Biopolitica. Il nuovo paradigma
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e "terzo uomo"
(II)
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minaccia disgenica (IV)
La
voce della reazione
Nel
1978, all'apice del successo mediatico della cosiddetta Nouvelle
Droite, all'epoca fortemente caratterizzata dalle sue riflessioni
su materie come l'etologia
umana, i rapporti tra razza e intelligenza, l'evoluzione, la sociobiologia,
la demografia, etc., ed in particolare dalla polemica contro la
repressione culturale e scientifica in essere su questi argomenti
(), Albert
Jacquard scrive per reazione un volumetto dal titolo paradossale
di Eloge de la différence ();
tale testo è di grande interesse, perché pur essendo di
qualche anno fa solleva già buona parte delle questioni
decisive, e, senza davvero falsificare i dati rilevanti, che anzi
riporta in abbondanza, cerca di trarne conforto per una posizione
diametralmente opposta a quelle descritte nel presente studio.
Leggiamo
nell'introduzione: «La caratteristica dell'Uomo è
trasformare tutto ciò che lo circonda, la sua natura è
vivere artificialmente. Egli manipola secondo i propri fini
l'ambiente nel quale vive, fino a modificare le specie vegetali e
animali che gli sono utili. Basata su una conoscenza sempre più
precisa dei meccanismi del mondo inanimato e di quello organico, la
sua azione è divenuta sempre più efficace. Questo nuovo
potere, perché non utilizzarlo per raggiungere l'obiettivo più
affascinante: il miglioramento dell'Uomo stesso?».
E
l'autore continua: «È un'idea molto antica. L'Umanità
è responsabile non solo della propria trasformazione morale o
spirituale, del proprio progredire verso una civiltà migliore,
ma lo è anche del proprio divenire biologico. Già gli
Egiziani, gli Ebrei, i Greci si preoccupavano di difendere la loro
"razza" da un'eventuale degenerazione, di migliorare, se
non l'insieme, almeno una parte del gruppo, di giungere ad un Uomo
nuovo, a facoltà superiori. L'abbandono nel XIX secolo delle
teorie fissiste che vedevano in ogni specie una creazione specifica,
definitiva, di Dio, e la scoperta del processo di trasmissione di
caratteristiche biologiche fra una generazione e l'altra, la
conoscenza progressivamente affinata del nesso tra la composizione
del patrimonio genetico e le caratteristiche individuali hanno
alimentato nuove speranze: diverremmo finalmente "novelli
Pigmalione", in grado di plasmare la nostra specie? Al di là
delle speranze e di timori imprecisati, è necessario fare il
punto su quello che si sa, e soprattutto su quello che si vuole: di
cosa si tratta veramente?».
È
fin troppo facile rimarcare qui una serie di luoghi comuni. Per
coloro per cui l'"Umanità" non esiste, esistono solo
gli uomini e le civiltà concrete cui questi danno vita, è
difficile immaginare che l'Umanità possa essere responsabile
di alcunché, men che meno di un "progresso" che
appartiene esclusivamente alla mitologia linearista e
provvidenzialista del monoteismo secolarizzato, e che oggi è
rimesso in discussione anche in tale ambito. Arbitraria e grossolana
appare anche la generalizzazione di «Egiziani, Ebrei, Greci»,
come se la riflessione di tali tre culture sulla propria rispettiva
"etnicità" avesse mai seguito percorsi convergenti!
Infine, proprio chi rivendica l'eredità "greca" ed
indoeuropea come propria radice, e ad essa si richiama come origine
esemplare, è ben consapevole che quella dell'"Uomo
nuovo" è un'idea... postmoderna, non pre-moderna.
Ciò
detto, è difficile non sottoscrivere tale programma,
eventualmente per giungere alla fine a conclusioni opposte a
quelle dell'autore.
Un
anno prima era uscito negli Stati Uniti un altro libro, scritto da Jeremy
Rifkin e Ted Howard, intitolato Who Should Play God? The
Artificial Creation of Life and What it Means for the Future of the
Human Race (),
che invece si preoccupava di denunciare le minaccie della nuova
tecnologia che ormai cominciava ad essere chiamata "ingegneria
genetica". Tra le altre cose il libro prediceva che
specie transgeniche, chimere, cloni, bambini concepiti in provetta,
uteri in affitto, la fabbricazione di organi umani e la chirurgia
genetica si sarebbero tutti realizzati nel corso del secolo, e dava
una veste rispettabile ad idee già fatte proprie da movimenti
come Science for the People, che oltre a predicare l'ostracismo
accademico contro i test di intelligenza e la psicometria in generale
()
suggeriva in modo non troppo metaforico di far saltare semplicemente
in aria i laboratori di genetica.
Orientamenti
non molto diversi esprimevano del resto le prime riflessioni italiane
in materia, soprattutto in ambito cattolico (con le questioni del
controllo delle nascite, della fecondazione artificiale e dell'aborto
a fare da battistrada) e soprattutto nel mondo ecologista in via di
trasformarsi anche nel nostro paese in movimento
politico, con i due filoni rappresentati dall'associazionismo
ambientale e dai militanti di sinistra delusi nella loro attesa della
rivoluzione. Se i partiti "verdi" restano minoranza, talora
infima, nelle sinistre dei vari paesi, gli stessi d'altronde
finiscono per liquidare definitivamente, soprattutto in Europa
occidentale, gli entusiasmi leninisti del tipo "soviet più
elettricità" ed esercitano un'influenza profonda tanto
sui partiti comunisti e socialisti che sui gruppi più radicali
().
