrete cui questi danno vita, è difficile immaginare che l'Umanità possa essere responsabile di alcunché, men che meno di un "progresso" che appartiene esclusivamente alla mitologia linearista e provvidenzialista del monoteismo secolarizzato, e che oggi è rimesso in discussione anche in tale ambito. Arbitraria e grossolana appare anche la generalizzazione di «Egiziani, Ebrei, Greci», come se la riflessione di tali tre culture sulla propria rispettiva "etnicità" avesse mai seguito percorsi convergenti! Infine, proprio chi rivendica l'eredità "greca" ed indoeuropea come propria radice, e ad essa si richiama come origine esemplare, è ben consapevole che quella dell'"Uomo nuovo" è un'idea... postmoderna, non pre-moderna.

Ciò detto, è difficile non sottoscrivere tale programma, eventualmente per giungere alla fine a conclusioni opposte a quelle dell'autore.

Un anno prima era uscito negli Stati Uniti un altro libro, scritto da Jeremy Rifkin e Ted Howard, intitolato Who Should Play God? The Artificial Creation of Life and What it Means for the Future of the Human Race (57), che invece si preoccupava di denunciare le minaccie della nuova tecnologia che ormai cominciava ad essere chiamata "ingegneria genetica". Tra le altre cose il libro prediceva che specie transgeniche, chimere, cloni, bambini concepiti in provetta, uteri in affitto, la fabbricazione di organi umani e la chirurgia genetica si sarebbero tutti realizzati nel corso del secolo, e dava una veste rispettabile ad idee già fatte proprie da movimenti come Science for the People, che oltre a predicare l'ostracismo accademico contro i test di intelligenza e la psicometria in generale (58) suggeriva in modo non troppo metaforico di far saltare semplicemente in aria i laboratori di genetica.

Orientamenti non molto diversi esprimevano del resto le prime riflessioni italiane in materia, soprattutto in ambito cattolico (con le questioni del controllo delle nascite, della fecondazione artificiale e dell'aborto a fare da battistrada) e soprattutto nel mondo ecologista in via di trasformarsi anche nel nostro paese in movimento politico, con i due filoni rappresentati dall'associazionismo ambientale e dai militanti di sinistra delusi nella loro attesa della rivoluzione. Se i partiti "verdi" restano minoranza, talora infima, nelle sinistre dei vari paesi, gli stessi d'altronde finiscono per liquidare definitivamente, soprattutto in Europa occidentale, gli entusiasmi leninisti del tipo "soviet più elettricità" ed esercitano un'influenza profonda tanto sui partiti comunisti e socialisti che sui gruppi più radicali (59).

Nello stesso periodo, del resto, gli intellettuali d'area cominciano anzi a prestare orecchio al neomalthusianesimo del Club di Roma (60), e il millenarismo prende il posto dell'ottimismo "progressista" di maniera, in salsa di opposizione contro il "fascismo elettronucleare", nell'idea che l'uomo non debba passare certi limiti, che li abbia già passati e che si debba anzi tornare indietro, sull'onda anche del dissesto ambientale creato dal "miracolo economico" degli anni precedenti, e della crisi energetica dei primi anni settanta, considerati da taluno la prima avvisaglia del medioevo prossimo venturo (61).

Il termine "ecologia" è stato introdotto per la prima volta nel linguaggio corrente da Ernst Haeckel. Nel 1868, nella sua Storia naturale della creazione, Haeckel [alias] definiva l'ecologia come «lo studio dei rapporti tra l'essere vivente e l'ambiente che lo circonda; definizione che può ancora essere ritenuta valida se si tiene presente l'evoluzione che ha subito successivamente il concetto di ambiente (62). L'ecologia rappresenta così una "spazializzazione" della biologia, ovvere l'applicazione di metodi di analisi interdisciplinare ad una data situazione, ad un dato luogo, precisi e delimitati e localizzati, in parte fisico-chimici (ciò che viene chiamato biotopo), in parte biologici (ciò che viene chiamato biocenosi).

Di questo qui-ed-ora ecologico, cui viene dato il nome di ecosistema, non vengono studiate soltanto le caratteristiche, la morfologia e le componenti, ma anche le tendenze evolutive, le condizioni di equilibrio e disequilibrio, la storia passata, le reazioni al mutare di alcuni fattori, etc.

Appare così evidente come sia estremamente grande il numero delle discipline implicate nello studio dell'ecologia, dalla chimica alla climatologia, alla geologia, alla meteorologia, alla paleontologia, a tutti i rami della biologia stessa, tra cui genetica, etologia, istologia, dietologia, biochimica, botanica, zoologia, agraria. I dati che queste dscipline forniscono vengono poi trattati ed estrapolati in base ad una tipica analisi sistemica. Ritroviamo così in campo ecologico una serie di concetti di uso frequente in tutti i campi descrivibili in termini cibernetici: modello, stato, storia di stati, sistema aperto e chiuso, autoregolazione, retroazione positiva e negativa, equilibrio, livello di astrazione, simulazione, etc.

A partire dall'ecosistema in astratto vengono inoltre definiti, oltre al biotopo e alla biocenosi, l'habitat (ovvero l'insieme dei biotopi in cui un organismo può vivere, in quanto possiedono tutti i requisiti necessari alla vita dello stesso), la nicchia ecologica ("parte" dell'habitat in cui vive una data specie, ovvero l'insieme dei rapporti di questa con l'ecosistema), la successione ecologica (la trasformazione evolutiva di una data biocenosi), il climax (stato di massimo sviluppo in condizioni di equilibrio) (63), che sono le principali categorie analitiche dell'ecologia moderna, cui va ancora aggiunta la valenza ecologica, ovvero la maggiore o minore capacità di un organismo ad adattarsi a variazioni dell'ambiente (64).

Va sottolineato che l'ecologia non si oppone minimamente ad un intervento dell'uomo sull'ambiente. Al di là della considerazione ovvia che l'ecologia, in quanto scienza (e quindi insieme di proposizioni descrittive e non normative) non si "oppone" nemmeno all'inquinamento generalizzato ed al suicidio collettivo per avvelenamento, ma ci dice soltanto quali saranno i risultati di dati fattori, dopo di che sta a noi decidere ciò è vero anche in un senso più profondo.

L'ecologia infatti, proprio in quanto scienza, ricerca e determina "definizioni operative" dei propri oggetti di indagine, elabora modelli che permettono previsioni di approssimazione crescente, analizza le relazioni causali all'interno dei sistemi studiati. Ovvero, come ogni altra scienza, fonda una propria tecnica che permette, anzi, crea una situazione di appropriazione e dominio dell'uomo sull'oggetto studiato, in questo caso l'ambiente, l'ecosistema, la natura.

E' così solo per uno scivolamento semantico, pur tutt'altro che insolito, che a partire dagli anni settanta il termine stesso di ecologia finisce per rimandare all'ideologia che può essere definita ecologista, ideologia che ha espressioni proprie, ma che è presente, in forma diluita, in tutta la cultura dominante e, ad esempio, praticamente in tutti i partiti politici italiani. La tesi centrale di questa, secondo Hans-Magnus Enzensberger [alias], si esprime così: «le società industriali della terra producono delle contraddizioni ecologiche che le condurranno (necessariamente) alla rovina in un avvenire prossimo». Affermazione che traspone le affermazioni di Marx dal dominio economico al dominio "naturalistico": nello stesso modo in cui si riteneva che le contraddizioni interne del capitalismo avrebbero portato alla sua perdita, le "contraddizioni ecologiche" dovrebbero portare alla fine del mondo o perlomeno della "civiltà delle macchine".

Domina così un'idea della Natura astratta ed universalista, percepita da un lato come statica, immutabile, da sempre e per sempre data, dall'altro come nettamente separata, anzi in opposizione all'uomo rispetto all'uomo e alla cultura, trascurando il fatto che l'uomo, in quanto essere vivente, della natura fa comunque parte, per quanto vi sia chi arrivi a sostenere che la nostra specie è un "incidente", una manifestazione "patologica" o un "cancro". In realtà, però, è la stessa scienza ecologica a rimettere in discussione questa visione paradisiaca (non estranea del resto al fatto che i suoi propugnatori vivono come tutti gli intellettuali occidentali in un ambiente iperprotetto), nel momento in cui ci mostra come gli ecosistemi evolvano e decadano, come gli equilibri che si vengono a creare siano in realtà risultanti dinamiche provvisorie, che possono variare e variano nel tempo anche senza nessun intervento "umano", risultanti dalla lotta di tutte le specie (o meglio dei loro geni) per mantenersi ed espandersi, e dai caratteri di quel biotopo in quel momento dato.

Non esiste in realtà alcun equilibrio naturale prefissato ed indefinitamente autosufficiente che possa essere "turbato". Il successo dei mammiferi, evento certo non provocato dall'uomo, ha "distrutto" in un certo senso l'equilibrio precedente dell'ecosistema, creandone uno nuovo. Al contrario, l'immigrazione di una specie straniera in un dato habitat può provocare teoricamente la scomparsa della maggiorparte delle forme di vita di quell'ambiente, magari compresa alla fine la stessa specie estranea. Fenomeni di inquinamento, ad esempio a seguito delle eruzioni vulcaniche o del rilascio di idrocarburi negli oceani, si verificano anche spontaneamente, creando sterilizzazione di zone limitate o potenti spinte selettive verso l'adattamento degli organismi presenti. Alcune specie animali, d'altra parte, tendono spontaneamente all'estinzione: una decisione umana di tenerle forzosamente in vita, in sé perfettamente legittima, non è però di per sé più "naturale" della scelta di eliminare una specie di per sé vitale, come quella dell'agente patogeno del vaiolo.