Nello
stesso periodo, del resto, gli intellettuali d'area cominciano anzi a
prestare orecchio al neomalthusianesimo del Club
di Roma (),
e il millenarismo prende il posto dell'ottimismo "progressista"
di maniera, in salsa di opposizione contro il "fascismo
elettronucleare", nell'idea che l'uomo non debba passare certi
limiti, che li abbia già passati e che si debba anzi tornare
indietro, sull'onda anche del dissesto ambientale creato dal
"miracolo economico" degli anni precedenti, e della crisi
energetica dei primi anni settanta, considerati da taluno la prima
avvisaglia del medioevo prossimo venturo ().
Il
termine "ecologia" è stato introdotto per la prima
volta nel linguaggio corrente da Ernst Haeckel. Nel 1868, nella sua Storia naturale della creazione, Haeckel [alias]
definiva l'ecologia come «lo
studio dei rapporti tra l'essere vivente e l'ambiente che lo
circonda; definizione che può ancora essere ritenuta valida se
si tiene presente l'evoluzione che ha subito successivamente il
concetto di ambiente ().
L'ecologia rappresenta così una "spazializzazione"
della biologia, ovvere l'applicazione di metodi di analisi
interdisciplinare ad una data situazione,
ad un dato luogo,
precisi e delimitati e localizzati, in parte fisico-chimici (ciò
che viene chiamato biotopo),
in parte biologici (ciò che viene chiamato biocenosi).
Di
questo qui-ed-ora ecologico, cui viene dato il nome di ecosistema, non vengono studiate soltanto le
caratteristiche, la morfologia e le componenti, ma anche le tendenze
evolutive, le condizioni di equilibrio e disequilibrio, la storia
passata, le reazioni al mutare di alcuni fattori, etc.
Appare
così evidente come sia estremamente grande il numero delle
discipline implicate nello studio dell'ecologia, dalla chimica alla
climatologia, alla geologia, alla meteorologia, alla paleontologia, a
tutti i rami della biologia stessa, tra cui genetica, etologia,
istologia, dietologia, biochimica, botanica, zoologia, agraria. I
dati che queste dscipline forniscono vengono poi trattati ed
estrapolati in base ad una tipica analisi sistemica. Ritroviamo così
in campo ecologico una serie di concetti di uso frequente in tutti i
campi descrivibili in termini cibernetici: modello, stato, storia di
stati, sistema aperto e chiuso, autoregolazione, retroazione positiva
e negativa, equilibrio, livello di astrazione, simulazione, etc.
A
partire dall'ecosistema in astratto vengono inoltre definiti, oltre
al biotopo e alla biocenosi, l'habitat (ovvero l'insieme dei biotopi in cui un organismo può vivere,
in quanto possiedono tutti i requisiti necessari alla vita dello
stesso), la nicchia ecologica ("parte" dell'habitat in cui vive una data specie, ovvero
l'insieme dei rapporti di questa con l'ecosistema), la successione
ecologica (la trasformazione
evolutiva di una data biocenosi), il climax (stato
di massimo sviluppo in condizioni di equilibrio) (),
che sono le principali categorie analitiche dell'ecologia moderna,
cui va ancora aggiunta la valenza ecologica,
ovvero la maggiore o minore capacità di un organismo ad
adattarsi a variazioni dell'ambiente ().
Va
sottolineato che l'ecologia non si oppone minimamente ad un
intervento dell'uomo sull'ambiente. Al di là della
considerazione ovvia che l'ecologia, in quanto scienza (e quindi
insieme di proposizioni descrittive e non normative)
non si "oppone" nemmeno all'inquinamento generalizzato ed
al suicidio collettivo per avvelenamento, ma ci dice soltanto quali
saranno i risultati di dati fattori, dopo di che sta a noi decidere – ciò è vero anche in un senso più
profondo.
L'ecologia
infatti, proprio in quanto scienza,
ricerca e determina "definizioni operative" dei propri
oggetti di indagine, elabora modelli che permettono previsioni di
approssimazione crescente, analizza le relazioni causali all'interno
dei sistemi studiati. Ovvero, come ogni altra scienza, fonda una
propria tecnica che
permette, anzi, crea una situazione di appropriazione e dominio dell'uomo sull'oggetto
studiato, in questo caso l'ambiente, l'ecosistema, la natura.
E'
così solo per uno scivolamento semantico,
pur tutt'altro che insolito, che a partire dagli anni settanta il
termine stesso di ecologia finisce per rimandare all'ideologia che
può essere definita ecologista,
ideologia che ha espressioni proprie, ma che è presente, in
forma diluita, in tutta la cultura dominante e, ad esempio,
praticamente in tutti i partiti politici italiani. La tesi centrale
di questa, secondo Hans-Magnus
Enzensberger [alias],
si esprime così: «le
società industriali della terra producono delle contraddizioni
ecologiche che le condurranno (necessariamente) alla rovina in un
avvenire prossimo». Affermazione che traspone le affermazioni
di Marx dal dominio economico al dominio "naturalistico": nello
stesso modo in cui si riteneva che le contraddizioni interne del
capitalismo avrebbero portato alla sua perdita, le "contraddizioni
ecologiche" dovrebbero portare alla fine del mondo o perlomeno
della "civiltà delle macchine".