Inoltre, questa idea stessa della Natura parte da esperienze di un mondo che conosce già da millenni, come abbiamo visto, l'intervento plasmatore dell'uomo. La natura di per sé non è né incontaminata, né benigna, né adatta, ma solo adattabile, alla vita umana. Chi la immagina come un incrocio tra uno zoo, un giardino, un frutteto e un campo da golf, non si rende conto di quanto sia influenzato da un quadro che è già opera dell'uomo. Abbiamo notato come il parco di Versailles non è di per sé più naturale del relativo castello. La creazione di spazi agricoli e la rotazione delle colture, praticata da tempi immemorabili, permettono un ciclo continuo di scambi tra il terreno e le coltivazioni che assicura una continuità di rendimenti elevati assolutamente "innaturale", come lo è l'irrigazione, o la bonifica dei terreni paludosi. Il fuoco di legna, con tutti i significati psicologici e simbolici che lo stesso possa rivestire, è un sistema di riscaldamento tragicamente inefficiente, altamente inquinante e dai costi forestali ed idrogeologici elevatissimi. Le economie tradizionali, o di penuria, creano i danni ambientali propri ad un'economia di spoglio in cui il fattore ambientale viene appunto considerato come un dato da sfruttare per quanto possibile, non come una variabile su cui agire o una risorsa da gestire –, e la loro generalizzazione e riadozione ai livelli attuali di popolazione mondiale condurrebbe verosimilmente a scenari catastrofici.

In ogni modo, gli ecologisti non riuscono per lo più a trovare un accordo preciso né sulla data del crollo finale che si presenterà in mancanza di un radicale mutamento della situazione attuale, né sulla possibilità, ed eventualmente sul modo, di evitarlo. Nell'ambiente ecologista si arruolano così ben presto neomarxisti e socialdemocratici; ecologisti "liberali" che sognano una repubblica di saggi governata dall'amore universale e dalle "tecniche dolci"; quelli "all'americana", tra droghe psichedeliche, comunità rurali, paccottiglia metafisica e orientalismo; i fautori del localismo esasperato come quelli del governo mondiale, sino che si arriverà più tardi ai teorici dell' "ecologia del profondo", che vedono nell'ecologismo un nuovo paradigma universale alla cui luce ripensare il significato generale della presenza dell'uomo nel mondo, da essi declinata nel senso ambiguo di un apprezzabile rifiuto del dualismo monoteista e scientista che però ricade subito nella condanna della dimensione storica e prometeica dell'uomo, lungo le linee consuete della visione del mondo dominante (65), che vengono assunte anzi nella forma più estremista dell'aperto auspicio di un ritorno umano alla "pura animalità".

Dall'insieme di tali punti di vista nascono in Europa come abbiamo detto i partiti "verdi" (il cui spazio elettorale in Italia è stato per un po' occupato dal Partito radicale, ma che poi ha visto anche da noi crearsi, scindersi e ricomporsi forze politiche "specializzate"), alcune piccole case editici, innumerevoli pubblicazioni come l'italiana La Nuova Ecologia o la francese La Gueule Ouverte, per non contare la costituzione di gruppi di pressione e club di pensiero, il consolidarsi della variante rappresentata dall'animalismo (che costituisce in certo modo un'estensione coerente della sensibilità umanista ad almeno un certo numero di altre specie) e la penetrazione nei quadri dei partiti della sinistra tradizionale, in cui la componente "ambientale" comincia a partire dalla metà degli anni settanta a rappresentare un centro di interessi e di convergenze trasversali tra le varie correnti interne, ed a costituirsi in area privilegiata della riflessione in materia più in generalmente biopolitica, su linee tendenzialmente reazionarie, di tale settore politico.

Nello stesso periodo, nell'ambiente dei Campi Hobbit e del mondo giovanile del MSI girava del resto tale Alessandro Di Pietro, esponente della corrente rautiana del partito, che proprio in tali anni aveva creato un'effimera rivista intitolata Dimensione ambiente, collegata ad un'organizzazione di massa, più o meno immaginaria, o meglio fondata sulle medesime risorse umane di un'altra miriade di sigle specializzate al tempo fiorite nell'ambiente, e che ancora oggi in qualche modo pare sopravvivere, chiamata Gruppi di Ricerca Ecologica. Dimensione ambiente faceva d'altronde riferimento ad un più ambizioso ed élitario Centro di Ricerca Biopolitica, e parallelamente al tentativo di accreditarsi con riguardo alle tematiche ambientaliste da poco divenute scottante argomento di attualità politica diffondeva poster contro l'ingegneria genetica con l'immagine di Boris Karloff nella parte della creatura di Frankenstein e lo slogan «Fermate il mostro». Molti neofascisti ed ex-neofascisti, specie quelli che resteranno alla destra dello schieramento politico italiano, continueranno con varie altre componenti di tale area a schierarsi in prima fila nell'opposizione alla "rivoluzione biologica", talora senza percepire apparentemente la tensione tra tali posizioni e l'eredità faustiana cui pure dovrebbero in teoria partecipare, altre volte facendone anzi un tema di esplicita polemica "interna" contro chi invece si rifà apertamente a tale eredità nell'ambito del loro mondo (66).

La divulgazione "ottimistica" di Walter F. Bodmer ed Alan Jones che in Futuro biologico (67) descrivevano all'inizio degli anni ottanta un mondo di terapie genetiche, trapianti, protesi miracolose, cure contro la sterilità, diagnosi prenatale, allungamento della vita media, etc., rappresenta perciò un'eccezione, e l'impegno militante liberal o conservatore risulta ugualmente accanito sia contro le prospettive di applicazione pratica delle nuove scoperte che contro la ricerca pura.

Abbiamo già ricordato il caso della psicometria, e della ricerca riguardo all'ereditarietà delle caratteristiche e capacità mentali degli individui e delle razze, per cui sono stati crocifissi Jensen e Eysenck (68); similmente, a suo tempo la rivista milanese l'Uomo libero aveva ampiamente registrato le questioni insorte intorno all'etologia di Lorenz e Ardrey e compagnia (69), come prima ancora avevano fatto in Francia Eléments [edizione Web] e Nouvelle Ecole; verso la fine degli anni settanta scoppia altresì lo scandalo della sociobiologia (70), considerata un potenziale alibi per una politica di oppressione sociale, che vide addirittura la fondazione di un Sociobiology Study Group, con alla testa Richard Lewontin [alias], Jonathan Beckwith e Stephen J. Gould (71), gruppo di studio... sulla sociobiologia ed i sociobiologi – dove "studio" significa in sostanza monitoraggio, denuncia e ostracismo.

In effetti, secondo il lavoretto propagandistico già citato di Fuschetto, «il passaggio epocale segnato dalla rivoluzione genetica» sarebbe identificabile con due presupposti: «1) è possibile governare lo svolgimento dell'evoluzione biologica (prospettiva faustiana); 2) è possibile ricondurre gran parte della natura umana a fattori genetici (dogma sociobiologico)... Occorre rilevare che l'importanza del passaggio di queste due considerazioni in vere e proprie convinzioni scientifiche è di grandissimo momento proprio ai fini dell'organizzazione sociale e della legittimazione politica» (72).

In realtà, il dibattito stesso "natura-cultura", su cosa spetti all'una e cosa all'altra (73), risulta, in una prospettiva postmoderna, tendenzialmente superato ed insignificante. I geni infatti non solo agiscono direttamente sul nostro corpo e sulla nostra mente modellando la nostra biologia, lo fanno anche indirettamente, influenzando l'ambiente che sperimentiamo, e ciò non solo a livello culturale e macrosociale, ma persino a livello individuale. Scrive Gregory Stock [alias]: «Un ragazzo che eccelle nello sport tenderà a gravitare verso attività atletiche, esattamente come uno che ama leggere di filosofia potrebbe scegliere obbiettivi più intellettuali. Entrambi i ragazzi finiscono per selezionare il proprio ambiente e le influenze che li trasformano. Ciò avviene anche in modi meno evidenti. Un bambino solitario e introverso quasi certamente genererà reazioni diverse in coloro che lo circondano rispetto a uno socievole ed adattabile. Così, viene in gioco un feedback che tende ad autorinforzarsi: le nostre predisposizioni biologiche modellano il nostro ambiente, che a sua volta sviluppa e rinforza le caratteristiche verso cui tendono tali predisposizioni. Alcune delle differenze che esistono nelle stime sull'ereditarietà del QI, per esempio, possono essere dovute alla diversa età dei soggetti nei vari studi. Sappiamo oggi che nella tarda adolescenza i gemelli identici allevati separatamente tendono ad essere ancora più vicini nel loro punteggio di quanto non lo fossero già nell'infanzia, e ciò può dipendere esattamente dalla crescita con gli anni del loro potere di allineare le loro attività ed ambiente alle loro predisposizioni. Risultati simili emergono con riguardo allo studio dell'ereditarietà di tratti come il comportamento asociale» (74).

In ogni modo, il messaggio della sociobiologia non è certo privo di ambiguità, a cominciare dal fatto di fondarsi su un acritico neo-darwinismo che non è possibile non giudicare scientificamente superato (75), per finire con problemi più radicali, quale il riduzionismo fondamentale della maggior parte dei suoi esponenti, che li apparenta non a caso ai teorici del neoliberismo o della cosiddetta "analisi economica del diritto" quali rispettivamente Milton Friedman o Richard A. Posner (76).

Ciò che qui interessa d'altronde non è solo quanto del pensiero sociobiologico possa contribuire ad una prospettiva alternativa e più penetrante sulla vita dell'uomo, ma la condanna "morale" che su di essa si è appuntata in quanto "antropologia", ovvero scienza "blasfema", come tale portatrice di un'ύβρις, ubris suscettibile di trasformarsi in una "manipolazione", se non altro mentale, dell'oggetto umano – ciò che esattamente dalla Bibbia alla Scuola di Francoforte [alias], da Abramo ad Horkeimer, Habermas e Marcuse, per arrivare a André Glucksmann o a Bernard-Henri Lévy [alias], rappresenta il peccato originale da cui l'uomo andrebbe costantemente difeso ed emancipato (77).

In effetti, Gehlen è d'accordo con la Scuola di Francoforte nel ritenere del tutto superato lo schema tradizionale secondo cui l'uomo, per mezzo della sua intelligenza, conosce il mondo e poi agisce di conseguenza. Scrive Maria Teresa Pansera: «Per Gehlen, viceversa, l'uomo conosce attraverso la sua azione, con un processo di reciproca interconnessione tra attività percettiva ed attività motoria. In altre parole, è possibile per Gehlen comprendere l'attività conoscitiva e l'intelligenza, specificamente umane, sulla base del concetto di azione: è radicamente sbagliato voler additare la differenza essenziale tra uomo e animale nell'"intelligenza"» (78).

D'accordo è anche Marcuse nel suo famoso pamphlet L'uomo a una dimensione: «Il metodo scientifico che ha portato al dominio sempre più efficace della natura [giunge] così a fornire i concetti puri non meno che gli strumenti per il dominio sempre più efficace dell'uomo da parte dell'uomo, attraverso il dominio della natura» (79). Come aveva già giustamente sottolineato Heidegger, la forma in cui si presenta la tecnica non è più quella di un semplice strumento, ma del "destino" e del "rischio" inerenti allo stesso essere dell'uomo (80).

D'altronde, la mentalità biblica, e i suoi prolungamenti nella "teoria critica" postmarxista o nei nouveaux philosophes, provano tanto orrore quanto i Karl Popper [alias] o le Hannah Arendt, pure allontanatisi dall'ortodossia religiosa ebraica in direzioni ben diverse da costoro, per l'esempio dei "fondatori di città", che come Licurgo o Romolo osano scrivere le tavole della legge e, nel tentare di creare un tipo d'uomo, farsi dèi. Lo stesso "fallimento del comunismo", e le "degenerazioni totalitarie" dei regimi del socialismo realizzato, vengono in effetti attribuite ad un'insufficiente sorveglianza contro le tentazioni di questo tipo, cui va costantemente opposta l'Arca vuota dell'individualismo irriducibile, che si ritiene ormai meglio custodita dal liberalismo occidentale che da pericoli tentativi di "scorciatoia per il paradiso".

Ma ancora più simbolica è la diffidenza per la "sperimentazione sull'uomo", non in senso macrostorico e sociale, ma semplicemente scientifico, e ciò non tanto per preoccupazione per gli individui coinvolti, ma per la sua natura blasfema e per i risultati di conoscenza empirica cui essa può eventualmente aspirare.

Anche se l'edonismo individualista ad esempio non può per principio opporsi a quanto necessario alla ricerca medica (81), tale materia è circondata comunque da una forte ostilità di massima, anche quando oggetto della sperimentazione sono volontari, persone ad uno stadio clinico disperato e senza alternative, condannati a morte, embrioni, semplici cellule sessuali, tessuti o geni, o persino... animali superiori; e regolarmente viene fatta balenare sullo sfondo l'immagine dello scienziato pazzo che svolge ricerche proibite e luciferine nel campo di concentramento nazista (82). Certo, il Mercato può prescrivere di avvelenare esseri uomini all'interno di fabbriche occidentali o farli morire di fame nelle favelas alla periferia delle grandi città, o giustiziarli nelle prigioni americane, o ancora bombardarli con uranio impoverito se sono rei di essere cittadini di uno "Stato canaglia", ma l'esperimento scientifico sull'uomo, che pure possa in ipotesi "salvare mille vite", merita sempre un sospetto particolare (83). Gli esseri umani è meglio osservarli soltanto, ed anche i risultati di tali osservazioni vanno costantemente passati al vaglio di una critica di ordine morale che impedisca di trarne conclusioni di carattere ideologico in senso forte.
A fronte di tali tentazioni, la ricetta sarebbe anzi la costante "demistificazione" di qualsiasi discorso sull'Uomo, doverosa in quanto appunto paralizzante rispetto ad ogni velleità di comprendere davvero e reinterpretare lo "specificamente umano" in vista della creazione di un "uomo nuovo" (84). Senonché, l'interesse postmoderno ad esempio per la sociobiologia è ben diverso da quello conservatore, "di destra", che secondo le note accuse vedrebbe in essa una legittimazione dell'ordine costituito e delle gerarchie in essere, e risiede proprio nella inversa demistificazione "realista" delle teorie che attribuiscono ai comportamenti umani ed alla struttura delle società ragioni puramente esterne ed occasionali (la Provvidenza, lo stadio storico della lotta di classe, il progresso tecnico o del mercato...) che andrebbero a innestarsi su una tabula rasa, che non solo è puramente immaginaria (85), ma si considera comunque intoccabile quanto i frutti dell'Albero del Bene e del Male.

La logica mercantilista, umanista e globalista si ritrae perciò smarrita rispetto alle prospettive che si aprono al "terzo uomo" – paventando essa stessa l'applicazione meccanica dell'impersonalità del Mercato, o al meglio di un microedonismo individualista, al nuovo mondo –, e finge che il rischio estremo cui il terzo uomo è confrontato non esista («andiamo avanti così, preoccupiamoci dell'andamento in Borsa della società e speriamo che in un modo o nell'altro tutto si aggiusti»); oppure si illude di poterlo evitare con regolamentazioni puramente repressive ed astensive («tagliamo i fondi alle ricerche, vietiamo le applicazioni, e il problema se ne andrà»). Ma in nessuno dei due casi sa realmente cosa rispondere alle domande che tale logica stessa si pone.

Scrive Rifkin: «Nel riprogrammare i codici genetici della vita non rischiamo una fatale interruzione di milioni di anni di graduale sviluppo evolutivo? E la creazione artificiale della vita, non potrebbe implicare la fine del mondo naturale (86)? Non sussiste il rischio di diventare alieni in un mondo popolato da creature clonate, chimeriche e transgeniche? La creazione, la produzione di massa e il rilascio su vasta scala nell'ambiente naturale di migliaia di forme di vita manipolate geneticamente non causeranno un danno irreversibile alla biosfera, facendo dell'inquinamento genetico una minaccia ancora più grave dell'inquinamento chimico e nucleare? [...] Cosa significherà essere uomini in un mondo dove i bambini vengono progettati geneticamente e alterati in utero, e dove le persone vengono identificate e potenzialmente discriminate in base al loro genotipo? Che rischi corriamo quando cerchiamo di progettare esseri umani "perfetti"?» (87).

Del tutto conseguenti sono le conclusioni che tira il paladino della "fine della storia" Francis Fukuyama: «La minaccia più significativa posta dalle biotecnologie contemporanee è la possibilità che esse finiscano per alterare l'umana natura, epperciò condurci in una fase storica "post-umana"... La natura umana modella e costringe i possibili generi di regime politico, così che una tecnologia abbastanza potente da rimodellare ciò che siamo avrebbe potenzialmente perniciose conseguenze per la democrazia liberale e la natura stessa della politica [...]. Dobbiamo usare il potere dello Stato per impedire l'accesso a tecnologie che possano minare la nostra attuale nozione di umanità, che potrebbero permettere a taluni di superare le limitazioni fisiche e mentali che oggi conosciamo» (88).

Conferma Stock [alias]: «La presente discussione contro l'"accrescimento dell'uomo" (human enhancement) non è ciò che sembra. Non ha nulla a che vedere con la sicurezza medica, il benessere dei bambini, la protezione del pool genetico umano. A un livello fondamentale, è una questione filosofica e religiosa. E' una questione su ciò che significa essere umani, sulla nostra visione del futuro dell'uomo» (89).

Eppure le sfide della nostra epoca non sono eludibili, non più di quanto siano riusciti i pigmei o gli aborigeni australiani ad "eludere" davvero, a lungo termine, l'avvento dell'agricoltura o della lavorazione dei metalli (90). Con la fondamentale differenza che essi almeno hanno potuto godere per secoli e millenni di una relativa segregazione, che oggi nessun angolo del globo è più in grado di garantire a nessuno. I prossimi destini del mondo e della specie umana ne coinvolgeranno in un modo o nell'altro tutti i suoi membri.

Nota ancora Rifkin: «Le nuove tecnologie di manipolazione genetica sollevano una delle questioni politiche più preoccupanti nella storia dell'uomo. A chi, in questa nuova era, vorremmo affidare l'autorità di decidere qual è il gene giusto che dovrebbe essere aggiunto al patrimonio genetico e qual è il gene cattivo che dovrebbe invece essere eliminato? Dovremmo investire il governo di questa autorità? Le grandi aziende? I ricercatori universitari? Se poniamo la questione in questi esatti termini, pochi di noi riuscirebbero ad indicare un'istituzione o un gruppo di persone cui affidare decisioni di una simile portata. Se comunque ci venisse chiesto di approvare i passi avanti della nuova biotecnologia che potrebbero aumentare il benessere fisico, emotivo e mentale della nostra progenie, molti di noi non esiterebbero neanche un secondo a dare la propria approvazione» (91).