Domina
così un'idea della Natura astratta ed universalista, percepita
da un lato come statica, immutabile, da sempre e per sempre data,
dall'altro come nettamente separata, anzi in opposizione all'uomo rispetto all'uomo e alla cultura,
trascurando il fatto che l'uomo, in quanto essere vivente, della
natura fa comunque parte, per quanto vi sia chi arrivi a sostenere che la nostra specie
è un "incidente", una manifestazione "patologica"
o un "cancro". In realtà, però, è la
stessa scienza ecologica a rimettere in discussione questa visione paradisiaca (non
estranea del resto al fatto che i suoi propugnatori vivono come tutti
gli intellettuali occidentali in un ambiente iperprotetto), nel
momento in cui ci mostra come gli ecosistemi evolvano e decadano,
come gli equilibri che si vengono a creare siano in realtà risultanti dinamiche provvisorie,
che possono variare e variano nel tempo anche senza nessun intervento
"umano", risultanti dalla lotta di tutte le specie (o
meglio dei loro geni) per mantenersi ed espandersi, e dai caratteri
di quel biotopo in quel momento dato.
Non
esiste in realtà alcun equilibrio naturale prefissato ed indefinitamente autosufficiente che possa essere
"turbato". Il successo dei mammiferi, evento certo non
provocato dall'uomo, ha "distrutto" in un certo senso
l'equilibrio precedente dell'ecosistema, creandone uno nuovo. Al
contrario, l'immigrazione di una specie straniera in un dato habitat
può provocare teoricamente la scomparsa della maggiorparte
delle forme di vita di quell'ambiente, magari compresa alla fine la
stessa specie estranea. Fenomeni di inquinamento, ad esempio a
seguito delle eruzioni vulcaniche o del rilascio di idrocarburi negli
oceani, si verificano anche spontaneamente, creando sterilizzazione
di zone limitate o potenti spinte selettive verso l'adattamento degli
organismi presenti. Alcune specie animali, d'altra parte, tendono
spontaneamente all'estinzione: una decisione umana di tenerle
forzosamente in vita, in sé perfettamente legittima, non è
però di per sé più "naturale" della
scelta di eliminare una specie di per sé vitale, come quella
dell'agente patogeno del vaiolo.
Inoltre,
questa idea stessa della Natura parte da esperienze di un mondo che
conosce già da millenni, come abbiamo visto, l'intervento
plasmatore dell'uomo. La natura di per sé non è né incontaminata, né
benigna, né adatta, ma solo adattabile, alla vita
umana. Chi la immagina come un incrocio tra uno zoo, un giardino, un
frutteto e un campo da golf, non si rende conto di quanto sia
influenzato da un quadro che è già opera dell'uomo. Abbiamo notato come il parco
di Versailles non è di per sé più naturale del relativo
castello.
La creazione di spazi agricoli e la rotazione delle colture,
praticata da tempi immemorabili, permettono un ciclo continuo di
scambi tra il terreno e le coltivazioni che assicura una continuità
di rendimenti elevati assolutamente "innaturale", come lo è
l'irrigazione, o la bonifica dei terreni paludosi. Il fuoco di legna,
con tutti i significati psicologici e simbolici che lo stesso possa
rivestire, è un sistema di riscaldamento tragicamente
inefficiente, altamente inquinante e dai costi forestali ed
idrogeologici elevatissimi. Le economie tradizionali, o di penuria,
creano i danni ambientali propri ad un'economia di spoglio – in cui il fattore ambientale viene appunto considerato come un dato
da sfruttare per quanto possibile, non come una variabile su cui
agire o una risorsa da gestire –, e la loro generalizzazione e riadozione
ai livelli attuali di
popolazione mondiale condurrebbe verosimilmente a scenari
catastrofici.
In
ogni modo, gli ecologisti non riuscono per lo più a trovare un
accordo preciso né sulla data del crollo finale che si
presenterà in mancanza di un radicale mutamento della
situazione attuale, né sulla possibilità, ed
eventualmente sul modo, di evitarlo. Nell'ambiente ecologista si
arruolano così ben presto neomarxisti e socialdemocratici;
ecologisti "liberali" che sognano una repubblica di saggi
governata dall'amore universale e dalle "tecniche dolci";
quelli "all'americana", tra droghe psichedeliche, comunità
rurali, paccottiglia metafisica e orientalismo; i fautori del
localismo esasperato come quelli del governo mondiale, sino che si
arriverà più tardi ai teorici dell' "ecologia del
profondo", che vedono nell'ecologismo un nuovo paradigma
universale alla cui luce ripensare il significato generale della
presenza dell'uomo nel mondo, da essi declinata nel senso ambiguo di
un apprezzabile rifiuto del dualismo monoteista e scientista che però
ricade subito nella condanna della dimensione storica e prometeica
dell'uomo, lungo le linee consuete della visione del mondo dominante
(),
che vengono assunte anzi nella forma più estremista
dell'aperto auspicio di un ritorno umano alla "pura animalità".