La verità è che la visione del mondo individualista, edonista e borghese non solo non può evitare le conseguenze delle nuove possibilità aperte dalla biotecnologia, ma non può neppure moralmente ignorarle (92). Al tempo stesso, alle domande di Rifkin non c'è soluzione alcuna nell'ambito delle vecchie idee. Neppure un "postmarxista" come Rifkin, con l'accento sul "post", se la sente di affidare il futuro della specie alle multinazionali, ad una classe di chierici, ai capricci egoisti del consumatore, o a governi che oggi non rappresentano altro, nella migliore delle ipotesi, che il consiglio di amministrazione dei pochi servizi pubblici rimasti. E in realtà solo una volontà storica e politica in senso forte, solo la capacità di pensare progetti millenari ed epocali in un nuovo inizio, una nuova "arcaicità" (93) basata su un'etica del superamento-di-sé, può farsi carico della sfida, e rallegrarsene, in nome se non altro dell'amor fati.

Scrive Guillaume Faye: «L'attuale civiltà non può durare. [...] In un numero crescente di settori, la mentalità e l'ideologia del mondo moderno, individualista ed egualitario non sono più adeguate. Per affrontare il futuro, occorrerà ricorrere sempre più di frequente ad uno spirito arcaico, cioè postmoderno, inegualitario e non umanista, che possa rifondare valori primordiali. [...] I progressi della tecnoscienza, soprattutto nel campo della biologia [corsivo nostro] e dell'informatica, non si possono più gestire con i valori e le mentalità umanisti e moderni. [...] La disputa tra tradizionalisti e modernisti è divenuta sterile. Non bisogna essere né una cosa né l'altra, ma archeofuturisti. Le tradizioni sono fatte per essere purgate, scremate, selezionate. Molte di esse sono portatrici di virus che esplodono oggi in tutta la loro virulenza. Quanto alla modernità, essa non ha probabilmente alcun avvenire» (94).

Precisa l'autore francese: «È inevitabile nel XXI secolo l'accendersi di un conflitto tra le grandi religioni monoteiste (Islam, cristianesimo, ebraismo, religione laica dei Diritti dell'Uomo) e i progressi della tecnoscienza biologica ed informatica. Kempf, nel suo libro La revolution biolithique 95 spiega che la scienza sta per completare un "passaggio" paragonabile a quello della rivoluzione neolitica che fece transitare l'homo sapiens dalla caccia e raccolta all'allevamento, all'agricoltura e all'adattamento dell'ambiente alle sue esigenze. Noi viviamo oggi una seconda grande mutazione, al tempo stesso informatica e biologica. Questa rivoluzione consiste nella trasformazione artificiale degli esseri viventi, nell'umanizzazione delle macchine (i futuri elaboratori quantistici e soprattutto biotronici), e nelle interazioni uomo-androide che ne discendono».

E ancora: «L'antropocentrismo e la definizione unitaria ed indivisibile della "vita umana" come valore in sé, che costituiscono i dogmi centrali delle religioni monoteiste così come delle ideologie egualitarie della modernità entrano in brutale contraddizione con le possibilità offerte dalla tecnoscienza, e in particolare con l'alleanza "infernale" di informatica e biologia. Un conflitto su larga scala opporrà i laboratori ai dirigenti politici e religiosi che tenteranno di censurare e limitare l'applicazione delle scoperte, probabilmente senza riuscirci... Le gestazioni extrauterine in incubatrice, gli androidi biotronici intelligenti e "parasensibili", quasi-umani, le chimere (sintesi uomo-animale o animale-pianta i cui brevetti vengono depositati negli Stati Uniti), i "manipoloidi" o uomini transgenici, i nuovi organi artificiali che decuplicano le facoltà naturali, la creazione di superdotati (o di super-resistenti) tramite progetti di eugenetica positiva, le clonazioni, etc., tutto ciò rischia di fare a brandelli la vecchia concezione egualitaria e sacrale dell'"essere umano", molto più radicalmente di quanto possano aver fatto Darwin o le teorie evoluzioniste (96). La "fabbrica dell'uomo" è in via di realizzazione: creazione di organi artificiali, procreazione assistita, stimolazione delle funzioni organiche, etc.; e la confezione di macchine che mettano in atto processi biologici (elaboratori neurali, microchip basati sul DNA) è una prospettiva a breve termine. Sono tutte le definizioni stesse dell'uomo, del vivente e della macchina che è necessario riformulare. Uomini artificiali e macchine animali...».

Nello stesso senso rileva un autore "transumanista" come Gregory Stock [alias]: «Ad un primo sguardo, la nozione stessa che noi potremmo divenire più che "umani" sembra assurda. Dopotutto, siamo ancora biologicamente identici in virtualmente ogni aspetto ai nostri antenati che infestavano le caverne. Ma questa mancanza di cambiamenti è ingannevole. Mai prima abbiamo avuto il potere di manipolare la genetica umana per alterare la nostra biologia in direzioni sensate e controllabili... L'arrivo di una tecnologia sicura ed affidabile della linea germinale segnalerà l'inizio dell'auto-progettazione umana ad un nuovo livello. Non sappiamo dove questo sviluppo ci porterà alla fine, ma trasformerà il processo evolutivo incorporando la riproduzione in un processo sociale altamente selettivo che sarà molto più rapido ed efficace nel diffondere geni dominanti della tradizionale competizione sessuale e selezione del partner... Molto prima della fine di questo millennio avremo quasi certamente cambiato noi stessi abbastanza da essere divenuti molto più che semplici "umani"» 97.

E ancora: «Molti bioetici non condividono la mia prospettiva sulla direzione in cui ci stiamo avviando. Immaginano che la nostra tecnologia potrebbe diventare abbastanza potente da alterarci, ma che dovremmo sfuggirla e rifiutare la trasformazione dell'uomo. Ma la rimodellazione della genetica e della biologia umana non dipende da qualche cricca di ricercatori diabolici nascosti in un laboratorio in Argentina ed intenti a riprendere là dove Hitler ha lasciato. Le possibilità a venire saranno l'involontario sottoprodotto di ricerche ufficiali appoggiate praticamente da chiunque. Ricercatori e clinici che lavorano sulla fecondazione in vitro, ad esempio non si preoccupano molto dell'evoluzione futura dell'umanità, ma stanno nondimeno accumulando i fondamenti necessari a concepire, maneggiare, testare ed impiantare embrioni umani, il che costituirà un giorno la base per la manipolazione della specie umana» (98).

Conclude Faye: «Nel XXI secolo, l'uomo non sarà più ciò che era. Ne seguirà un deragliamento delle categorie etiche dominanti dagli effetti devastanti. Uno choc mentale, dalle conseguenze imprevedibili, rischia di prodursi tra due mondi: quello della nuova concezione biotronica e biolitica, e quello della concezione delle vecchie religioni monoteiste e della moderna filosofia egualitaria dei Diritti dell'Uomo (99). Solo una mentalità neo-arcaica potrà sopportare questo choc, dato che un tempo non era l'uomo (o un Dio unico a sua immagine e somiglianza) che era posto al centro del mondo, ma divinità multiple, che potevano perfettamente incarnarsi in qualsiasi forma di vita e che rappresentavano ciò cui l'uomo aspirava. in un progetto di superamento-di-sé. [...] Ciò rappresenta la fine dell'umanismo? Certamente».

Questo per gli europei significa scegliere di rivendicare, di ricollegarsi ad un'eredità che è loro specifica. Scrive Giorgio Locchi: «Il mito [indoeuropeo della fondazione] contiene un insegnamento implicito, fondato su un giudizio di valore specificamente indoeuropeo, che vuole che l'autenticità dell'uomo risieda nella sua capacità di "prendersi in mano", di "parlare" e di "agire" invece di "essere parlato" ed "essere agito". A partire dall'istante in cui l'uomo diventa cosciente di questa attitudine, cioè a partire dall'istante in cui riflette sul suo potere di autodomesticazione, una coscienza superiore sorge, e tende immediatamente a realizzarsi come tale nel fatto sociale. All'uomo-soggetto generico (e spontaneo) dell'azione magica esercitata su se stesso (100) s'aggiunge ormai l'uomo-soggetto specifico (e cosciente) dell'azione esercitata sull'altro uomo» (101).

Tale processo oggi può essere rinnovato nel passaggio all'uomo autocosciente, che sia in grado di superare in una sintesi superiore la crisi del "secondo uomo", ed in particolare la morale del Grande Rifiuto, dell'ewige Nein, che dopo duemila anni celebra oggi la sua egemonia a livello planetario.

Stefano Vaj


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(55) Cfr. ad esempio, Jean-Paul Hébert, Race et intelligence, Copernic, Parigi 1977; Yves Christen, L'heure de la sociobiologie, Albin Michel, Parigi 1979 (trad. italiana, L'ora della sociobiologia, Armando, Roma 1980); e più tardi, dello stesso autore, Le dossier Darwin, Copernic, Parigi 1982. Nouvelle Ecole, all'epoca la rivista teorica di riferimento del movimento, ha pubblicato tra l'altro nel periodo i numeri monografici su L'eugenisme (n. 14, gennaio-febbraio 1971), L'évolution (n. 18, maggio-giugno 1972), Darwinisme et société (n. 38, estate 1982). D'altronde, ripercorrendo gli indici della rivista troviamo sin dall'inizio e via via articoli su: LSD e alterazione dello stock ereditario (n. 1), razza, selezione e caratteri psichici (a firma di Alain de Benoist, n. 3), il probabilismo e la contraccezione (n. 4), la demografia (stesso autore, n. 5), la biosfera in pericolo (n. 6), la biologia del problema razziale e la sintesi del DNA (n. 7), la libertà sessuale (n. 8), l'aborto, l'integrazione scolastica e la psicologia razziale, i trapianti d'organo (n. 10), "le lezioni della biologia moderna: Monod, Lowoff, Jacob" (n. 15), la biologia molecolare e la teoria dell'evoluzione (n. 18), l'etologia (n. 25-26) , etc. La medesima rivista ha inoltre pubblicato articoli di Dawkins e Wilson (es. n. 38) e avuto Jensen, Eysenck, Lorenz, Eibl-Eibesfeldt, Ardrey nel suo "Comité de patronage".
(56)Albert Jacquard, Eloge de la difference, Seuil, Parigi 1981 [edizione parziale Web]. In traduzione italiana, Elogio della differenza, Nuova Universale Capelli, Bologna 1982. Il titolo è paradossale perché le idee che l'autore denuncia, quali il "razzismo", vengono interpretate come necessariamente ispirate da un desiderio di uniformità, riduzione ed assimilazione che invece non è altro che il riflesso deformato e "scorretto" delle posizioni ideologiche dell'autore stesso. In realtà, la maggior parte delle persone che attribuiscono un valore al concetto di razza ritengono che le differenze tra le razze non solo esistano, ma vadano protette, semmai accentuate, e certamente non eliminate attraverso una generalizzazione forzata delle caratteristiche della razza propria. Quest'ultima tendenza esiste solo, ed in modo marginale, nel "razzismo" anglosassone, in particolare americano. Anche in tale ambito risulta però difficile citare un autore o un movimento qualsiasi che davvero propugnino l'assimilazione o uniformizzazione delle "razze inferiori". Questa semmai è la conclusione implicita delle posizioni che si vorrebbero "anti-razziste" ma che concepiscono l'umanità come un tutt'uno, chiamato a convergere su caratteristiche etnoculturali certamente meticciate ma di matrice essenzialmente "occidentale".
(57) Jeremy Rifkin e Ted Howard, Who Should Play God? The Artificial Creation of Life and What it Means for the Future of the Human Race, Dell Publishing Co, New York 1977, tradotto in italiano con il titolo Giocare alla divinità, Feltrinelli, Milano 1980. Pur essendo Rifkin ebreo, il libro affronta la questione da un punto di vista "laico", senza chiamare esplicitamente in causa postulati religiosi monoteisti.
(58) Cfr. ad esempio Maurizio Minchella, "La demagogia contro la scienza", e Arthur R. Jensen, "Genetica, educabilità e differenze fra le popolazioni", in l'Uomo libero n. 8; nonché Jean-Paul Hébert, Race et intelligence, op. cit., e Hans Jürgen Eysenck, Race, Intelligence and Education, Library Press, New York 1971.
(59)Una posizione invece del tutto particolare è quella del Partito Radicale italiano, e poi transnazionale, che pur altrettanto impregnato di valori irenistici ed antifaustiani quanto il movimento "verde", li delina secondo una prospettiva individualistico-edonista e libertaria che lo vedrà direttamente impegnato in chiave anti-proibizionista su buona parte delle tematiche qui discusse, dall'aborto alla fecondazione artificiale alle terapie genetiche, al punto che il suo segretario, Luca Coscioni [alias], diventa una sorta di Christopher Reeves italiano ed il simbolo delle contraddizioni difficilmente superabili tra i valori liberal e la crociata "bioetica" oggi in atto. Il medesimo ambiente resta d'altronde all'assoluta avanguardia della political correctness con riguardo ad altri temi biopolitici come l'ambiente, la fame nel mondo, la crescita zero, i diritti degli animali, etc.
(60) Cfr. I limiti dello sviluppo, rapporto del Massachusset Institute of Technology all'associazione ginevrina di Aurelio Peccei, scenario millenaristico basato sull'estrapolazione di modelli matematici che ignorano completamente la diversificazione del panorama studiata ed i fenomeni di retroazione, è stato tradotto in dodici lingue, in italiano da Mondadori, Milano 1972. Tale forma di propaganda ad alti livelli per la decadenza programmata ed il suicidio demografico ed industriale dell'Europa è ancora in atto, anche se l'associazione si è nel frattempo trasferita ad Amburgo.
(61) Vedi il libro di Roberto Vacca intitolato appunto Il medioevo prossimo venturo, Mondadori, Milano 1971 [edizione Web]. La cultura popolare non resta naturalmente estranea a questo processo. E' della stessa epoca Holocaust 2000 (Italia 1978), cattivo film commerciale che mette d'altra parte in esplicita relazione la costruzione della prima centrale nucleare a fusione con l'avvento dell'Anticristo. Gli esempi comunque, soprattutto nel genere "atomico", sono innumerevoli: cfr. Sindrome cinese (USA 1979). Cfr. anche, per la narrativa pulp: Jane Roberts, Evasione nel caos, Mondadori, Milano 1975, sull'esplosione demografica e l'esaurimento delle risorse; Pedler Davis, L'effetto dinosauro, Mondadori, Milano 1974, sull'elefantiasi delle strutture e l'inquinamento atmosferico; Chelsea Quinn Yarbro, Tra gli orrori del 2000, Mondadori, Milano, 1979, sul crollo dell'ecosistema e la graduale estinzione del genere umano in una terra esaurita e sterile; e così via.
(62) Ciò soprattutto a partire dai lavori di Jakob von Uexküll sull'"ambiente specifico" (Umwelt). Più recentemente ed in in un senso più ristretto Georges Olivier ha proposto di considerare l'ecologia come studio delle particolarità morfologiche, psicologiche, genetiche in relazione con le localizzazioni spaziali e climatiche (L'écologie humaine, PUF, Parigi 1975); demarcazione che pare riferirsi però più che altro al campo limitato della cosiddetta autoecologia, ovvero quella branca che si dedica all'analisi dei rapporti e dell'adattamento di una singola specie in rapporto ad un ambiente dato.
(63) Il climax mantenuto artificialmente dell'uomo viene distinto con il termine di plagioclimax.
(64) Vedi quanto più estesamente illustrato in generale sulla questione ecologica, Stefano Vaj, "L'uomo e l'ambiente", in l'Uomo libero n. 7, art. cit.
(65) Alain de Benoist, che negli anni settanta-ottanta era schierato, con tutta quella che diverrà di lì a poco la Nouvelle Droite, su posizioni postmoderne, forse anche in relazione all'influenza "sovrumanista" di Giorgio Locchi che si combinava con residui "tecnocratici" di un periodo ancora precedente, finirà nel nuovo secolo per avvicinarsi con qualche distinguo alle posizioni di questa "ecologia radicale", cfr. il testo "Sur l'écologie", disponibile online sul sito Les amis d'Alain de Benoist, nonché l'intervista a Alessandro Bedini su Diorama letterario, giugno-luglio 2002. In realtà la differenza del pensiero debenoistiano attuale, a parte ciò che è in effetti possibile aspettarsi in relazione al suo crescente ripiegamento "tradizionalista", sono più che altro apparenti, posto che gli stessi identici argomenti utilizzati all'epoca dello speciale pubblicato su Eléments n. 21-22 ("Dossier Ecologie") per "denunciare" l'ecologismo vengono ora utilizzati invece per proporre "completamenti" e "correzioni" rispetto alle tematiche ed alle posizioni dell'"ecologia del profondo", guardata oggi con grande interesse. Guillaume Faye, da parte sua, come bene illustra il saggio già citato Archeofuturismo [edizione Web], resta risolutamente postmoderno, ma dimostra di augurarsi che l'incapacità del Sistema di gestire i suoi rapporti con l'ambiente si rilevi uno dei fattori che comporrà il mosaico di "crisi convergenti", di catastrofi nel senso etimologico del termine, che consentirà il superamento della sua attuale egemonia.
(66) Cfr. ad esempio Giovanni Monastra, già attivo nella contestazione della riscoperta "francese" di questa eredità della fine degli anni settanta, da sempre paladino dell' "anti-evoluzionismo" nel nostro paese, ed oggi autore di "Maschera e volto" degli OGM. Fatti e misfatti degli organismi geneticamente modificati, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2002, sorta di catechismo divulgativo a supporto delle posizioni del ministro italiano dell'agricoltura e leader della "destra sociale" Giovanni Alemanno, in cui Monastra non esita a rendersi solidale con custodi della political correctness giudeocristiana e neomarxista più estremista come Richard Lewontin [alias]. Appare significativo come nei primi capitoli del libro l'autore usi i termini "faustiano" e "prometeico", che lo stesso considera ovviamente dispregiativi, almeno una dozzina di volte. Nella prospettiva invece predicata dall'autore contro tali deviazioni «la Natura viene vista come una realtà, almeno in potenza, perfetta, madre e maestra, [...] cioè come il migliore dei mondi possibili nel nostro livello di esistenza» (pag. 22). Vedi anche la proposta di legge presentata in parlamento da Martinat, Rizzo, Mazzotti e Bono sulla fecondazione in vitro, che fa impallidire la legge Cè, ed è composta da un solo articolo: «E' vietata ogni forma di riproduzione assistita» (! - cfr. Fecondazione extra-corporea. Pro o contro l'uomo?, op. cit., pag. 100). Anche se forse ispirata almeno in parte a valori confusamente "liberali" o "femministi", va segnalata invece su quest'ultimo tema la coraggiosa contestazione delle posizioni ufficiali delle destre parlamentari italiane da parte di Alessandra Mussolini, già quando la stessa era ancora nello stesso gruppo parlamentare di Ugo Martinat (la stessa per altro cambierà apparentemente idea non appena avrà un partitino suo); e più tardi la decisione di Gianfranco Fini di vorte sì ad alcuni degli sfortunati referendum sulla legge Cè. Tomaso Staiti di Cuddia, già primo deputato del MSI a Milano per numero di preferenze e candidato alla segreteria del partito contro Almirante nel 1984, non aveva esitato da parte a comunicare all'ANSA i suoi quattro sì ai referendum suddetti.