Dall'insieme
di tali punti di vista nascono in Europa come abbiamo detto i partiti
"verdi" (il cui spazio elettorale in Italia è stato
per un po' occupato dal Partito
radicale, ma che poi ha
visto anche da noi crearsi, scindersi e ricomporsi forze
politiche "specializzate"),
alcune piccole case editici, innumerevoli pubblicazioni come
l'italiana La
Nuova Ecologia o la francese La Gueule
Ouverte, per non contare la
costituzione di gruppi di pressione e club di pensiero, il
consolidarsi della variante rappresentata dall'animalismo (che
costituisce in certo modo un'estensione coerente della sensibilità
umanista ad almeno un certo numero di altre specie) e la penetrazione
nei quadri dei partiti della sinistra tradizionale, in cui la
componente "ambientale" comincia a partire dalla metà
degli anni settanta a rappresentare un centro di interessi e di
convergenze trasversali tra le varie correnti interne, ed a
costituirsi in area privilegiata della riflessione in materia più
in generalmente biopolitica, su linee tendenzialmente reazionarie, di
tale settore politico.
Nello
stesso periodo, nell'ambiente dei Campi
Hobbit e del mondo giovanile del MSI girava del resto tale Alessandro
Di Pietro, esponente della corrente rautiana del partito, che
proprio in tali anni aveva creato un'effimera rivista intitolata Dimensione ambiente, collegata ad un'organizzazione di massa,
più o meno immaginaria, o meglio fondata sulle medesime
risorse umane di un'altra miriade di sigle specializzate al tempo
fiorite nell'ambiente, e che ancora oggi in qualche modo pare
sopravvivere, chiamata Gruppi
di Ricerca Ecologica. Dimensione ambiente faceva
d'altronde riferimento ad un più ambizioso ed élitario
Centro di Ricerca Biopolitica, e – parallelamente al
tentativo di accreditarsi con riguardo alle tematiche ambientaliste
da poco divenute scottante argomento di attualità politica – diffondeva poster contro l'ingegneria genetica con l'immagine di Boris Karloff nella parte della creatura di Frankenstein e lo slogan «Fermate
il mostro». Molti
neofascisti ed ex-neofascisti, specie quelli che resteranno alla
destra dello schieramento politico italiano, continueranno con varie
altre componenti di tale area a schierarsi in prima fila
nell'opposizione alla "rivoluzione biologica", talora senza
percepire apparentemente la
tensione tra tali posizioni e l'eredità faustiana cui pure
dovrebbero in teoria partecipare, altre volte facendone anzi un tema
di esplicita polemica "interna" contro chi invece si rifà
apertamente a tale eredità nell'ambito del loro mondo ().
La
divulgazione "ottimistica" di Walter
F. Bodmer ed Alan Jones che in Futuro
biologico () descrivevano all'inizio degli anni ottanta un mondo di terapie
genetiche, trapianti, protesi miracolose, cure contro la sterilità,
diagnosi prenatale, allungamento della vita media, etc., rappresenta
perciò un'eccezione, e l'impegno militante liberal o
conservatore risulta ugualmente accanito sia contro le prospettive di
applicazione pratica delle nuove scoperte che contro la ricerca pura.
Abbiamo
già ricordato il caso della psicometria, e della ricerca
riguardo all'ereditarietà delle caratteristiche e capacità
mentali degli individui e delle razze, per cui sono stati crocifissi Jensen e Eysenck ();
similmente, a suo tempo la rivista milanese l'Uomo
libero aveva ampiamente registrato le questioni
insorte intorno all'etologia di Lorenz e Ardrey e compagnia (),
come prima ancora avevano fatto in Francia Eléments [edizione
Web] e Nouvelle
Ecole; verso la fine degli anni settanta scoppia altresì
lo scandalo della sociobiologia (),
considerata un potenziale alibi per una politica di oppressione
sociale, che vide addirittura la fondazione di un Sociobiology Study
Group, con alla testa Richard
Lewontin [alias],
Jonathan Beckwith e Stephen
J. Gould (),
gruppo di studio... sulla sociobiologia ed i sociobiologi –
dove "studio" significa in sostanza monitoraggio, denuncia
e ostracismo.
In
effetti, secondo il
lavoretto propagandistico già citato di Fuschetto, «il
passaggio epocale segnato dalla rivoluzione genetica»
sarebbe identificabile con due presupposti: «1)
è possibile governare lo svolgimento dell'evoluzione biologica
(prospettiva faustiana); 2) è
possibile ricondurre gran parte della natura umana a fattori genetici
(dogma sociobiologico)...
Occorre rilevare che l'importanza del passaggio di queste due considerazioni in vere
e proprie convinzioni scientifiche
è di grandissimo momento proprio ai fini dell'organizzazione
sociale e della legittimazione politica» ().