(67) Walter F. Bodmer e Alan Jones, Futuro biologico, Bollati Boringhieri, Bologna 1979.
(68)Ancora pochi anni fa, Arthur R. Jensen, ora professore emerito di psicologia dell'educazione all'università di Berkeley, ci dice in Intelligence, Race and Genetics. Conversations with Arthur R. Jensen (ed. Frank Miele), Westview Press, New York 2002, di «ritenere che l'evidenza scientifica sia più forte oggi di quanto non fosse nel 1969 [anno in cui pubblicò il suo famoso articolo-scandalo sulla Harvard Educational Review] che il QI è altamente genetico, che la razza è una realtà biologica piuttosto che un costrutto sociale e che la causa dei quindici punti di differenza media tra bianchi e neri negli Stati Uniti è parzialmente genetica». La relativa discussione si era riscaldata negli anni novanta con la pubblicazione di The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life, di Richard Herrnstein (Free Press, San Francisco 1994), che analizza la classica distribuzione "a campana" del quoziente di intelligenza tra la popolazione e le sue determinanti genetiche. Il libro non è mai stato tradotto in Italia, mentre lo sono state le consuete denuncie scandalizzate di Stephen J. Gould (Intelligenza e pregiudizio, Il Saggiatore, Milano 1996).
(69) Stefano Vaj, "L'etologia", in l'Uomo libero n. 5. Vedi anche Alain de Benoist, Intervista sull'etologia (intervista a Konrad Lorenz), Il Labirinto, Sanremo 1979.
(70) In particolare con la pubblicazione, da parte di Edward O. Wilson dello studio intitolato appunto Sociobiology: The New Synthesis, oggi disponibile nell'edizione del venticinquesimo anniversario della pubblicazione (Belknap Press, Harvard 2000), trad. italiana Sociobiologia. La nuova sintesi, Zanichelli Bologna 1979. Stephen J. Gould aveva in particolare modo di commentare all'epoca della sua uscita che «teorie come queste hanno fornito un importante base [...] per le politiche eugenetiche che condussero alla creazione delle camere a gas nella Germania nazista» (in New York Review of Books, citato in T. Wolf, "What Do a Jesuit Priest, a Canadian Communications Theorist and Darwin II All Have in Common? Digibabble, Fairy Dust and Human Anthill" in Forbes, ottobre 1999. Vedi anche, di Wilson, l'articolo "Staking the Wild Taboo", e il libro già ricordato di Yves Christen, L'heure de la sociobiologie (trad. italiana, L'ora della sociobiologia, Armando, Roma 1980). Tra gli ulteriori esponenti della corrente sociobiologica tradotti in Italia vanno ricordati tra gli altri Dawkins [alias] e Barash, che avrà modo molti anni dopo di riassumere la sua opinione riguardo la "biologia" gouldiana in "Grappling with the Ghost of Gould" in Human Nature Review, luglio 2002, vol. 2, pag. 283-292 .
(71) I nomi degli studiosi in questione, così come quelli di alcuni loro correligionari, ricorrono in effetti spesso in questo tipo di iniziative, al punto da farli considerare esponenti di punta di una sorta di "polizia politica" al servizio della political correctness in campo scientifico.
(72)Cristian Fuschetto, Fabbricare l'uomo. L'eugenetica tra biologia e ideologia, op. cit., pag. 12.
(73) Cfr. le valutazioni che cercano di fissare in percentuale l'influenza dei fattori genetici sulle variazioni tra gli individui dei tratti che consideriamo significative, e che indicano risultati che spaziano dal 35 al 75%.
(74) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 100, trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005. In questo senso, entrano direttamente in collisione i doveri umanisti di rendere omaggio all'autonomia individuale, e quello di interpretare ogni variazione individuale come un effetto ambientale, che sarebbe nel caso solo da "correggere". Per minimizzare gli effetti dell'ereditarietà, l'unica scelta conseguente sarebbe infatti quella di limitare e contrastare, per tutta la vita dell'individuo,... l'espressione delle sue inclinazioni genetiche e della sua propria identità.
(75)Quanto al significato ideologico del lavoro di Charles Darwin, le questioni sono molto più complesse e prescindono in certa misura dalle opinioni politiche del naturalista – che da parte sua era in sostanza un borghese illuminista. Il darwinismo sociale, dopo essere stato per lungo tempo considerato un tema fortemente "di sinistra", in quanto potenzialmente eversivo delle rendite di posizione di classi dominanti protette dalla competizione sociale, viene presto denunciato come concezione "di destra" nel momento in cui giustificherebbe il riconoscimento e il libero dispiegarsi delle differenze tra gli uomini, eventualmente... in senso capitalista. D'altronde, il darwinismo, subito condannato dall'arcivescovo di Canterbury e da altri magnati, sostanzialmente in quanto considerato lesivo della loro dignità, non resterà più tardi privo di eco neppure negli ambienti fascisti, al punto che Goebbels [alias] scrive nei suoi diari di una visita allo zoo di Berlino in cui osservando alcuni scimpanzé era «rimasto ammirato una volta di più dall'evoluzione che questi avevano compiuto per giungere alla nobiltà ed alla bellezza dell'uomo nordico» (! - citazione ricordata tra l'altro in Anna Sigmund, Le donne dei nazisti, Corbaccio, Milano 2003). Da parte loro, alcuni intellettuali e studiosi tradizionalisti italiani (Giuseppe Sermonti, Giovanni Monastra, Maurizio Blondet, Roberto Fondi) da qualche decina d'anni fanno di Darwin l'icona stessa del progressismo e dello scientismo più sterili, dogmatici e deteriori. Allo stesso tempo, se taluni seguaci di Guénon o Mons. Lefèbvre non esitano al riguardo ad arruolarsi in chiave antidarwiniana sotto le bandiere "creazioniste" di pittoreschi e barbuti personaggi americani che ritengono che Calvino fosse troppo papista, o che Israele sia governato da una banda di rinnegati adepti del laicismo, posizioni più o meno diametralmente opposte assumono, almeno per un certo periodo, vari autori di quella che sarà poi definita Nouvelle Droite. In particolare, Yves Christen giunge a intitolare un libro Marx et Darwin, le grand affrontement (Albin Michel, Parigi 1981), vedendo addirittura simboleggiate dai personaggi suddetti le due ideologie il cui scontro sarebbe chiamato a determinare i valori della nostra epoca – con una scelta implicita a favore del secondo. Sotto il profilo più strettamente scientifico, d'altronde, il "nemico" di Christen non è il creazionismo (che del resto all'epoca ancora non aspirava ad uno status di "teoria scientifica", addirittura di dignità accademica), ma il lamarckismo, ovvero l'idea che il vivente evolve verso la perfezione attraverso l'ereditarietà dei caratteri acquisiti, cioè a seguito degli sforzi comulativi delle generazioni. Tale teoria, già superata all'epoca di Darwin, diventa in effetti dottrina ufficiale in Unione Sovietica almeno sino a tutto il periodo stalinista (cfr. D. Buican, L'éternel retour de Lyssenko, Copernic, Parigi 1978 e Joël et Dan Kotek, L'Affaire Lyssenko, Éditions Complexe, Parigi 1986, che raccontano la storia del biologo di Stalin e la sua famosa falsificazione con l'inchiostro della pigmentazione delle zampe di alcune rane). L'idea che l'educazione, l'assistenza, i buoni sentimenti, la vita virtuosa, le riforme sociali possano non solo cambiare completamente gli individui (come nella teoria lockiana della tabula rasa), ma addirittura plasmare – in meglio – la biologia delle generazioni future, è in effetti talmente consolatoria e conforme all'ideologia dominante da riemergere costantemente nell'inconscio collettivo. Più complessa la questione del rapporto tra Darwin e Friedrich Nietzsche [alias, alias]. Il filosofo tedesco saluta certamente il darwinismo come una demistificazione della fondazione metafisica del mondo naturale, e vari autori hanno sottolineato la comunanza di alcuni temi (la selezione, la lotta come principio del divenire) con il naturalista inglese, al punto che John Richardson propone una rilettura dell'intero pensiero nietzschano in chiave darwiniana (Nietzsche's New Darwinism, Oxford University Press, Oxford 2004) pur riconoscendo che appunto Nietzsche si porta risolutamente al di là di Darwin e Spencer, di cui non può evidentemente accettare (ed anzi criticherà aspramente per tutta la sua vita) proprio il residuo metafisico e l'evidente finalismo. Scrive Pierre Chassard: «Sarebbe sorprendente che ad un epoca in cui il trasformismo ha guadagnato alla sua causa gli spiriti più avveduti che le cose possano stare diversamente per Nietzsche, stante il suo rifiuto categorico di qualsiasi forma di creazionismo. [...] La sua critica al darwinismo ed al lamarckismo non può servire d'argomento per sostenere che la dottrina del superuomo non sia suscettibile di un'interpretazione biologica. Ciò che Nietzsche rigetta non è il trasformismo, ma le "spiegazioni" darwiniane e lamarckiane, perché non spiegano granché e perché sono macchiate dalla tara fondamentale di essere ancora condizionate dalla vecchia metafisica, professando un finalismo inammissibile per Nietzsche» (Nietzsche, finalisme et histoire, ult. ed. originale Mengal, Bruxelles 1999, trad. it. Nietzsche, finalismo e storia, a cura di Adriano Scianca, Barbarossa, Milano 2006). Un tentativo di arruolare Nietzsche sotto le bandiere dell'antievoluzionismo (cosa plausibile unicamente ove per "evoluzione" si intenda un processo direzionale diretto a qualche forma di miglioramento inverso all'"involuzione") è d'altronde contenuto in Nietzsche e l'evoluzionismo di Enrico Goni (Edizioni del Veltro, Parma 1989), con una "premessa" ed un "saggio introduttivo" rispettivamente dei soliti Sermonti e Fondi. Eppure l'idea che le specie non corrispondono certo ad archetipi di natura essenzialmente neoplatonica, tanto meno paracadutati in natura da qualche tipo di intelligent design trascendente, ma a prodotti di un divenire caotico di cui l'uomo stesso contemporaneo non è che un'espressione ed una fase, è espressa da Zarathustra in toni inequivocabili: « Ogni essere sinora ha creato qualcosa sopra se stesso: e voi volete essere il riflusso di questo gran flusso e ritornare alla bestia, anziché superare l'uomo? [...] Finora avete percorso la via che va dal verme all'uomo, e molto è in voi ancora verme. Una volta eravate scimmie...» (Così parlò Zarathustra, I, 3). (76) Cfr. Richard A. Posner, Economic Analysis of Law, ult. ed. Aspen Publishers, Chicago 2002.
(77)Rileva nello stesso senso Spengler: «A dire il vero, ogni teoria della scienza naturale è un mito intellettuale relativo alle forze della natura. Ma qui [ovvero nella prospettiva faustiana ed europea], e solo qui, la teoria è, fin dall'inizio, ipotesi di lavoro. Una ipotesi di lavoro non ha bisogno di essere esatta, le basta essere praticamente utilizzabile. Non si propone di svelare i misteri dell'universo che ci circonda, ma li vuole rendere utilizzabili per determinati scopi» (Ascesa e declino della civiltà delle macchine, op. cit., pag. 103, ult. ed. italiana con il titolo L'uomo e la macchina, versione originale: Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des Leben). Appare in effetti anche in questo caso una coincidenza quasi perfetta tra le analisi "sovrumaniste" ed "irrazionaliste" da un lato, e quelle della Scuola di Francoforte e dei suoi più consapevoli e radicali epigoni contemporanei dall'altro. Ciò che fa tutta la differenza è il rispettivo giudizio di valore, polarmente opposto, formulato sulle conclusioni delle analisi stesse. In questo senso le denunzie di parte della Nouvelle Droite contro quelle che sarebbero "demonizzazioni" arbitrarie da parte di tale ambiente sono fuorvianti: esso ha in realtà perfettamente ragione a ritenere "demoniaco", dal suo punto di vista, ciò che denuncia.
(78) Maria Teresa Pansera, L'uomo e i sentieri della tecnica: Heidegger, Gehlen, Marcuse, op. cit., pag. 89. Vedi anche Arnold Gehlen, Der Mensch. Sein Natur, und seine Stellung in der Welt, Akademische Verlagsgesellschaft, Wiesbaden 1978, trad, it., L'uomo, la sua natura e il suo posto nel mondo, Feltrinelli, Milano 1983, pag. 190.
(79) Herbert Marcuse, One-Dimensional Man : Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, ult. ed. Beacon Press, Boston 1991, trad. it. L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1999, pag. 172.
(80) Per la concidenza sorprendente ma frequente di punti di vista tra Heidegger e Marcuse, cfr. Rolf Wiggershaus, Die Frankfurter Schule, C. Hanser Verlag, Monaco 1986, trad. it. La scuola di Francoforte, Boringhieri, Torino 1992.
(81) Come noto, è il medesimo imperativo che ha finito per "forzare" i tabù civili e religiosi contro la dissezione dei cadaveri (già oggetto di interdetti di ratio assolutamente analoga sino ad epoca relativamente recente), così da indirettamente consentire, per la prima volta da secoli, l'arricchimento delle conoscenze disponibili sulla anatomia umana.
(82) Legislatori nazionali, governi ed altre istituzioni statali ed internazionali non hanno naturalmente tralasciato di portare il loro contributo in pubbliche dichiarazioni e concreti provvedimenti, specie con riguardo al materiale riproduttivo. La Germania, per esempio, ossessionata dal suo passato nazionalsocialista, è sempre stata "all'avanguardia" nell'opposizione alle sperimentazioni in materia riproduttiva e genetica riguardo all'uomo, e nel 1991 ha introdotto una "legge per la protezione dell'embrione" che era la più restrittiva del mondo. Già nel 1993, comunque, ci si era resi conto che tale legge avrebbe tagliato fuori il paese dagli sviluppi in campo biotecnologico, e il legislatore moderava le severe restrizione in essere su varie aree della ricerca genetica. Nel 2000, ulteriori annacquamenti della legge sono stati introdotti per via parlamentare. In Svizzera, malgrado l'importanza del settore farmaceutico nell'economia nazionale, nel 1997 quasi passò un referendum per la messa al bando della ricerca in questi settori, e un nuovo referendum nel 2000 è stato schiacciato con un margine di oltre il 30% solo perché nel frattempo era divenuto chiaro che la scelta contraria avrebbe rischiato di spingere le società farmaceutiche a trasferirsi presto o tardi altrove (cfr. quanto riportato da Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 126, trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.). La Francia ha a sua volta ripetutamente etichettato la manipolazione della linea germinale come un attentato alla dignità umana e una violazione del "diritto dell'uomo" ad una eredità genetica inalterata, dichiarando altresì, in un senso ovviamente opposto a quello qui sostenuto, che il pool genetico umano è "patrimonio dell'umanità". Nel 1997 il Consiglio d'Europa ha scritto una Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina dove si asserisce che «un'intervento volto a modificare il genoma umano può essere unicamente intrapreso per scopi preventivi, diagnostici o terapeutici e solo se la sua finalità non è quella di introdurre modificazioni nel genoma di alcun discendente». L'UNESCO stessa, pur essendo stata un po' meno recisa nella sua recente Dichiarazione Universale sul Genoma Umano (sic!), per deferenza alle preoccupazioni espresse dal delegato tedesco, ha esortato ad ulteriori studi sulle pratiche che potrebbero risultare contrarie alla "dignità umana". Nota Gregory Stock [alias]: «Molti d'altronde scuoterebbero la testa increduli di fronte a chiunque sostenesse che un bambino ha un diritto inerente ad una costituzione biologica inalterata e non dovrebbe perciò essere sottoposto in alcun caso ad operazioni chirurgiche prima dell'età adulta. Quando sentiamo lo stesso argomento quanto alla manipolazione genetica, ciononostante, lo prendiamo seriamente, benché risulti altrettanto in conflitto con i valori correnti» (ibidem, pag. 130). Vedi anche la recente dichiarazione adottata a maggioranza dall'ONU, su pressioni dell'amministrazione di George W. Bush, in materia di clonazione umana (ed altro).
(83) Ben manifestano questo imbarazzo le International Ethical Guidelines for Biomedical Research Involving Human Subjects, [versione in francese] del CIOMS, Ginevra 1993.
(84) In tal senso va probabilmene letto il richiamo alla «dignità umana» per cui la stessa clonazione umana a fini riproduttivi rappresenterebbe, secondo il Comitato Consultivo Nazionale di Bioetica francese, un «vero sconvolgimento della condizione umana», da rifiutare in quanto comporterebbe «una intollerabile reificazione della persona». Rimarca Hervé Kempf: «Non è la clonazione che importa questo sconvolgimento, ma semmai il movimento tecnico di cui essa è espressione... Quanto alla "nozione di dignità della persona che fonda, dalla sua origine, l'ispirazione del Comitato", un antropologo come Philippe Descola ha avuto buon gioco di ricordare come si tratti di un concetto variabile: in certe società è "indegno" non mangiare i propri prossimi congiunti dopo la loro morte o non sottoporre i popri figli a rituali di iniziazione di grande brutalità. Si può disapprovare tali pratiche, ma niente permette di dire che le concezioni della persona che esse traducono sarebbero meno "degne" della nostra» (La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, Albin Michel, Parigi 1998, pag. 218).
(85) La tematica della "tabula rasa", intrinseca in certa misura a tutta la tendenza egualitaria, a partire dal mito di Adamo e dalla sua radicalizzazione lockiana e rousseaiana, conosce la sua più recente e completa trattazione (critica) in Steven Pinker, The Blank Slate. The Modern Denial of Human Nature, Viking, New York 2002.
(86) Interessante come la "natura" – già desacralizzata e squalificata al rango di pallido riflesso, o provvisoria creazione arbitraria, di trascendenze assolute – venga oggi recuperata come unico appiglio morale e rassicurante da parte degli eredi stessi del monoteismo secolarizzato.
(87) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, Baldini-Castoldi, Milano 1988, pag. 21 (versione originale, The Biotech Century, Penguin, 1998)
(88)Francis Fukuyama, Our Posthuman Future. Consequences of the Biotechnology Revolution, Picador, New York 2002, pag. 7. (trad. italiana: L'uomo oltre l'uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, Mondadori, Milano 2002).