In
realtà, il dibattito stesso "natura-cultura", su
cosa spetti all'una e cosa all'altra (),
risulta, in una prospettiva postmoderna, tendenzialmente superato ed insignificante. I geni infatti non solo agiscono
direttamente sul nostro corpo e sulla nostra mente modellando la
nostra biologia, lo fanno anche indirettamente, influenzando
l'ambiente che sperimentiamo, e ciò non solo a livello
culturale e macrosociale, ma persino a livello individuale. Scrive Gregory
Stock [alias]:
«Un ragazzo che
eccelle nello sport tenderà a gravitare verso attività
atletiche, esattamente come uno che ama leggere di filosofia potrebbe
scegliere obbiettivi più intellettuali. Entrambi i ragazzi
finiscono per selezionare il proprio ambiente e le influenze che li
trasformano. Ciò avviene anche in modi meno evidenti. Un
bambino solitario e introverso quasi certamente genererà
reazioni diverse in coloro che lo circondano rispetto a uno socievole
ed adattabile. Così, viene in gioco un feedback che tende ad
autorinforzarsi: le nostre predisposizioni biologiche modellano il
nostro ambiente, che a sua volta sviluppa e rinforza le
caratteristiche verso cui tendono tali predisposizioni. Alcune delle
differenze che esistono nelle stime sull'ereditarietà del QI,
per esempio, possono essere dovute alla diversa età dei
soggetti nei vari studi. Sappiamo oggi che nella tarda adolescenza i
gemelli identici allevati separatamente tendono ad essere ancora più
vicini nel loro punteggio di quanto non lo fossero già
nell'infanzia, e ciò può dipendere esattamente dalla
crescita con gli anni del loro potere di allineare le loro attività
ed ambiente alle loro predisposizioni. Risultati simili emergono con
riguardo allo studio dell'ereditarietà di tratti come il
comportamento asociale»
().
In
ogni modo, il messaggio della sociobiologia non è certo privo
di ambiguità, a cominciare dal fatto di fondarsi su un
acritico neo-darwinismo che non è possibile non giudicare scientificamente superato (),
per finire con problemi più radicali, quale il riduzionismo
fondamentale della maggior parte dei suoi esponenti, che li apparenta
non a caso ai teorici del neoliberismo o della cosiddetta "analisi
economica del diritto" quali rispettivamente Milton
Friedman o Richard
A. Posner ().
Ciò
che qui interessa d'altronde non è solo quanto del pensiero
sociobiologico possa contribuire ad una prospettiva alternativa e più
penetrante sulla vita dell'uomo, ma la condanna "morale"
che su di essa si è appuntata in quanto "antropologia",
ovvero scienza "blasfema", come tale portatrice di
un'ύβρις, ubris suscettibile di trasformarsi in una "manipolazione", se non
altro mentale, dell'oggetto umano – ciò che esattamente
dalla Bibbia alla Scuola
di Francoforte [alias],
da Abramo ad Horkeimer, Habermas e Marcuse,
per arrivare a André
Glucksmann o a Bernard-Henri
Lévy [alias],
rappresenta il peccato originale da cui l'uomo andrebbe costantemente
difeso ed emancipato ().
In effetti, Gehlen è d'accordo con la Scuola di Francoforte nel ritenere del tutto
superato lo schema tradizionale secondo cui l'uomo, per mezzo della sua
intelligenza, conosce il mondo e poi agisce di conseguenza. Scrive Maria
Teresa Pansera: «Per Gehlen, viceversa,
l'uomo conosce attraverso la sua azione, con un processo di reciproca
interconnessione tra attività percettiva ed attività motoria. In altre
parole, è possibile per Gehlen comprendere l'attività conoscitiva e
l'intelligenza, specificamente umane, sulla base del concetto di
azione: è radicamente sbagliato voler additare la differenza essenziale
tra uomo e animale nell'"intelligenza"» ().
D'accordo è anche Marcuse nel suo famoso pamphlet L'uomo a una dimensione: «Il metodo scientifico che ha portato al
dominio sempre più efficace della natura [giunge] così a fornire i
concetti puri non meno che gli strumenti per il dominio sempre più
efficace dell'uomo da parte dell'uomo, attraverso il dominio della
natura» (). Come aveva già giustamente
sottolineato Heidegger, la forma in cui si presenta la tecnica
non è più quella di un semplice strumento, ma del "destino" e del
"rischio" inerenti allo stesso essere dell'uomo ().
D'altronde, la mentalità biblica, e i suoi prolungamenti nella "teoria
critica" postmarxista o nei nouveaux philosophes, provano tanto
orrore quanto i Karl Popper [alias]
o le Hannah
Arendt, pure allontanatisi dall'ortodossia religiosa ebraica in
direzioni ben diverse da costoro, per l'esempio dei "fondatori di
città", che come Licurgo o Romolo osano scrivere le tavole della legge e, nel tentare di creare un tipo
d'uomo, farsi dèi. Lo stesso "fallimento del comunismo", e le
"degenerazioni totalitarie" dei regimi del socialismo realizzato,
vengono in effetti attribuite ad un'insufficiente sorveglianza contro
le tentazioni di questo tipo, cui va costantemente opposta l'Arca vuota dell'individualismo irriducibile, che
si ritiene ormai meglio custodita dal liberalismo occidentale che da
pericoli tentativi di "scorciatoia per il paradiso".
Ma ancora più simbolica è la diffidenza per la "sperimentazione
sull'uomo", non in senso macrostorico e sociale, ma semplicemente
scientifico, e ciò non tanto per preoccupazione per gli individui
coinvolti, ma per la sua natura blasfema e per i risultati di
conoscenza empirica cui essa può eventualmente aspirare.