(89) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 155. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(90) Non a caso tali popolazioni erano già con tutta probabilità avviate all'estinzione prima ancora dello scontro con la civilizzazione occidentale.
(91) Jeremy Rifkin, Il secolo biotech, pag. 276.
(92)Lo smarrimento dell'ideologia dominante in materia biopolitica si esprime soprattutto in quello che è oggi il suo linguaggio tipico, ovvero nel riconoscimento di "diritti dell'uomo" di cui in questo campo stanno esplodendo sia il numero sia la contraddittorietà in letteratura e nelle dichiarazioni internazionali. Abbiamo già esaminato la tensione tra la sacralizzazione dell'embrione ed i diritti della madre, tra il "diritto alla salute" e gli interdetti contro la ricerca. Oggi, fa presente Stefano Rodotà, «si parla di "diritto di procreare", di "diritto al figlio", del "diritto di nascere", del "diritto di non nascere" [cfr. le cause per wrongful life da parte dei portatori di tare nei confronti dei genitori], del "diritto di nascere sano", del "diritto di avere due genitori", del "diritto di avere due genitori di sesso diverso", del "diritto all'unicità genetica" [inevitabilmente violato dalla natura nel caso dei gemelli, ma per qualche ragione da tutelare nei confronti dei cloni] , del "diritto ad un patrimonio genetico non modificato" [cfr. la Raccomandazione n. 934/1982 del Consiglio d'Europa], del "diritto a conoscere la propria origine biologica", del "diritto di non sapere", del "diritto di sapere", del "diritto alla cura", del "diritto alla malattia", del "diritto a non essere perfetto" [sia pure per intendere l'illegittimità della stigmatizzazione di condizioni di disabilità], del "diritto di morire" [rispetto alle aspirazioni del life extensionism], del "diritto di morire con dignità" [con riferimento alle tematiche dell'accanimento terapeutico e dell'eutanasia], del "diritto al suicidio assistito", del "diritto sui propri gameti", dei "diritti dell'embrione" o "sull'embrione", dei "diritti del feto". Questo non è un catalogo fantasioso o arbitrario (e neppure completo). Per ciascuna di queste figure è possibile trovare un riferimento giuridicamente significativo in convenzioni o dichiarazioni internazionali, in leggi nazionali, in proposte di legge, in regolamenti, in sentenze, in pareri di comitati etici» (dalla prefazione a Chiara Valentini, La fecondazione proibita, op. cit., pag. 10). La circostanza è ben nota, difficile risulta piuttosto capire come la nota posizione ultra-umanista dell'ex garante italiano della "privacy" sia possa essere sufficiente a consentirgli di nutrire un tale imparziale entusiasmo per le figure menzionate, ed una tale assoluta indifferenza per la loro contraddittorietà.
(93) Tale parola appare particolarmente appropriata, dato che αρχή, arché, in realtà non significa affatto "passato, conservazione, tradizione, residuo", come nel significato corrente del termine arcaico, ma appunto "inizio", cosa che in una visione non linearista della storia può stare nel passato come può contemporaneamente trovarsi innanzi a noi, nel nostro futuro.
(94) Guillaume Faye, Archeofuturismo, op. cit., pag. 18 [edizione Web].
(95) Hervé Kempf, La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, op. cit.
(96) Viceversa, appare ormai scientificamente a brandelli la tradizionale identificazione della differenza tra uomini e animali in un balzo qualitativo che consisterebbe nella "scintilla dell'intelligenza", avatar secolarizzato dell'"anima" insufflata da Jahvé in Adamo e in tutti i suoi discendenti, uniche creature "a sua immagine e somiglianza". Già Gehlen, nel fondare l'antropologia filosofica, aveva mostrato come sia impossibile ritrovare di per sé lo "specificamente umano" in quello che viene comunemente definito "intelligenza", e che rappresenterebbe l'"aggancio" specifico utile ad attribuire la titolarità dei "Diritti dell'Uomo" a tutti, e solo, i membri della nostra specie. Nota d'altronde Kempf, in materia di antropocentrismo naif: «E' innanzitutto in rapporto agli animali che le vecchie idee sull'identità umana entrano oggi in crisi. Non si trovano più motivi razionali di separarsene radicalmente, ragioni nette per escludere gli animali dal dominio della coscienza. Di tutti i caratteri di questo genere abitualmente utilizzati per caratterizzare l'umano, non ve ne è uno, hanno mostrato gli zoologi, che sia esclusivo: i primati si servono di utensili e possono imparare il linguaggio e servirsene; sono riconoscibili una sorta di culture materiali tra le tribù africane di scimpanzé; è stata descritta l'esistenza di rapporti "politici" tra i bonobo, così come l'abbozzo di sistemi morali. Tutte le ricerche dei primatologi e degli etologi vanno da una trentina d'anni nel senso di una comunità di potenzialità tra l'umano e la scimmia, e più generalmente, sotto forme che si attenuano in modo graduale e continuo con la distanza, tra l'umano e l'animale. La differenza è radicata in modo più complesso nella biologia umana globalmente intesa, e sorge da uno scarto progressivamente allargatosi con l'evoluzione delle specie. [Vacillano inversamente i tabù legati all'uomo] quando ci si serve senza grandi pensieri di animali tanto vicini a noi. Un dibattito concerne ad esempio i neonati anencefali, ovvero nati senza cervello: il prelievo dei loro organi, che comporta l'uccisione del neonato [che potrebbe oggi sopravvivere in terapia intensiva sino a qualche settimana dopo il parto] è accettabile? Sì, ha concluso nel 1995 un Comitato dell'Associazione Medica Americana. No, secondo un bioetico dell'Università di Boston, George Annas. La questione è stata ripresa con riguardo agli xenotrapianti confrontati ai trapianti da neonati anencefali dal filosofo australiano Peter Singer [alias], che si chiede: se siamo pronti ad uccidere un babbuino nella speranza di salvare la vita ad un essere umano, perché non siamo pronti ad uccidere, allo stesso fine, un essere umano cui di gran lunga manca la potenzialità di questo babbuino?» (La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, op. cit., pag. 217. Singer, sia detto per inciso, vorrebbe... estendere il divieto ai babbuini, e non viceversa consentire l'utilizzo dei neonati anencefali, ma la questione è pertinente anche per chi non sia particolarmente disturbato dalla "strumentalizzazione" degli animali a fini alimentari e non.
(97) Gregory Stock [alias], Redesigning Humans, op. cit., pag. 1. Trad. italiana: Riprogettare gli esseri umani. L'impatto dell'ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie,  Orme Editori 2005.
(98) Ibidem, pag. 5.
(99) Per un'analisi della storia della tematica dei Diritti dell'Uomo, e di come tale tematica sia diventata la "teoria sintetica" stessa in cui a livello politico sono venute a convergere tutte le tendenze religiose e laiche di matrice egualitaria, vedi Stefano Vaj, Indagine sui Diritti dell'Uomo. Genealogia di una morale, LEdE, Roma 1985 [versione Web]. Una radicalizzazione, in certo modo coerente, di alcune implicazioni di tale teoria sintetica è la curiosa tendenza che va sotto il nome di íanimalismo, e che pure manifesta una certa capacità di penetrazione specie negli ambienti verde-ecologisti. La legittima preoccupazione per la protezione delle specie selvatiche, o per la reale significatività in campo umano di una ricerca medica eccessivamente basata sulla sperimentazione animale, sfocia in una concezione moralistica che non riesce d'altronde a spiegare perché i suoi adepti, compresi quelli pronti ad imbrattare le pellicce o dediti al vegetarianismo, accettino di trattare insetti e batteri in modo diverso dagli animali superiori, o non esitino a stroncare la vita di innocenti pianticelle di lattuga a scopo alimentare.
(100) Non è forse un caso che la riflessione sovrumanista sulla "magia" e sull'autocoscienza del "terzo uomo" trovi a partire dalla fine degli anni settanta un riscontro empirico e financo terminologico nelle acquisizioni della cosiddetta Programmazione Neurolinguistica [alias] fondata da un linguista e un matematico americani (e precisamente Richard Bandler [alias] e John Grinder), che partendo da un risoluto rifiuto delle "teologie" psicoterapeutiche tradizionali – in particolare freudiane – hanno poi esteso il proprio campo di intervento alla psichiatria clinica, al management, alla psicologia applicata, allo studio dell'apprendimento, all'antropologia culturale, etc. Fondamento della PNL è in particolare il riconoscimento del dato neurologico, in quanto geneticamente conformato, e della sua programmabilità, in particolare attraverso il linguaggio simbolico e la sua capacità di liberare nuovi modelli, che è ciò esattamente in cui consiste la "magia". Cfr., di Grinder e Bandler, La struttura della magia, La metamorfosi terapeutica, Programmazione neurolinguistica. Lo studio della struttura dell'esperienza soggettiva, e Magia in azione, tutti editi in italiano dalla Casa Editrice Astrolabio di Milano. Benché molto lontana dall'empirismo della PNL o dall'approccio antropologico di Gehlen, una comprensione post-kantiana della "magia", pur mescolata con una notevole quantità di esoterismo e luoghi comuni, è del resto già contenuta nelle opere giovanili di Julius Evola, come Introduzione alla magia quale scienza dell'Io, Edizioni Mediterranee, Roma 1981, oppure L'uomo come potenza. I Tantra nella loro metafisica e nei loro metodi di autorealizzazione magica, Edizioni Mediterranee, Roma 1988, o ancora Saggi sull'idealismo magico, I Dioscuri, Genova 1988.
(101) Giorgio Locchi, "La lettura del mito", art. cit.