Anche
se l'edonismo individualista ad esempio non può per principio opporsi a
quanto necessario alla ricerca medica (),
tale materia è circondata comunque da una forte ostilità di massima,
anche quando oggetto della sperimentazione sono volontari, persone ad
uno stadio clinico disperato e senza alternative, condannati a morte,
embrioni, semplici cellule sessuali, tessuti o geni, o persino...
animali superiori; e regolarmente viene fatta balenare sullo sfondo
l'immagine dello scienziato pazzo che svolge ricerche proibite e
luciferine nel campo di concentramento nazista ().
Certo,
il Mercato può prescrivere di avvelenare esseri uomini all'interno di
fabbriche occidentali o farli morire di fame nelle favelas alla
periferia delle grandi città, o giustiziarli nelle prigioni americane,
o ancora bombardarli con uranio impoverito se sono rei di essere
cittadini di uno "Stato canaglia", ma l'esperimento scientifico
sull'uomo, che pure possa in ipotesi "salvare mille vite", merita sempre un sospetto
particolare (). Gli esseri umani è meglio
osservarli soltanto, ed anche i risultati di tali osservazioni
vanno costantemente passati al vaglio di una critica di ordine morale che impedisca di trarne conclusioni di carattere ideologico in senso
forte.
A
fronte di tali tentazioni, la ricetta sarebbe anzi la costante
"demistificazione" di qualsiasi discorso sull'Uomo,
doverosa in quanto appunto paralizzante rispetto ad ogni velleità
di comprendere davvero e reinterpretare lo "specificamente
umano" in vista della creazione di un "uomo nuovo"
().
Senonché, l'interesse postmoderno ad esempio per la
sociobiologia è ben diverso da quello conservatore, "di
destra", che secondo le note accuse vedrebbe in essa una
legittimazione dell'ordine costituito e delle gerarchie in essere, e
risiede proprio nella inversa demistificazione "realista"
delle teorie che attribuiscono ai comportamenti umani ed alla
struttura delle società ragioni puramente esterne ed
occasionali (la Provvidenza, lo stadio storico della lotta di classe,
il progresso tecnico o del mercato...) che andrebbero a innestarsi su
una tabula rasa, che non solo
è puramente immaginaria (),
ma si considera comunque intoccabile quanto i frutti dell'Albero del
Bene e del Male.
La
logica mercantilista, umanista e globalista si ritrae perciò
smarrita rispetto alle prospettive che si aprono al "terzo uomo"
– paventando essa stessa l'applicazione meccanica
dell'impersonalità del Mercato, o al meglio di un
microedonismo individualista, al nuovo mondo –, e finge che il rischio estremo cui il terzo uomo è confrontato non
esista («andiamo avanti così, preoccupiamoci
dell'andamento in Borsa della società e speriamo che in un
modo o nell'altro tutto si aggiusti»); oppure si illude di
poterlo evitare con regolamentazioni puramente repressive ed
astensive («tagliamo i fondi alle ricerche, vietiamo le
applicazioni, e il problema se ne andrà»). Ma in nessuno
dei due casi sa realmente cosa rispondere alle domande che tale
logica stessa si pone.
Scrive Rifkin:
«Nel riprogrammare i codici genetici della vita non rischiamo
una fatale interruzione di milioni di anni di graduale sviluppo
evolutivo? E la creazione artificiale della vita, non potrebbe
implicare la fine del mondo naturale ()?
Non sussiste il rischio di diventare alieni in un mondo popolato da
creature clonate, chimeriche e transgeniche? La creazione, la
produzione di massa e il rilascio su vasta scala nell'ambiente
naturale di migliaia di forme di vita manipolate geneticamente non
causeranno un danno irreversibile alla biosfera, facendo
dell'inquinamento genetico una minaccia ancora più grave
dell'inquinamento chimico e nucleare? [...] Cosa significherà
essere uomini in un mondo dove i bambini vengono progettati
geneticamente e alterati in utero, e dove le persone vengono
identificate e potenzialmente discriminate in base al loro genotipo?
Che rischi corriamo quando cerchiamo di progettare esseri umani
"perfetti"?» ().
Del
tutto conseguenti sono le conclusioni che tira il paladino della
"fine della storia" Francis
Fukuyama: «La
minaccia più significativa posta dalle biotecnologie
contemporanee è la possibilità che esse finiscano per
alterare l'umana natura, epperciò condurci in una fase storica
"post-umana"... La natura umana modella e costringe i
possibili generi di regime politico, così che una tecnologia
abbastanza potente da rimodellare ciò che siamo avrebbe
potenzialmente perniciose conseguenze per la democrazia liberale e la
natura stessa della politica [...]. Dobbiamo usare il potere dello
Stato per impedire l'accesso a tecnologie che possano minare la
nostra attuale nozione di umanità, che potrebbero permettere a
taluni di superare le limitazioni fisiche e mentali che oggi
conosciamo» ().
Conferma Stock [alias]:
«La presente
discussione contro l'"accrescimento dell'uomo" (human
enhancement) non è ciò che
sembra. Non ha nulla a che vedere con la sicurezza medica, il
benessere dei bambini, la protezione del pool genetico umano. A un
livello fondamentale, è una questione filosofica e religiosa.
E' una questione su ciò che significa essere umani, sulla
nostra visione del futuro dell'uomo»
().
Eppure le sfide della nostra epoca non sono eludibili, non più
di quanto siano riusciti i pigmei o gli aborigeni australiani ad
"eludere" davvero, a lungo termine, l'avvento
dell'agricoltura o della lavorazione dei metalli ().
Con la fondamentale differenza che essi almeno hanno potuto godere
per secoli e millenni di una relativa segregazione, che oggi
nessun angolo del globo è più in grado di garantire a
nessuno. I prossimi destini del mondo e della specie umana ne
coinvolgeranno in un modo o nell'altro tutti i suoi membri.
Nota
ancora Rifkin:
«Le nuove tecnologie di manipolazione genetica sollevano una
delle questioni politiche più preoccupanti nella storia
dell'uomo. A chi, in questa nuova era, vorremmo affidare l'autorità
di decidere qual è il gene giusto che dovrebbe essere aggiunto
al patrimonio genetico e qual è il gene cattivo che dovrebbe
invece essere eliminato? Dovremmo investire il governo di questa
autorità? Le grandi aziende? I ricercatori universitari? Se
poniamo la questione in questi esatti termini, pochi di noi
riuscirebbero ad indicare un'istituzione o un gruppo di persone cui
affidare decisioni di una simile portata. Se comunque ci venisse
chiesto di approvare i passi avanti della nuova biotecnologia che
potrebbero aumentare il benessere fisico, emotivo e mentale della
nostra progenie, molti di noi non esiterebbero neanche un secondo a
dare la propria approvazione» ().
La
verità è che la visione del mondo individualista,
edonista e borghese non solo non può evitare le conseguenze
delle nuove possibilità aperte dalla biotecnologia, ma non può
neppure moralmente ignorarle ().
Al tempo stesso, alle domande di Rifkin non c'è soluzione
alcuna nell'ambito delle vecchie idee. Neppure un "postmarxista"
come Rifkin, con l'accento sul "post", se la sente di
affidare il futuro della specie alle multinazionali, ad una classe di
chierici, ai capricci egoisti del consumatore, o a governi che oggi
non rappresentano altro, nella migliore delle ipotesi, che il
consiglio di amministrazione dei pochi servizi pubblici rimasti. E in
realtà solo una volontà storica e politica in senso forte, solo la capacità di pensare progetti millenari
ed epocali in un nuovo inizio, una nuova "arcaicità"
()
basata su un'etica del superamento-di-sé, può farsi
carico della sfida, e rallegrarsene, in nome se non altro dell'amor
fati.
Scrive Guillaume Faye:
«L'attuale civiltà non può durare. [...] In un
numero crescente di settori, la mentalità e l'ideologia del
mondo moderno, individualista ed egualitario non sono più
adeguate. Per affrontare il futuro, occorrerà ricorrere sempre
più di frequente ad uno spirito arcaico, cioè
postmoderno, inegualitario e non umanista, che possa rifondare valori
primordiali. [...] I progressi della tecnoscienza, soprattutto nel
campo della biologia [corsivo nostro] e dell'informatica,
non si possono più gestire con i valori e le mentalità
umanisti e moderni. [...] La disputa tra tradizionalisti e modernisti
è divenuta sterile. Non bisogna essere né una cosa né
l'altra, ma archeofuturisti. Le tradizioni sono fatte per essere
purgate, scremate, selezionate. Molte di esse sono portatrici di
virus che esplodono oggi in tutta la loro virulenza. Quanto alla
modernità, essa non ha probabilmente alcun avvenire»
().
Precisa
l'autore francese: «È inevitabile nel XXI secolo
l'accendersi di un conflitto tra le grandi religioni monoteiste
(Islam, cristianesimo, ebraismo, religione
laica dei Diritti dell'Uomo) e i progressi della tecnoscienza
biologica ed informatica. Kempf, nel suo libro La
revolution biolithique spiega che la scienza sta per completare un "passaggio"
paragonabile a quello della rivoluzione neolitica che fece transitare l'homo sapiens dalla caccia e raccolta
all'allevamento, all'agricoltura e all'adattamento dell'ambiente alle
sue esigenze. Noi viviamo oggi una seconda grande mutazione, al tempo
stesso informatica e biologica. Questa rivoluzione consiste nella
trasformazione artificiale degli esseri viventi, nell'umanizzazione
delle macchine (i futuri elaboratori quantistici e soprattutto
biotronici), e nelle interazioni uomo-androide che ne discendono».
E
ancora: «L'antropocentrismo e la definizione unitaria ed
indivisibile della "vita umana" come valore in sé,
che costituiscono i dogmi centrali delle religioni monoteiste così
come delle ideologie egualitarie della modernità entrano in
brutale contraddizione con le possibilità offerte dalla
tecnoscienza, e in particolare con l'alleanza "infernale"
di informatica e biologia. Un conflitto su larga scala opporrà
i laboratori ai dirigenti politici e religiosi che tenteranno di
censurare e limitare l'applicazione delle scoperte, probabilmente
senza riuscirci... Le gestazioni extrauterine in incubatrice, gli
androidi biotronici intelligenti e "parasensibili",
quasi-umani, le chimere (sintesi uomo-animale o animale-pianta i cui
brevetti vengono depositati negli Stati Uniti), i "manipoloidi"
o uomini transgenici, i nuovi organi artificiali che decuplicano le
facoltà naturali, la creazione di superdotati (o di
super-resistenti) tramite progetti di eugenetica positiva, le
clonazioni, etc., tutto ciò rischia di fare a brandelli la
vecchia concezione egualitaria e sacrale dell'"essere umano",
molto più radicalmente di quanto possano aver fatto Darwin o le teorie evoluzioniste ().
La "fabbrica dell'uomo" è in via di realizzazione:
creazione di organi artificiali, procreazione assistita, stimolazione
delle funzioni organiche, etc.; e la confezione di macchine che
mettano in atto processi biologici (elaboratori neurali, microchip
basati sul DNA) è una prospettiva a breve termine. Sono
tutte le definizioni stesse dell'uomo, del vivente e della macchina
che è necessario riformulare. Uomini artificiali e
macchine animali...».
Nello
stesso senso rileva un autore "transumanista" come Gregory
Stock [alias]:
«Ad un primo
sguardo, la nozione stessa che noi potremmo divenire più che
"umani" sembra assurda. Dopotutto, siamo ancora
biologicamente identici in virtualmente ogni aspetto ai nostri
antenati che infestavano le caverne. Ma questa mancanza di
cambiamenti è ingannevole. Mai prima abbiamo avuto il potere
di manipolare la genetica umana per alterare la nostra biologia in
direzioni sensate e controllabili... L'arrivo di una tecnologia
sicura ed affidabile della linea germinale segnalerà l'inizio
dell'auto-progettazione umana ad un nuovo livello. Non sappiamo dove
questo sviluppo ci porterà alla fine, ma trasformerà il
processo evolutivo incorporando la riproduzione in un processo
sociale altamente selettivo che sarà molto più rapido
ed efficace nel diffondere geni dominanti della tradizionale
competizione sessuale e selezione del partner... Molto prima della
fine di questo millennio avremo quasi certamente cambiato noi stessi
abbastanza da essere divenuti molto più che semplici "umani"» .
E
ancora: «Molti
bioetici non condividono la mia prospettiva sulla direzione in cui ci
stiamo avviando. Immaginano che la nostra tecnologia potrebbe
diventare abbastanza potente da alterarci, ma che dovremmo sfuggirla
e rifiutare la trasformazione dell'uomo. Ma la rimodellazione della
genetica e della biologia umana non dipende da qualche cricca di
ricercatori diabolici nascosti in un laboratorio in Argentina ed
intenti a riprendere là dove Hitler ha lasciato. Le
possibilità a venire saranno l'involontario sottoprodotto di
ricerche ufficiali appoggiate praticamente da chiunque. Ricercatori e
clinici che lavorano sulla fecondazione in vitro, ad esempio non si
preoccupano molto dell'evoluzione futura dell'umanità, ma
stanno nondimeno accumulando i fondamenti necessari a concepire,
maneggiare, testare ed impiantare embrioni umani, il che costituirà
un giorno la base per la manipolazione della specie umana»
().
Conclude Faye: «Nel
XXI secolo, l'uomo non sarà più ciò che era. Ne
seguirà un deragliamento delle categorie etiche dominanti
dagli effetti devastanti. Uno choc mentale, dalle conseguenze
imprevedibili, rischia di prodursi tra due mondi: quello della nuova
concezione biotronica e biolitica, e quello della
concezione delle vecchie religioni monoteiste e della moderna
filosofia egualitaria dei Diritti dell'Uomo ().
Solo una mentalità neo-arcaica potrà sopportare questo
choc, dato che un tempo non era l'uomo (o un Dio unico a sua immagine
e somiglianza) che era posto al centro del mondo, ma divinità
multiple, che potevano perfettamente incarnarsi in qualsiasi
forma di vita e che rappresentavano ciò cui l'uomo aspirava.
in un progetto di superamento-di-sé. [...] Ciò
rappresenta la fine dell'umanismo? Certamente».
Questo
per gli europei significa scegliere di rivendicare, di ricollegarsi
ad un'eredità che è loro specifica. Scrive Giorgio
Locchi: «Il mito [indoeuropeo della fondazione] contiene un insegnamento implicito, fondato su un giudizio di valore
specificamente indoeuropeo, che vuole che l'autenticità dell'uomo risieda nella sua capacità di "prendersi in
mano", di "parlare" e di "agire" invece di
"essere parlato" ed "essere agito". A partire
dall'istante in cui l'uomo diventa cosciente di questa attitudine,
cioè a partire dall'istante in cui riflette sul suo potere di autodomesticazione, una coscienza superiore sorge, e tende immediatamente a realizzarsi come tale nel fatto
sociale. All'uomo-soggetto generico (e spontaneo) dell'azione magica
esercitata su se stesso ()
s'aggiunge ormai l'uomo-soggetto specifico (e cosciente) dell'azione esercitata sull'altro uomo» ().
Tale
processo oggi può essere rinnovato nel passaggio
all'uomo autocosciente, che sia in grado di superare in una
sintesi superiore la crisi del "secondo uomo", ed in
particolare la morale del Grande Rifiuto, dell'ewige Nein, che
dopo duemila anni celebra oggi la sua egemonia a livello planetario.
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e "terzo uomo"
(II)
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minaccia disgenica (IV)